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Gli Stati Uniti mettono in gioco la loro credibilità al Consiglio ONU dei diritti umani

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La 49esima sessione del Consiglio dei diritti umani dell'ONU si tiene a Ginevra dal 28 febbraio al 1° aprile 2022. Keystone / Salvatore Di Nolfi

Dopo un'assenza di quattro anni, gli Stati Uniti sono tornati nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Washington afferma di voler contrastare l'influenza dei regimi autoritari e denunciare le violazioni dei diritti umani. Alcuni, però, dubitano della sua imparzialità.

Gli Stati Uniti sono di nuovo membri del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (CDU). Il Paese aveva lasciato l’organismo intergovernativo con sede a Ginevra nel 2018, sotto l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump. All’epoca, Washington aveva giustificato la decisione invocando i “pregiudizi cronici del Consiglio nei confronti di Israele” e il bilancio discutibile di alcuni suoi membri in materia di diritti umani.

Gli Stati Uniti hanno ottenuto lo statuto di osservatore nel 2021 e sono stati eletti per un mandato di tre anni come membro del Consiglio a partire dal 2022.

“Il Governo statunitense ha un enorme peso diplomatico che può fare una grossa differenza.”

Kenneth Roth, Human Rights Watch

“Il Governo statunitense ha un enorme peso diplomatico che può fare una grossa differenza. Se dispiega il suo esercito di diplomatici per raccogliere sostegno in favore di determinate risoluzioni, può contribuire a farle accettare”, dice Kenneth Roth, direttore esecutivo della ONG Human Rights Watch.

Tuttavia, l’impatto degli Stati Uniti dipenderà dallo sforzo dall’amministrazione del presidente Joe Biden nella difesa e nella promozione dei diritti umani.

Phil Lynch, direttore dell’ONG International Service for Human Rights, spera che gli Stati Uniti si asterranno dall’affrontare le questioni in modo politico o ideologico. “Speriamo e ci aspettiamo che gli Stati Uniti affrontino le situazioni relative ai diritti umani sulla base dei loro meriti in materia e applicando criteri oggettivi, come la gravità dei problemi”, dice.

Joe Biden ha dichiarato a più riprese che i diritti umani saranno al centro della politica estera americana. In qualità di osservatori in seno al CDU, gli Stati Uniti potevano partecipare ai dibattiti, ma non erano autorizzati a votare. La loro adesione al Consiglio rappresenta quindi un test dell’annunciato impegno.

Fare pressione sugli alleati

“Cosa farà l’amministrazione Biden quando i suoi amici violeranno i diritti umani? Sarà questo il test”, dice Kenneth Roth. A suo parere, il modo in cui gli Stati Uniti decideranno di agire sulla situazione dei diritti umani, ad esempio nello Yemen o in Egitto, sarà particolarmente rivelatore.

Dal 2014, la guerra civile in Yemen tra le forze ribelli Houthi sostenute dall’Iran e le forze governative appoggiate dall’Arabia Saudita ha portato a gravi violazioni dei diritti umani, compresi crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Nel 2017, il CDU ha adottato una risoluzione per istituire un gruppo di esperti ed esperte per indagare sulle violazioni del diritto internazionale da parte di tutte le parti in conflitto. Nel 2021, però, il Consiglio ha votato contro il rinnovo del mandato di questo gruppo.

Secondo Kenneth Roth, l’Arabia Saudita ha usato una combinazione di “minacce e lusinghe” dietro le quinte per revocare questo meccanismo di monitoraggio delle violazioni nello Yemen. Roth sostiene che questa decisione ha minato la credibilità del Consiglio e ha avuto un effetto devastante sul terreno, dove le vittime civili sono da allora aumentate.

Altri sviluppi

L’atteggiamento futuro degli Stati Uniti – sosterranno un monitoraggio dello Yemen altrettanto rigoroso di quello del 2017, malgrado l’opposizione dell’Arabia Saudita, loro alleata? – dirà molto sulla reale volontà di Washington nella difesa e promozione dei diritti umani.

Alcuni segnali suggeriscono che gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a fare pressione su alcuni dei suoi alleati. In gennaio, l’amministrazione Biden ha trattenuto 130 milioni di dollari in aiuti militari all’Egitto, citando la situazione dei diritti umani nel Paese. Tuttavia, nella stessa settimana, ha approvato la vendita di equipaggiamenti militari all’Egitto per un valore di 2,5 miliardi di dollari. “Un passo nella giusta direzione, ma un passo modesto”, dice Kenneth Roth.

Chi difende i diritti umani critica l’Egitto per la sua repressione delle voci che si oppongono al Governo guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sissi. Il CDU non ha mai adottato una risoluzione critica nei confronti dell’Egitto.

La Cina e il vuoto da colmare

In un discorso sulla decisione degli Stati Uniti di impegnarsi nuovamente in seno al CDU, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che il ritiro di Washington nel 2018 “non ha fatto nulla per incoraggiare un cambiamento significativo, ma piuttosto ha creato un vuoto nella leadership statunitense che i Paesi con programmi autoritari hanno usato a loro vantaggio”.

Phil Lynch ritiene che questa lettura sia fondata: “La Cina ha approfittato dell’assenza degli Stati Uniti per intensificare i propri sforzi per riformulare gli standard dei diritti umani, e per riformare e strumentalizzare il sistema internazionale dei diritti umani allo scopo di favorire gli obiettivi e l’ideologia del Partito comunista cinese”.

“La Cina ha approfittato dell’assenza degli Stati Uniti per intensificare i propri sforzi per riformulare gli standard dei diritti umani.”

Phil Lynch, International Service for Human Rights

Uno di questi sforzi è stata una risoluzione proposta dalla Cina per promuovere una “cooperazione reciprocamente vantaggiosa” nell’ambito dei diritti umani. La risoluzione è stata adottata dal Consiglio nel 2020. La Cina aveva presentato una prima risoluzione sull’argomento, adottata nel 2018.

Chi si batte per il rispetto dei diritti umani critica la risoluzione, affermando che essa riorienta il lavoro del Consiglio in quanto promuove nozioni di dialogo e di cooperazione vagamente definite a scapito della responsabilità degli Stati di proteggere i diritti umani.

Il risultato della votazione del 2020 – 23 a favore, 16 contro e 8 astensioni – evidenzia quanto sia divisiva l’iniziativa, e come i membri del Consiglio siano ora più consapevoli della strategia della Cina, sostengono le persone a difesa dei diritti umani. La risoluzione originale del 2018 era stata adottata con 28 voti a 1. Gli Stati Uniti erano stati gli unici ad opporsi e 17 Paesi si erano astenuti, compresi molti Stati europei.

Mentre gli Stati dell’Unione Europa si sono opposti alla risoluzione del 2020, molte nazioni africane l’hanno sostenuta. Le organizzazioni a difesa dei diritti umani affermano che la Cina sta usando la sua “Nuova via della seta” per ottenere voti all’ONU tra i Paesi in via di sviluppo.

L’influenza della Cina ha però dei limiti, dice Kenneth Roth. Nel 2021, rammenta, una risoluzione sul colonialismo guidata dalla Cina e che prendeva di mira l’Occidente si è ritorta contro Pechino quando due emendamenti britannici sulla persecuzione e l’assimilazione forzata (che potrebbero applicarsi anche ad alcune tattiche usate dalla Cina sulla sua popolazione) sono stati approvati per pochi voti. Nel 2021, la Cina ha ritirato un’altra risoluzione sulla “realizzazione di una vita migliore per tutti” per timore che non passasse.

Michelle Bachelet, l’Alta Commissaria per i diritti umani, dovrebbe presentare un rapporto a lungo atteso sulle presunte violazioni dei diritti nella regione cinese dello Xinjiang. Lo scorso dicembre, l’Alto commissariato ONU per i diritti umani (UNHCHR) ha annunciato che il rapporto sarebbe stato pubblicato a breve, ma la sua pubblicazione è stata ulteriormente rimandata. Human Rights Watch ha chiesto che ciò avvenga in tempo per l’attuale sessione del CDU.

“Quando questo rapporto sarà finalmente pubblicato, ci sarà un rinnovato sforzo per affrontare lo Xinjiang al Consiglio dei diritti umani (…) La questione è sapere se l’amministrazione di Joe Biden farà uno sforzo, in particolare al di fuori dell’Occidente, al fine di trovare il sostegno per quella che sarebbe la prima risoluzione sullo Xinjiang, attesa da tempo”, nota Kenneth Roth. I membri del CDU non hanno mai presentato una risoluzione sui presunti abusi in Cina.

Diverse ONG accusano la Cina di abusi contro la popolazione uigura e altri gruppi minoritari, tra cui la tortura e il lavoro forzato. Pechino respinge le accuse.

Secondo Phil Lynch, gli Stati (compresi ovviamente gli Stati Uniti) che desiderano contrastare la crescente influenza della Cina dovranno adottare essi stessi un approccio di principio, obiettivo e non selettivo sui diritti umani e sulla situazione nei vari Paesi. “Penso che qualsiasi sforzo per contrastare la narrativa e la strategia cinese che sia guidato principalmente da preoccupazioni politiche o ideologiche, piuttosto che dai diritti umani, è probabilmente destinato a fallire”.

“Attenzione sproporzionata su Israele”

L’anno scorso, Antony Blinken ha chiesto al CDU riforme simili a quelle auspicate dall’amministrazione di Donald Trump. Queste includono la soppressione del punto 7 dell’ordine del giorno – sulla situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati – e il miglioramento della composizione del Consiglio.

Il punto 7 dell’ordine del giorno dà mandato al Consiglio di discutere degli abusi del diritto relativi al conflitto israelo-palestinese durante ogni sessione. Nessun’altra situazione nazionale viene affrontata in un punto specifico dell’ordine del giorno.

Kenneth Roth dubita che questa particolare riforma rappresenti un buon approccio per gli Stati Uniti. “Al momento, dà solo l’impressione che stiano proteggendo Israele. Affinché questo sforzo sia di principio, dovrebbero sostenere fermamente le risoluzioni nei confronti di Israele che sono presentate sotto altri punti dell’ordine del giorno. Se gli Stati Uniti ritengono che ci siano troppe risoluzioni su Israele, potrebbero sempre introdurre un’unica risoluzione forte e consolidata”.

Tuttavia, chi difende i diritti umani riconosce che la composizione del Consiglio potrebbe essere migliorata.

I 47 membri del Consiglio sono eletti da una maggioranza dei 193 Stati membri dell’Assemblea Generale dell’ONU. I seggi del Consiglio sono distribuiti equamente tra i diversi gruppi geografici. I fattori chiave per l’elezione di un Paese dovrebbero includere il suo contributo alla promozione dei diritti umani e il suo impegno a rispettare severi standard.

Ma i gruppi regionali a volte presentano le cosiddette liste chiuse (ad esempio, tre candidati per tre seggi vacanti in una regione), permettendo così a Paesi con un bilancio discutibile in materia di diritti umani di diventare membri.

“Gli Stati Uniti non sono in una buona posizione per fare avanzare questa riforma perché hanno appena beneficiato di una lista chiusa. (…) Ci vorrà un accordo tra tutte le regioni per smettere di farlo. Gli Stati Uniti potrebbero prendere l’iniziativa in questo sforzo, ma qualsiasi tentativo di procedere al miglioramento della composizione del Consiglio senza affrontare questo problema fondamentale è destinato a fallire”, dice Kenneth Roth.

Giochi di potere

“È interessante notare che con il ritorno degli Stati Uniti, abbiamo ora una situazione in cui tutti i P5 sono anche membri del Consiglio dei diritti umani. Questo dimostra l’importanza che le grandi potenze attribuiscono al Consiglio”, dice Felix Kirchmeier, direttore esecutivo della Piattaforma dei diritti umani di Ginevra.

I P5 sono i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti). Ognuno di loro ha la possibilità di porre il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ciò che li protegge, assieme ai loro alleati, dalle sanzioni dell’ONU e dalle denunce presso la Corte penale internazionale.

Nessun membro del CDU ha diritto di veto, ma le risoluzioni del Consiglio non sono vincolanti e devono essere attuate dai Paesi stessi. In passato, i dibattiti sono talvolta migrati – come nel caso del conflitto in Siria – da un Consiglio di sicurezza in stallo al CDU.

Sebbene la presenza dei P5 nel CDU potrà, in linea di principio, dare più peso alle preoccupazioni sui diritti umani, Felix Kirchmeier ritiene che dato l’attuale contesto geopolitico “è quasi certo che il CDU diventerà uno sbocco dei dibattiti bloccati nel Consiglio di sicurezza”. A suo parere, il posizionamento politico sulle considerazioni sulla sicurezza in seno CDU potrebbe minare le discussioni sui diritti umani.

Giovedì, il Consiglio dei diritti umani ha tenuto un dibattito urgente sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Ucraina in seguito all’attacco russo. La riunione era stata votata lunedì da 29 dei 47 membri del Consiglio.

Phil Lynch sottolinea l’importanza di mettere da parte le considerazioni politiche se si vuole che il CDU adempia al suo mandato.

“La sfida sarà quella di evitare un gioco politico che alimenta la politicizzazione, la polarizzazione e, in definitiva, la delegittimazione del Consiglio dei diritti umani, per concentrarsi invece sui diritti umani. Questa è la sfida principale e penso che sia la base su cui sarà giudicato il successo del ritorno degli Stati Uniti”.

Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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