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Nel cuore di una centrale nucleare svizzera

Inaugurata nel 1984, la centrale nucleare di Leibstadt produce un sesto dell'elettricità consumata in Svizzera. KKL

Allorché il governo svizzero ha deciso di abbandonare progressivamente il nucleare, i proprietari delle centrali invitano regolarmente dei giornalisti per visitarle. swissinfo.ch si è recato a Leibstadt, la più potente e moderna delle quattro centrali atomiche costruite in Svizzera. Visita guidata.

A un certo punto durante la mia visita all’interno della cupola che contiene il reattore della più potente centrale nucleare svizzera sono rimasta contaminata. Forse un granello di polvere radioattiva si è posato sulla mia schiena, mescolandosi con una goccia di sudore.

Quest’autunno, assieme a un gruppo di una dozzina di giornalisti ho potuto visitare la Kraftwerk Leibstadt (KKL), la centrale nel canton Argovia aperta nel 1984 e giunta ormai a metà della sua esistenza, poiché la licenza d’esercizio ha una durata di 60 anni.

Il disastro di Fukushima nel marzo 2011 ha spinto il governo svizzero a decidere di abbandonare l’energia nucleare. Una scelta che la maggior parte della popolazione sembra sostenere: stando a una ricerca condotta nel 2012 dall’Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN), circa un quarto della popolazione svizzera ritiene che lo sfruttamento dell’energia atomica non giustifichi i rischi.

Avvicinandoci alla centrale, la torre di raffreddamento ci appare in tutta la sua monumentalità: 144 metri di cemento che si stagliano nel cielo. Oggi dal camino non fuoriesce la tipica nuvola di vapore. Camminiamo ancora qualche decina di metri ed è l’edificio che ospita il reattore a delinearsi in tutta la sua grandezza.

Una volta l’anno, la KKL viene spenta. Per la lobby nucleare è l’occasione per presentare la più moderna centrale svizzera e rispondere alle nostre domande.

L’impianto di Leibstadt, aperto nel 1984, è dotato di un reattore nucleare ad acqua bollente. La centrale consuma ogni anno circa 23 tonnellata di uranio arricchito, ovvero con una concentrazione tale di uranio 235 da permettere la reazione a catena.

La centrale ha prodotto nel 2012 oltre 7’800 GWh di elettricità, pari a circa un terzo dell’energia di origine nucleare in Svizzera e un sesto dell’elettricità consumata in Svizzera.

Costruire per il futuro

Durante questo periodo di revisione, si procede all’ispezione, al mantenimento e al cambio di diverse componenti. Un quinto delle barre di combustibile viene sostituito.

«La KKL sta costruendo per il futuro, poiché il piano è di rimanere operativi almeno fino al 2045», spiega il direttore Andreas Pfeiffer, che ci accompagna per la visita. «Anche se la Svizzera vuole progressivamente uscire dal nucleare, dobbiamo far sì che le centrali possano continuare a funzionare in tutta sicurezza fino ad allora».

Per la maggior parte delle persone, inclusa me stessa, la radioattività ha una connotazione negativa. Per avvertire un brivido freddo lungo la schiena, mi basta guardare il famoso simbolo giallo o sentire parole come irradiazione e contaminazione. Mi ricordo che avevo una bicicletta sulla quale avevo incollato un adesivo con la scritta Energia nucleare – No, grazie. Per me i disastri nucleari sono sempre stati la conferma dei pericoli della tecnologia. Quindi, la mia principale preoccupazione è la sicurezza.

Parola d’ordine: sicurezza

E la sicurezza, come ho potuto constatare sul posto, è la chiave di tutto. Una cupola di cemento che ricopre il contenimento primario d’acciaio funge da barriera esterna anti-radiazioni. La struttura è progettata per resistere ad uragani, terremoti e all’impatto di aerei.

Una volta dentro la cupola, per prima cosa scorgo il recipiente d’acciaio di 600 tonnellate che contiene il reattore. Il coperchio è stato rimosso per fare il pieno di combustibile. Andreas Pfeiffer, ingegnere di formazione, ci spiega che il reattore è un po’ come una pentola a pressione gigante, di un diametro di sei metri, con delle pareti spesse 16 centimetri e una potenza di 3’600 Megawatt.

Mentre sto guardando nel nocciolo del reattore, Pfeiffer spiega che i 16 metri d’acqua che ricoprono la piscina per la sostituzione degli elementi combustibili, sono sufficienti per bloccare le radiazioni emesse dalle barre. Sull’acqua non vi sono né increspature né riflessi ed è quindi difficile rendersi conto dove si trova la superficie.

Ad aiutarci è un coccodrillo gonfiabile che galleggia noncurante. È sicuramente il primo indizio che il personale ha un certo senso dell’umorismo. L’animale è la mascotte della squadra responsabile della manutenzione elettrica, che lo utilizza per verificare in un colpo d’occhio se l’acqua si trova al livello giusto.

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Questo contenuto è stato pubblicato al «Sì, però…». È in sostanza il messaggio che l’Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN) ha rivolto giovedì 21 novembre alle Forze motrici bernesi (BKW), che gestiscono la centrale atomica di Mühleberg. Sebbene BKW abbia rinunciato a sfruttare l’impianto per l’intero ciclo di vita, anticipandone la chiusura al 2019, dovrà continuare ad assicurare un elevato margine…

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Rischio di catastrofi

Proseguendo la visita, Pfeiffer tiene a sottolineare le principali differenze fra la KKL e gli impianti di Chernobyl e Fukushima. L’impianto ucraino non aveva una struttura di contenimento e gli operatori sono venuti meno ai principi di sicurezza basilari, ciò che ha provocato una reazione a catena incontrollata.

Fukushima era considerato un impianto sicuro ed era anche dotato di reattori GE, ammette Pfeiffer. Gli ingegneri hanno però sottovalutato il rischio sismico e di tsunami. Un edificio dove si trovavano le turbine è stato inondato, ciò che ha causato il malfunzionamento del sistema di raffreddamento.

Anche se dovesse verificarsi il peggior scenario possibile, in caso di alluvione improvvisa la KKL si troverebbe comunque 16 metri al di sopra del livello massimo delle acque. Per quanto concerne i terremoti, il più forte mai registrato in Svizzera risale al 1356. Secondo le stime, aveva raggiunto i sette gradi sulla scala Richter. Un sisma di magnitudo 9 come quello avvenuto in Giappone non potrà verificarsi in Svizzera, indica la KKL. Il rischio zero però non esiste, ammette Pfeiffer.

In tuta arancione

Che la KKL sia un luogo insolito, mi salta agli occhi fin dal primo momento. Al cancello d’ingresso veniamo chiamati come nella miglior tradizione militare, prima il cognome, poi il nome, per ricevere il badge visitatori, indispensabile per poter accedere all’area della centrale.

La biancheria di color arancione che dobbiamo indossare, comprese calze e maglietta con il logo KKL, non ci protegge dalle radiazioni. Il suo colore così vivo ha però il pregio che sicuramente non ci dimenticheremo di toglierla una volta finita la visita. Gli elmetti verdi – anche questi non a scopo protettivo – ci identificano come visitatori. Cambiamo tuta due volte, prima di prendere un ascensore che ci conduce nella struttura di contenimento.

Per entrare dobbiamo passare attraverso una camera d’equilibrio, una chiusa d’aria che permette di mantenere all’interno della struttura una pressione inferiore di quella esterna e di evitare così una fuga di particelle e di polvere. Varcando la porta, non avverto nessuna decompressione. Ciò mi fa venire in mente che non sarei neppure in grado di percepire delle radiazioni. Non so se simili pensieri abbiano anche attraversato la mente dei miei compagni di visita. Tutti sembrano piuttosto tranquilli.

Mentre aspettiamo per entrare, chiediamo alla nostra guida quali sono le qualità necessarie per lavorare qui e quali sono gli scherzi preferiti tra il personale. A giudicare dalla sua reazione, capiamo che la parola spiritosaggine non è contemplata nel vocabolario del posto.

La permanenza all’interno della centrale di Leibstadt è limitata al minimo indispensabile per ridurre la contaminazione. I vestiti e le scarpe devono essere cambiati per evitare di trasportare polvere che si è depositata sulle fibre. È vietato mangiare e bere, poiché l’assorbimento di particelle radioattive è particolarmente rischioso quando avviene attraverso i polmoni o lo stomaco. Il reattore ha un proprio sistema d’aerazione.

Prima di lasciare l’area, tutto e tutti vengono controllati, passando in particolare attraverso un detector capace di rilevare le più piccole dosi di particelle radioattive.

«Contaminato»

Quando ritorniamo nella camera d’equilibrio, mentre aspettiamo che la pressione ritorni alla normalità, Pfeiffer mi spiega come è arrivato alla KKL.

«Lavoravo per il gruppo ingegneristico Alstom quando mi hanno chiesto se ero interessato a lavorare per questa centrale. All’inizio non ero molto convinto. Quando ero giovane avevo partecipato a delle proteste contro le armi nucleari», spiega. «Però in seguito più sono stato coinvolto, più sono rimasto affascinato e ho quindi accettato la proposta».

Pfeiffer ci fa leggere il nostro dosimetro, che registra le radiazioni cui siamo stati esposti. Il mio segna quattro micro Sievert, meno delle radiazioni che assorbiamo durante un volo intercontinentale, osserva il direttore della centrale.

Mi sono però rallegrata troppo presto: «Contaminata», annuncia il detector all’uscita. Anche dopo essermi tolta tutti gli indumenti sussistono tracce di contaminazione. Solo dopo una doccia accurata, sono finalmente pulita. Non saprò mai con certezza cosa abbia fatto scattare l’allarme. Forse è stata una goccia di sudore. O forse dovrò pensare a cambiare lozione per il corpo.

La dose di radiazioni assorbita dipende dal livello di radioattività, dalla distanza e dalla durata dell’esposizione. La popolazione svizzera assorbe meno di 0,3 μSv/h (microsievert per ora) di radiazioni naturali. Il livello più alto – 0,5 μSv/h – è stato misurato nei pressi del Piz Giuv, nel canton Grigioni. Per un volo Zurigo-New York, le radiazioni cosmiche sono pari a 25 μSv/h. Chi lavora in una centrale nucleare assorbe in media 25 μSv/h. Alla KKL i dipendenti devono smettere quando superano 1’000 μSv/h al giorno.

L’effetto delle radiazioni sugli esseri umani è imprevedibile, ma in generale circa la metà delle persone esposte a più di 4 Sv/h (400’000 μSv/h) non sopravvive. A più di 10 Sv/h la morte è praticamente certa. Dopo l’esplosione del reattore di Chernobyl, le radiazioni nel locale di controllo hanno raggiunto 300 Sv/h, una dose tale da provocare la morte entro due minuti.

Oggi, le radiazioni nello stesso locale sono ancora così elevate che un essere umano non sopravvivrebbe più di 10 minuti.

(traduzione dall’inglese)

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