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Con Balthus è morto l’ultimo dei classici

Keystone Archive

Il pittore realista Balthus è morto domenica nel suo chalet di montagna a Rossinière, nel canton Vaud. L'artista francese di origine polacca avrebbe compiuto a giorni 93 anni. Balthazar Klossowski de Rola, questo il vero nome, è stato uno dei rarissimi artisti ad aver esposto in vita le sue opere nel museo del Louvre.

Figlio di due pittori e fratello del pittore-scrittore Pierre Klosowski, Balthus si era stabilito in Svizzera nel 1977 insieme alla sua seconda moglie Setsuko, di origine giapponese, in un ex albergo costruito a forma di Chalet. Nel 1993 era diventato patrizio onorario di Rossinière.

Considerato l’»ultimo dei classici», Balthus era uno dei «grandi vecchi» dell’arte del XX secolo, uno dei pochissimi artisti che hanno avuto il privilegio di esporre in vita al museo del Louvre proprie opere. La sua prima personale, a Parigi nel 1934, rivelò la profonda influenza sulla sua pittura degli artisti rinascimentali, soprattutto Piero della Francesca.

Dopo la guerra tornò a Parigi, dove creò le opere più grandiose ispirate alla vita cittadina. Nel 1954 si trasferì a Chassy e sperimentò l’uso di nuove materie legate al contatto con la terra. Sono di questo periodo i paesaggi, le nature morte, gli interni.

Nel 1961 gli fu proposta la direzione dell’Accademia di Francia a Roma. Balthus accettò e rimase a Roma per più di 15 anni, facendo tra l’altro restaurare Villa Medici – oltre a viaggiare in Oriente (l’atmosfera si ritrova in molte opere di quegli anni) – e dedicandosi, in particolare, al disegno. Dal 1977, l’artista viveva in un antico chalet ristrutturato a Rossinière, nel canton Vaud.

Balthus ha sempre seguito la tradizione figurativa, immune al fascino delle avanguardie. Recentemente grande successo di pubblico aveva avuto una sua mostra in Italia, proprio a Villa Medici, che esponeva, oltre ad alcuni olii di grandi dimensioni, disegni e acquarelli rarissimi.

Negli ultimi anni, nello chalet, dove era andato a vivere con la seconda moglie Setsuko, Balthus aveva continuato a dipingere, con la consueta, accurata lucidità, sempre teso al raggiungimento della perfezione.

Balthus, che il suo amico Federico Fellini definiva «un accumulo di storia», spesso amava ripetere: «Ogni volta che ho appena messo il tocco finale a un dipinto, ho l’impressione di aver dimenticato nel farlo quello che sapevo della mia arte, e che devo, di conseguenza, inventare di nuovo tutto. È come se uno si risvegliasse, con un discorso da pronunciare, e si accorgesse di non ricordare più i principi elementari della grammatica…».

swissinfo e agenzie

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