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Con Pavarotti se ne va una voce unica e «naturale»

Tenore,personaggio, uomo: Luciano Pavarotti è stato un artista a tutto tondo Keystone

Luciano Pavarotti, uno dei più grandi tenori del XX secolo, si è spento giovedì all'età di 71 anni, stroncato da un cancro al pancreas. I funerali avranno luogo sabato a Modena, la sua città natale.

Il musicologo Alain Perroux rende omaggio ad un tenore che con la sua «voce naturale» ha contribuito in modo decisivo a democratizzare la lirica.

«Penso che una vita per la musica sia un’esistenza spesa meravigliosamente ed è questo a cui ho dedicato la mia vita»: Luciano Pavarotti se ne va lasciando ai suoi ammiratori queste parole.

Pavarotti, si legge nel comunicato che ne annuncia il decesso, ha combattuto «una lunga, dura battaglia contro il tumore al pancreas» che infine ha prevalso. Fino all’ultimo, così come aveva vissuto e lavorato, è rimasto ottimista.

La sua morte lascia un grande vuoto nel mondo dell’opera. «Nel corso degli ultimi mesi sono scomparsi diversi grandi cantanti lirici», racconta a swissinfo il musicologo e responsabile del Grand Théâtre di Ginevra Alain Perroux. «Penso ad esempio a Régine Crespin. Oggi se ne è andato Pavarotti, che era il più famoso di tutti. Negli anni settanta e ottanta ha contribuito in modo decisivo alla democratizzazione della lirica».

Voce di platino

La carriera di Luciano Pavarotti è stata una delle più lunghe tra quelle dei cantanti lirici, vissuta tutta fuori dal coro, attraverso innovazioni spesso discusse e – come nella migliore tradizione – nella netta divisione tra feroci detrattori e appassionati sostenitori. Una carriera cominciata nel coro della sua Modena, dove era nato il 12 ottobre 1935. Quando la formazione corale, nella quale militava anche suo padre, vinse un premio internazionale in Galles, Pavarotti capì che sarebbe stato il canto la sua scelta di vita.

Forte di una voce che la sua collega Katia Ricciarelli ha definito «di platino», Pavarotti ha saputo entrare nella leggenda. «Ci ha insegnato che la voce è l’argomento principale dell’opera», racconta Perroux. «Pavarotti faceva passare tutto attraverso la voce».

«I cantanti lirici moderni hanno delle belle voci e dei bei corpi, in sintonia con i tempi», continua Perroux, autore tra l’altro di «L’opéra mode d’emploi» (L’opera, istruzioni per l’uso). «Lui era l’incarnazione stessa del mostro sacro: fisicamente possente, attore mediocre, faceva passare l’emozione dell’opera attraverso la sua voce solare, seducente, incredibilmente naturale. Dava l’impressione che cantare per lui non comportasse sforzo alcuno».

Indimenticabile Rodolfo

Nella memoria, il nome di Pavarotti resterà legato soprattutto a quello di Rodolfo, il protagonista della Bohéme di Puccini, l’opera che ha lanciato la sua carriera e che ha interpretato infinite volte. È il 1961, quando il ventiseienne Luciano vince il Concorso internazionale di Reggio Emilia, proprio con il ruolo di Rodolfo.

Alain Perroux cita anche il Riccardo del Ballo in maschera verdiano. «In quest’opera, Pavarotti interpretava un personaggio che, come lui, viveva con una leggera sfasatura rispetto al suo tempo».

È proprio nel ruolo di Riccardo che Alain Perroux ha assistito per la prima volta ad uno spettacolo con Pavarotti. «Ero adolescente e al Grand Théâtre di Ginevra davano il Ballo in maschera. Per me è stata un’emozione grandissima vedere quest’uomo sul palco, con la sua generosità nel canto e la sua capacità di toccare la gente con la voce».

Personaggio

Luciano Pavarotti non è però solo canto. «Soprattutto negli ultimi anni», afferma Perroux, «è diventato anche un personaggio per la stampa rosa e scandalistica, con tutti gli aspetti negativi della faccenda. Penso ad esempio alla relazione con la sua segretaria Nicoletta Mantovani che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro».

L’ultimo periodo della sua carriera, conclude Perroux, è stato caratterizzato da «progetti commerciali poco interessanti». Ma paradossalmente sono proprio quelli ad aver avvicinato Big Luciano al grande pubblico. Indimenticabili le esibizioni con Domingo e Carreras.

Nel bene e nel male, i Tre tenori sono uno dei fenomeni musicali e discografici degli anni novanta e segnano il progressivo allontanamento dall’opera di Pavarotti in favore dei recital, dei palasport e dei megaconcerti all’aperto. Il Pavarotti and Friends diventa un modo per impegnarsi in favore dei malati e dei più deboli. All’insegna della contaminazione musicale, sfilano artisti come Elton John, Liza Minnelli, Eric Clapton, Ligabue e i Litfiba.

Due anni fa Pavarotti ha avviato un’Accademia per giovani talenti a Modena, seguendo personalmente un piccolo gruppo di studenti. E fino a poche settimane prima della sua morte, ha passato molte ore ogni giorno insegnando ai suo allievi.

Accanto a lui fino all’ultimo, la moglie Nicoletta Mantovani e le figlie: le tre avute dal primo matrimonio, Lorenza, Cristina e Giuliana, e Alice.

swissinfo e agenzie

Luciano Pavarotti nasce a Modena il 12 ottobre 1935. È il tenore più famoso degli ultimi trent’anni. Figlio di un fornaio dell’esercito, appassionato di canto, Luciano, studia con il tenore Arrigo Pola e il Maestro Ettore Campogalliani.

Debutta il 29 aprile 1961, nel ruolo di Rodolfo in La Boheme, all’Opera di Reggio Emilia. Negli Stati Uniti trionfa nel febbraio 1965, a Miami, con Joan Sutherland, nella Lucia di Lammermoor.

Ma l’exploit arriva il 17 febbraio 1972, al Metropolitan di New York, dove nella Fille du Régiment di Donizetti manda in visibilio il pubblico con nove do di petto perfetti. Suo il record di 17 chiamate ed ovazioni al sipario. Da allora il suo nome è noto al grande pubblico grazie anche alla tv.

Negli anni 90, Pavarotti cura molto i concerti all’aperto, i concerti con Domingo e Carreras e il Pavarotti and Friends, che si rivelano dei grandi successi di pubblico. Si appanna invece il successo nei teatri, dove i melomani non sempre perdonano le stecche di un tenore ormai anziano.

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