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Lotta alla corruzione: la Svizzera può fare meglio, secondo Transparency International

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La Svizzera è tra i Paesi meglio piazzati nella classifica di Transparency International. Ma per l'organizzazione resta ancora molto problematico il peso delle lobby in Parlamento. Keystone / Alessandro Della Valle

La Svizzera è uno dei Paesi in cui la corruzione del settore pubblico è percepita come molto bassa. Tuttavia, sotto molti aspetti ha ancora dei margini di miglioramento, ad esempio in ciò che riguarda il peso delle lobby in parlamento, ritiene Transparency International.

La Svizzera è abituata a figurare tra i migliori allievi nell’indice sulla percezione della corruzione nel settore pubblico (“Corruption Perception IndexCollegamento esterno“, o CPI) calcolato ogni anno dall’organizzazione per la lotta alla corruzione Transparency International.

La classifica 2020, resa pubblica giovedì, non fa eccezione. La Confederazione occupa la terza posizione con 85 punti su 100 (lo stesso punteggio del 2019) a pari merito con Finlandia, Svezia e Singapore. In testa, Danimarca e Nuova Zelanda ottengono 88 punti.

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Creato nel 1995, l’indice di percezione della corruzione di Transparency International comprende attualmente 180 Paesi. Si basa su una combinazione da 7 a 13 tra indagini, analisi e indicatori pubblicati da istituzioni indipendenti.

Non misura la corruzione reale, ma si concentra sulla valutazione del fenomeno da parte di esperti del settore scientifico ed economico. La scala va da 0 (molto corrotto) a 100 (molto poco corrotto). Si tratta dell’indice più utilizzato per misurare la corruzione nel settore pubblico su scala mondiale.

“La Svizzera ottiene regolarmente un punteggio molto buono, ed è una buona notizia”, commenta Martin Hilti, direttore di Transparency SvizzeraCollegamento esterno, interpellato da SWI swissinfo.ch. Ma si affretta a relativizzare: “Constatiamo anche che è ancora a 15 punti dal miglior punteggio possibile”.

I casi di corruzione nel settore pubblico esistono anche in Svizzera, sottolinea l’esperto, citando, tra gli altri, diversi scandali legati all’attribuzione di appalti pubblici in questi ultimi anni.

Per Martin Hilti, le pratiche che comportano un rischio importante di conflitto d’interessi sono frequenti. Il Paese dovrebbe sensibilizzare sulla questione e fare in modo che i casi confermati siano maggiormente sanzionati.

“Il clientelismo è una pratica diffusa”, sottolinea, citando anche il sistema dei “legami d’interesse” che permette ai parlamentari elvetici di avere mandati remunerati al di fuori della loro attività politica.

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Il direttore di Transparency Svizzera evoca ancora la pratica delle “porte girevoli”. In questi ultimi anni, molte polemiche hanno riguardato ministri e alti responsabili che hanno accettato funzioni nel settore privato immediatamente dopo il termine del loro mandato politico.

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“Le sfide più grandi sono nel settore privato”

Il buon risultato della Svizzera è inoltre “pericoloso, perché mostra solo una parte della verità”, precisa Hilti.

“Le nostre più grandi sfide sono nel settore privato” che non è preso in considerazione nell’indice. Un esempio riguarda il riciclaggio di denaro nel settore finanziario.

L’organizzazione ritiene che la Svizzera non disponga di meccanismi efficaci per scovare i casi di corruzione, o anche per prevenire e punire il riciclaggio di denaro.

La base legale elvetica in materia presenta importanti lacune rispetto agli standard internazionali minimi e il suo raggio d’azione dovrebbe essere esteso, ritiene il direttore di Transparency Svizzera.

La Confederazione potrebbe inoltre fare molto di più nell’ambito della protezione dei whistleblower, aggiunge.

Un ulteriore punto delicato riguarda le principali organizzazioni sportive internazionali, come la FIFA, molte delle quali hanno sede in Svizzera. Esse rappresentano un rischio di corruzione accresciuto a causa dell’enorme volume di denaro che muovono. “Dato che hanno sede da noi, la responsabilità di regolamentare meglio è della Svizzera”, ritiene l’esperto.

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Stagnazione per la maggior parte dei Paesi    

I risultati del CPI a livello globale mostrano che il problema è endemico. Più di due terzi dei Paesi hanno un punteggio inferiore a 50 e la media è 43.

In 10 anni solo una ventina di Stati sono migliorati significativamente e un’altra ventina sono invece regrediti. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno ottenuto il peggior punteggio dal 2012 (67 punti) dopo diversi anni in calo.

La maggior parte sono semplicemente in stagnazione e ciò fa pensare, secondo Transparency International, che gli sforzi dei governi per combattere le cause profonde della corruzione siano bloccati.

La corruzione compromette la risposta alla pandemia

La pandemia di Covid-19 mette in luce in modo concreto gli effetti deleteri della corruzione, che “compromette i sistemi sanitari e danneggia la democrazia”, secondo il rapporto.

La pubblicazione mostra che i Paesi meno corrotti investono di più nella sanità, tendono a fornire una copertura medica universale e rispettano meglio le norme, le istituzioni democratiche o lo Stato di diritto.

Transparency International cita l’esempio del Bangladesh (26 punti nel CPI), dove si constatano casi di appropriazione indebita nell’ambito degli aiuti economici e una corruzione onnipresente nelle forniture mediche. O ancora le Filippine (34 punti), dove la lotta al coronavirus è stata accompagnata da grandi violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa.

“La pandemia di Covid-19 ha permesso una maggiore centralizzazione del potere nelle mani dei governi, con un conseguente rischio accresciuto di abusi”, spiega Martin Hilti.

E anche se tali derive non sono state avvertite in Svizzera, anche qui la pandemia ha messo in evidenza dei problemi preesistenti, “in particolare il peso delle lobby”, dice. “Abbiamo notato che le organizzazioni con un buon accesso al governo o alle amministrazioni federali hanno avuto molta più facilità a far sentire la propria voce durante la crisi”. 

Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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