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Scambio di dati contro la croce dei fondi neri

Keystone

Respingere gli attacchi e preservare la sovranità oppure diventare attivi e indebolire la pressione internazionale sul segreto bancario? Questi due atteggiamenti contrapposti infiammano il dibattito sul futuro della piazza finanziaria svizzera.

Il modello proposto da Berna di un’imposta liberatoria per impedire il deposito di fondi neri in banche svizzere – almeno finora – non ha ottenuto il successo sperato. La Germania lo rifiuta ufficialmente. La Francia lo considera “un’amnistia per evasori fiscali”. Accordi in tal senso fino ad oggi sono andati in porto soltanto con l’Austria e la Gran Bretagna.

L’Unione europea chiede da anni alla Svizzera lo scambio automatico di informazioni. Ciò significa che le banche svizzere dovrebbero notificare due volte all’anno gli interessi versati ai loro clienti stranieri alle autorità fiscali dei rispettivi paesi.

In seno all’OCSE si stanno muovendo le pedine per portare, a medio termine, all’introduzione dello scambio di informazioni. D’altra parte, in relazione alla legge FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), la Svizzera ha siglato lo scorso dicembre con gli Stati Uniti un apposito accordo quadro, che di fatto introdurrà uno scambio unilaterale di dati su cittadini o residenti americani titolari di conti bancari elvetici.

Anche il Lussemburgo che, con l’Austria, era finora grande alleato della Svizzera nella lotta per la salvaguardia del segreto bancario all’interno dell’UE, presto firmerà un accordo FATCA con gli Stati Uniti. Bruxelles insisterà dunque con il paese membro dell’Unione sulla parità di trattamento, ciò che accrescerà la pressione sulla Svizzera per l’introduzione dello scambio di informazioni con i paesi dell’UE.

A causa della grande pressione sul segreto bancario, la Svizzera vorrebbe risolvere il problema dell’evasione fiscale concludendo con molti Stati accordi bilaterali di imposizione alla fonte con effetto liberatorio per i clienti esteri delle banche elvetiche. L’anonimato di questi ultimi sarebbe garantito.

L’OCSE e l’UE, invece, insistono per attuare lo scambio automatico dei dati dei clienti bancari.

Finora, la Svizzera ha concluso accordi sull’imposizione alla fonte con l’Austria e la Gran Bretagna. Entrambi sono entrati in vigore il 1° gennaio 2013.

Il governo svizzero aveva raggiunto un’intesa anche con il governo tedesco, ma in Germania l’accordo è stato bocciato dalla Camera dei Länder (Bundesrat). Anche la Francia rifiuta l’imposta liberatoria.

La ministra delle finanze in un vespaio

La Confederazione ufficialmente non si smuove dal cosiddetto modello Rubik. Questo prevede che le banche debbano prelevare un’imposta liberatoria alla fonte sui redditi di capitale dei clienti esteri e versarla alle autorità fiscali dei rispettivi paesi. Questo sistema permette inoltre un’imposizione retroattiva degli averi per regolarizzare fondi non dichiarati in passato.

Di recente, il governo elvetico ha incaricato un gruppo di esperti di esaminare ed elaborare strategie per una piazza bancaria pulita. Nelle possibili opzioni è incluso lo scambio di informazioni.

Annunciando, qualche settimana fa, che la Svizzera deve discutere dello scambio di informazioni bancarie, la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf ha provocato aspre reazioni da parte di politici di destra e centro-destra. Il presidente del Partito liberale radicale svizzero (centro destra) l’ha persino accusata di aver voltato le spalle al governo e ha chiesto che le sia ritirato l’incarto.

Vantaggi per le banche

“L’atteggiamento, immutato da 40 anni, di aspettare e limitarsi a reagire, non funziona più già da quattro o cinque anni”, commenta a swissinfo.ch Peter V. Kunz, professore di diritto economico e di diritto comparato dell’università di Berna. “Penso che sia stato perso un po’ il treno del cambiamento di strategia. Però non è ancora troppo tardi. Penso che occorra un cambiamento proattivo e spero intensamente che il gruppo di esperti formuli proposte in questa direzione”, aggiunge.

Con “questa direzione” Kunz intende scambio di informazioni. Ciò “presenta soprattutto benefici economici per le banche interessate. Possono trasmettere i dati esistenti senza complicazioni. Diversamente che con l’imposta liberatoria, non devono fare vari calcoli, prelevare tasse e trasmettere i soldi”.

Il modello dell’Unione europea prevede che le banche, due volte all’anno, notificano alle autorità fiscali del paese interessato tutti gli interessi accreditati ai propri clienti. Sono notificati il nome, l’indirizzo e l’importo degli interessi.

Da otto anni, 24 dei 27 paesi dell’UE scambiano automaticamente i dati bancari fiscali. Il risultato è deludente, secondo un rapporto pubblicato nel marzo 2012.

Le operazioni si inceppano già allo stadio dell’identificazione dei contribuenti, poiché finora non vige un unico codice di identificazione fiscale (TIN) a livello comunitario.

La maggior parte degli Stati membri dell’UE, ad eccezione della Danimarca, non sanno se lo scambio automatico di informazioni ha rafforzato l’onestà nelle dichiarazioni fiscali dei contribuenti.

Lo scambio automatico ha comunque un effetto deterrente. Secondo uno studio statunitense, il fatto che i contribuenti sanno che i loro dati andranno al fisco fa aumentare l’onestà fiscale del 40%.

Esperienze negative

Al contrario, l’esperto bancario zurighese Martin Janssen non vede “alcun motivo per cui dovremmo introdurre lo scambio di informazioni”. “Siamo disposti a consegnare il denaro. Se vi sono paesi che vogliono altro, allora non si tratta di soldi, bensì di repressione dei loro cittadini. Pertanto non dobbiamo tendere loro la mano”, dichiara a swissinfo.ch.

Secondo quanto indica un rapporto pubblicato da Bruxelles nella primavera del 2012, l’UE ha finora fatto esperienze prevalentemente negative nell’applicazione pratica dello scambio d’informazioni. Non tutti gli Stati membri l’hanno già introdotto. In parecchi paesi le autorità fiscali non sono in grado di trattare le enormi quantità di dati.

“I più si arenano già nella verifica. La maggior parte dei dati riguarda persone oneste. Perciò trovare gli evasori fiscali richiede uno sforzo enorme. Inoltre i dati sono forniti in formati diversi”, spiega a swissinfo.ch Mario Tuor, responsabile della comunicazione della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI).

Problemi giuridici

Con una imposta liberatoria, invece, “tutti sarebbero tassati perché sarebbe semplicemente detratta. Inoltre, a differenza dello scambio di informazioni, sarebbe applicata non solo sugli interessi, ma anche sui dividendi e i proventi da partecipazioni. Il fardello non incomberebbe alle autorità straniere, bensì alle banche svizzere”, afferma Tuor, illustrando i vantaggi del modello Rubik.

Secondo Martin Janssen, l’imposta liberatoria “è una soluzione intelligente, almeno per il passato. Anche dal profilo del diritto penale è una soluzione intelligente, perché non si possono consegnare ai loro paesi d’origine i clienti bancari che non hanno pagato le imposte. Ciò costituirebbe una violazione contrattuale”, poiché all’apertura del conto bancario al cliente è stato garantito il segreto, osserva l’esperto.

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Anche Peter V. Kunz giudica l’imposta alla fonte un’idea “sensata” per risolvere problemi ereditati dal passato, perché rispetta la riservatezza garantita dalle banche. Se la Svizzera non riuscisse a fare accettare l’imposta liberatoria, allora dovrebbe cercare di concordare “con i paesi stranieri una soluzione di amnistia per le persone interessate”.

Per il futuro, invece, secondo Kunz ci si deve concentrare sullo scambio di informazioni, perché “in ultima analisi, non deve importarci come si comporta con i propri contribuenti ad esempio la Germania. Se un paese tratta male i suoi cittadini, non è colpa nostra, ma spetta a quei cittadini cambiare la situazione nel loro paese, attraverso l’azione politica”.

Per le banche svizzere, però, resterà un problema, ammette Kunz. “Se le banche trasmetteranno dati ad esempio alla Germania, le autorità fiscali tedesche vorranno verificare se un determinato conto è stato aperto solo ora o da quanto tempo esiste”. Dunque, per risolvere le questioni legate al passato, ossia fondi neri depositati da anni su conti in Svizzera, occorre “proprio un’imposta liberatoria o un’amnistia”.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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