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Con i libri, per muoversi tra le culture

Fabio Casagrande - la sua casa editrice è una delle più importanti della Svizzera italiana. i-Press

"Una fragile passerella tra le diverse Svizzere". Così vede Fabio Casagrande il ruolo della sua casa editrice, una delle più importanti della Svizzera italiana.

Fabio Casagrande è figlio d’arte, perché già il padre ha retto per anni le redini della casa editrice di Bellinzona. Lo ha intervistato Monica Piffaretti.

Monica Piffaretti: Cosa significa essere editore in una piccola regione come la Svizzera italiana e in un paese plurilingue come il nostro?

Fabio Casagrande: Significa innanzitutto operare in una piccola ma vivace realtà culturale che “produce” conoscenze di qualità, spunti di riflessione e, speriamo, piacere per la lettura, grazie ai suoi scrittori e ai numerosi ricercatori che lavorano con passione nei più disparati settori: dalla storia all’arte, dal diritto all’economia, alla letteratura, allo svago.

Significa talvolta mettere a disposizione le nostre competenze per qualificanti progetti pubblici: penso a pubblicazioni come la Storia del Ticino o la Storia dei Grigioni.

Sta a noi cogliere i frutti migliori, aiutarli a maturare con un lavoro redazionale e metterli a disposizione del più vasto pubblico possibile sia in Svizzera, sia in Italia.

Significa, dunque, essere attenti a quanto il territorio offre, essere piccolo laboratorio culturale, ma anche essere osservatorio che guarda fuori dal Ticino: per esportare i nostri libri e per importare nuove idee, nuove sensibilità e nuova letteratura. Significa vivere coscientemente il doppio ruolo di “grande” casa editrice della Svizzera italiana e di piccola casa editrice svizzera in Italia.

M. P.: Nel suo lavoro di editore svizzero-italiano quanto è centrale il ruolo di ponte che permette alle diverse Svizzere di conoscersi attraverso i libri tradotti?

F. C.: Parlare di “ponte” fra culture per un lavoro editoriale come il nostro, proprio qui in Ticino, dove stiamo assistendo alla realizzazione di veri grandi progetti del genio civile per rendere le Alpi più permeabili, sarebbe esagerato.

La nostra assomiglia piuttosto a una fragile passerella come quella che agli inizi del tredicesimo secolo collegava i territori urani con la Leventina prima del Ponte del Diavolo. Una passerella culturale che stiamo lentamente intrecciando con il filo sottile della traduzione. E, direi, con lo stesso impegno ed entusiasmo che anima oggi i cantieri di Alptransit, ma con meno clamore e ovviamente con molti meno mezzi.

M. P.: La sua impressione è che si fa abbastanza o che, nonostante gli sforzi, si conoscano poco le reciproche ricchezze letterarie? Il momento attraversato dall’italiano non è tra l’altro molto felice: nota anche lei uno scemato interesse?

F. C.: Padre Giovanni Pozzi ebbe a dire che “tutte le volte che il Ticino produrrà buona letteratura, essa non sarà né ticinese né svizzeroitaliana, ma italiana soltanto”. Anche la letteratura svizzera in questo senso non esiste, esistono semmai degli scrittori svizzeri che partecipano alle letterature tedesca, francese e italiana (e, caso a parte, a quella romancia).

Per conoscere meglio la letteratura prodotta nel nostro Paese, il lavoro editoriale di traduzione assume dunque grande importanza e andrebbe incentivato. Pro Helvetia, unico ente che sostiene la traduzione, vede però diminuire i fondi disponibili.

Le statistiche dicono che, in Svizzera, l’italiano è sempre meno usato (dal 7,6% del 1990 al 6,5% del 2000). Inoltre, i segnali che si captano non fanno ben sperare: si ha l’impressione che la Svizzera tedesca e quella francese si chiudano in “ridotti linguistici” sempre più isolati dove una lingua nazionale come l’italiano non ha più possibilità di essere praticata. Si pensi solo all’estinzione delle cattedre di italiano nelle Università d’Oltralpe.

M. P.: Che difficoltà si incontrano su un mercato più grande ma certamente anche più duro?

F. C.: Quando nel 2000 abbiamo deciso di tentare l’inserimento nel mercato librario italiano l’ambizione era di rilanciare la casa editrice con un programma che avesse un respiro culturale più ampio. Tale programma doveva riguardare sia i “contenuti”, sia le modalità di distribuzione dei libri. I due aspetti non potevano d’altronde essere disgiunti: sarebbe stato irragionevole infatti proporre a sud di Milano libri che riguardavano soltanto la nostra regione, perché semplicemente non interessavano. Né avrebbe avuto senso tradurre e pubblicare autori internazionali solo per il mercato regionale.

Non volevamo limitarci alla letteratura svizzera, ma d’altra parte potevamo notare che bravi autori come Hugo Loetscher, Jörg Steiner, Markus Werner e altri non erano mai stati tradotti in italiano; e neppure alcuni testi dei grandi Frisch, Dürrenmatt, Kristof, Walser e Glauser.

Gravi lacune dunque, probabilmente imputabili sia alla disattenzione per la Svizzera dell’editoria italiana, sia alle difficoltà dell’editoria ticinese su un mercato chiuso e minoritario come quello italiano.

Ricuperare questo ritardo non è facile anche perché tradurre e pubblicare in italiano implica investimenti che si possono affrontare solo grazie a importanti vendite, a sussidi pubblici o a sponsor privati.

M. P.: Alzando lo sguardo oltre il nostro confine, quanta ‘Svizzera’ viene esportata nell’area italofona attraverso i libri grazie al suo lavoro?

F. C.: Credo di poter rispondere tranquillamente che in questo senso abbiamo dato un contributo notevole.

Oltre alle migliaia di volumi distribuiti che continuano a vivere nelle librerie e nelle biblioteche pubbliche e private, ci sono anche le presentazioni, le fiere, le tournées degli autori (non solo poeti e romanzieri ma anche storici e saggisti vari) e soprattutto le numerose recensioni apparse sulle pagine culturali dei principali giornali ticinesi e italiani, trasmesse alla radio o in televisione.

Rispetto agli anni di Frisch e Dürrenmatt il panorama letterario è molto cambiato. In Italia l’attenzione per gli autori di lingua tedesca e francese è decisamente calata a favore di altre letterature. Ma di autori bravi ce ne sono parecchi e noi intendiamo fare la nostra parte per farli conoscere.

M. P.: La scuola potrebbe fare di più? Qualche altra idea per rinsaldare i ponti e permettere che più persone li attraversino per conoscere e conoscersi?

La Collana CH si sta adoperando per portare autori e traduttori svizzeri nelle scuole: un’ottima iniziativa che richiede però l’adesione degli insegnanti.

Per gli studenti incontrare gli scrittori, sentirli leggere e raccontare, è sempre un’esperienza molto stimolante: tutto diventa più semplice, più diretto, più vivo e coinvolgente. E poi i libri devono circolare, e qui le biblioteche scolastiche hanno un ruolo decisivo e possono fare molto più di quanto si creda. A volte basta un incontro casuale per accendere una passione.

Intervista a cura di Monica Piffaretti, pubblicata su “Pro Ticino” del 10 ottobre 2005

Le Edizioni Casagrande furono fondate a Bellinzona da una libreria creata nel 1924.

Negli anni ’40, accanto alla libreria, è sviluppata la tipografia. Nel 1950 esce il primo libro delle Edizioni Casagrande.

La produzione editoriale comprende libri di storia, arte, letteratura, architettura ed economia.

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