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I frontalieri quando non c’erano i “ristorni”

Una sbarra a righe (presumibilmente bianche e rosse) davanti a un posto di frontiera; persone attraversano a piedi
Il valico di Ponte Tresa (corsia d'entrata in Italia) nel 1970 RSI-SWI

Anno 1970. I lavoratori che ogni giorno attraversano il confine italo-svizzero sono 22'000. Una fortuna per il Canton Ticino, che colma lacune di manodopera e incassa tasse. Un problema per i comuni lombardi.

Edilizia, abbigliamento, meccanica e orologeria: sono questi i settori che, all’epoca, approfittano di più dei frontalieri. Ma la manodopera a buon mercato “che dorme in Italia e lavora in Svizzera” costituisce pure una preziosa risorsa fiscale per il Cantone.
 

Donne sedute alla macchina da cucire circondate da scampoli di tessuto; sul fondo confezioni accatastate
Azienda tessile nei pressi del confine tra Arzo e Saltrio, 1970. RSI-SWI

Già, perché le compensazioni finanziarie ai comuni italiani di frontiera (i famosi “ristorni” versati in virtù dell’Accordo sull’imposizione dei frontalieri del 1974Collegamento esterno) non ci sono ancora, e 9 milioni di franchi l’anno di trattenute sui salari restano in Ticino.

Il peso sui comuni italiani

I comuni italiani, specie quelli della provincia di Varese, ne soffrono. I frontalieri versano contributi minimi pur essendo una parte consistente della popolazione: Lavena Ponte Tresa ne conta ad esempio 1067, il 70% dei residenti.
 

Balcone con panni stessi e materiale vario depositato fuori dalla porta finestra
Un’abitazione di “nuovi arrivati” RSI-SWI

Inoltre, la situazione economica fa sì che lavoratori di tutta Italia si trasferiscano al Nord (emblematica Viggiù, che in 10 anni ha visto raddoppiare i suoi abitanti) creando ai comuni dormitorio un problema di alloggi, infrastrutture, servizi.
 

Contenuto esterno

‘I pagatori di imposte’, di Mario Realini e Silvano Toppi, fu trasmesso il 15 gennaio 1970 nell’ambito della serie ‘360’.

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