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Con gli occhi di Alvaro Bizzarri, il regista operaio

L'omaggio politicamente più significativo è quello che il Festival di Locarno ha recentemente reso ad Alvaro Bizzarri, operaio italiano, emigrato in Svizzera agli inizi degli anni Settanta. Una pagina di storia.

Alvaro Bizzarri è stato il primo operaio italiano in Svizzera ad aver scelto la cinepresa, per dar voce ai migranti e denunciare la condizione spesso aberrante dei lavoratori stagionali, separati dalle loro famiglie.

Con una semplice cinepresa super 8, realizza due film di finzione sulla sua condizione condivisa da migliaia di lavoratori immigrati. I due mediometraggi saranno seguiti da altri girati in 16mm.

Proiettati all’epoca nelle associazioni di immigrati, in numerosi festival e trasmessi alla televisione, i film di Alvaro Bizzarri conservano tuttora la forza della testimonianza. Oggi ha i capelli bianchi, qualche acciacco, ma la medesima lucidità, la stessa voglia di lottare e una grande, grandissima umanità. Incontro e intervista.

swissinfo: “Il vento della foresta sradica gli abeti, il vento della miseria sradica gli uomini dalla propria terra”. E’ solo uno dei passaggi di uno dei suoi lavori di cineasta. Una storia che sembra non finire mai. Guardando il film di ieri con gli occhi di oggi, quali sono le sue riflessioni?

Alvaro Bizzarri: L’emigrazione è sempre un mondo di sradicati. Quello a cui faccio riferimento ne Lo stagionale è soprattutto lo sradicamento italiano e spagnolo. Oggi la separazione dalla propria terra di origine continua, ma le condizioni sono molto diverse da quelle degli anni Settanta. Penso soprattutto a quanto succede ora in Italia, agli sbarchi dei migranti in condizioni inimmaginabili.

Situazioni quindi ben diverse dal mio vissuto personale e da quello di centinaia di stagionali della mia epoca. Se faccio un confronto con gli emigrati italiani in Svizzera e gli emigrati oggi in Italia, sono mondi molto distanti. I cadaveri dei migranti che il mare spinge e lascia sulla battigia delle coste italiane o spagnole, sono il segno di una storia aberrante, inverosimile, incivile. L’emigrazione esiste, eccome, e a che prezzo!

swissinfo: Perché gli emigrati di ieri, non tutti beninteso, si dimenticano di quelli di oggi? Quali sono le motivazioni profonde che possono spingere a rifiutare l’altro, quando nel passato l’altro sei stato tu. Vale anche per svizzeri e ticinesi, pure loro costretti a emigrare…

A.B.: E’ una realtà che esiste in tutti i paesi del mondo. Quando uno straniero arriva dove tu vivi, è considerato un elemento di disturbo che può alimentare sentimenti di xenofobia e, in certi casi, scatenare anche delle guerre. Io non vivo più in Svizzera da parecchi anni, per cui oggi non so come vengono accolti gli stranieri.

Il diverso, l’altro – e c’è sempre un altro rispetto a te – desta sospetti, genera diffidenza, crea paura. Credo che faccia parte del genere umano. E siccome si fa presto a dimenticare il proprio passato, anche chi ha conosciuto la condizione di migrante prova gli stessi sentimenti verso i nuovi arrivati.

Prendere coscienza della propria condizione e di quella degli altri è un passo fondamentale. Parlo per esperienza diretta. Sentirsi rifiutati come esseri umani e veder rifiutati i bambini perché non capaci di produrre ricchezza e benessere, è stato un grande e persistente dolore. Ma è servito anche per prendere coscienza e rivendicare i propri diritti.

swissinfo: Il suo film è rimasto di straordinaria attualità: la solitudine, la rabbia, l’incredulità, la delusione, l’emarginazione, la clandestinità. A me ha colpito la forza tranquilla di Giuseppe e il processo che lo ha portato a lottare, un processo di consapevolezza. Oggi che cosa è cambiato nell’espressione della lotta: c’è solo tanta, e legittima, rabbia?

A.B.: La lotta di Giuseppe di allora è in realtà la mia lotta raccontata ne Lo stagionale. Non so se lo stagionale Giuseppe avrebbe condotto questa lotta. So però che nella sceneggiatura che ho scritto, questa ribellione prima piccola e solitaria, poi grande e collettiva, è frutto della mia fantasia. E del mio bisogno, come stagionale, di venirne fuori.

Ho pensato che questo film potesse dare la possibilità a noi italiani di vedere con chiarezza la nostra condizione: uno specchio in cui potevamo osservare la nostra immagine riflessa e prendere coscienza di quanto fossero ingiuste le condizioni in cui vivevamo, sfruttati di giorno e di notte, separati dalle famiglie.

Era rimasto molto colpito dall’espulsione di alcuni bambini, figli di nostri connazionali, perché non avevano ancora raggiunto la capacità di lavorare. Seguivo sulla stampa le espulsioni che avvenivano in tutta la Svizzera e la disperazione di quei genitori.

Nel film Il rovescio della medaglia ho invece documentato la reale situazione degli stagionali, stipati in baracche insalubri. Ho illustrato le vere condizioni di vita di questi lavoratori, i beni che hanno prodotto in questo paese. Dando loro la parola, mostro senza veli una realtà ancora più dura.

swissinfo: La storia di queste lotte – che hanno indubbiamente migliorato quello che era lo scandaloso statuto dello stagionale – sembra non aver insegnato nulla, però. Quindi c’è sempre e ancora bisogno di lottare. Ma in che modo, secondo lei?

A.B.: Non spetta a me dire come bisogna lottare. Se giudico in base a ciò che vedo attorno a me, è che la voglia di lottare sta scemando; esisteva molto di più negli anni Settanta. Eppure anche oggi le lotte sarebbero necessarie. Credo infatti che nel mondo del lavoro siamo confrontati con palesi regressi piuttosto che con significativi progressi.

swissinfo: E’ così difficile ricordarsi che facciamo tutti parte di una stessa umanità?

A.B.: Alla paura dell’altro e del diverso non c’è una spiegazione logica. Credo che da quando l’uomo abita questo Pianeta, le lotte tra esseri umani ci siano sempre state. Insomma, non sono molto ottimista.

swissinfo: Quali sono i ricordi che le tornano in mente nelle sue vesti di regista operaio?

A.B.: Mi vengono in mente alcuni aneddoti. Quando ho progettato il film Pagine di vita dell’emigrazione, ho dovuto cercare i mezzi per realizzare il mio film. Mi ero rivolto alle istituzioni ufficiali (Confederazione e televisione svizzera) e non avevo ricevuto nessun aiuto. Mi ha invece aperto le porte la TV tedesca, a patto che la lingua del documentario, interamente girato in Svizzera, fosse il tedesco.

Il film è stato in seguito invitato a molti festival internazionali, compreso quello di Mosca. Sull’edificio che ospitava la rassegna cinematografica sventolava anche la bandiera svizzera. Mi ricordo che ero ansioso di scoprire la selezione elvetica. E, con mio immenso stupore, scopro che l’unico film svizzero era il mio. La bandiera che sventolava sul palazzo era per Pagine di vita dell’emigrazione, realizzato da uno straniero e finanziato da una TV tedesca. Quell’episodio mi aveva dato la misura della mia emarginazione.

Françoise Gehring, swissinfo.ch

Alvaro Bizzarri è arrivato in Svizzera nel 1955 a 20 anni. Saldatore, militante comunista (allora aderire al Pci in Svizzera prometteva l’espulsione), si appassiona al cinema e fonda un cine-club in seno alle Colonie Libere italiane.

Lascia la fabbrica in cui lavorava e diventa commesso in un negozio di apparecchi fotografici, dove impara i rudimenti del mestiere di cineasta grazie ad una cinepresa datagli in prestito dal datore di lavoro.

Nella Svizzera degli anni Settanta esplode la xenofobia. Contro il cosiddetto “inforestieramento”, il deputato James Schwarzenbach lancia un referendum per ridurre al 10% l’immigrazione che allora rappresentava il 17% della popolazione. Viene respinto come le altre due successive iniziative antistaniere nel 1974 e nel 1977.

Lo statuto dello stagionale impediva al lavoratore di prendere in affitto una casa, di cambiare datore di lavoro e di ricongiungersi con la famiglia, possibile solo dopo 45 mesi di lavoro e di presenza sul territorio ininterrotti (il permesso dello stagionale era di 9 mesi all’anno con l’obbligo di tornare in patria per 3 mesi).

I film di Alvaro Bizzarri hanno squarciato un velo sulle condizioni di vita degli stagionali, che gli svizzeri dell’epoca ignoravano.

Girati principalmente per i migranti, a cui dare uno specchio in cui vedere la propria condizione e risvegliare in loro un senso di ribellione, i film costituiscono ancora oggi una straordinaria testimonianza.

Il 1° settembre 2009 segna l’uscita di un doppio DVD che raccoglie 5 film di Alvaro Bizzarri: Lo stagionale (Le saisonnier), film di finzione girato nel 1971 (50 min – super 8), nonché diversi estratti dalla poesia visiva Pages de vie de l’émigration (54 min – 16mm – 1976).

Il DVD intitolato Accolti a braccia chiuse – Lavoratori immigrati in Svizzera negli anni 70 – Lo sguardo di Alvaro Bizzarri – è pubblicato su iniziativa di Morena La Barba e Alex Mayenfisch in partnership con Climage, la Cinemateca svizzera e la TSR.

La speranza di Alvaro Bizzarri è che i suoi film possano circolare, essere visti, suscitare dibattito in Svizzera come in Italia.

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