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Thierry Barrigue: “Lo spirito di Charlie Hebdo è completamente scomparso”

le dessinateur Thierry Barrigue avec la une de Vigousse du 7 janvier 2015
Mercoledì 7 gennaio 2015, Thierry Barrigue, allora redattore capo del giornale satirico svizzero "Vigousse", mostra la prima pagina. Keystone / Jean-christophe Bott

La rivista satirica Charlie Hebdo è sopravvissuta all'attentato che ha decimato la sua redazione nel gennaio del 2015. Lo "spirito Charlie", invece, è scomparso, perlomeno nella mente del pubblico. È l'opinione del vignettista svizzero Thierry Barrigue, che fa un'amara constatazione: "La paura ha vinto".

“Je suis Charlie”, io sono Charlie. Attorno a queste tre parole il mondo si è unito per difendere la libertà d’espressione, all’indomani del massacro nel quale sono stati uccisi dodici membri della redazione di Charlie Hebdo.

Un momento effimero, svanito velocemente, strangolato dalla dittatura di internet e dalle difficoltà della stampa. Fondatore di VigousseCollegamento esterno, settimanale satirico della svizzera francofona, Thierry Barrigue è preoccupato per il futuro dei disegnatori vignettisti.

swissinfo.ch: Cinque anni dopo gli attentati di Charlie Hebdo, la professione del vignettista è cambiata?

Thierry Barrigue: Sì, il mestiere è cambiato enormemente. A parte la perdita dei nostri amici e del loro talento insostituibile, il mondo del disegno nella stampa ha subito un duro colpo. Soffre a causa dell’autocensura che si impongono gli editori.

I giornali muoiono e spariscono. I vignettisti non riescono più a vivere esclusivamente con il loro lavoro e si lasciano piegare dalle costrizioni di internet e da coloro che hanno un’interpretazione malsana della libertà d’espressione.

I vignettisti hanno recentemente lanciato a livello internazionale una petizione per far iscrivere la professione nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Siamo arrivati a questo punto.


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Cosa bisognerebbe fare per salvaguardare la libertà d’espressione?

Non possiamo più accontentarci di disegnare nel nostro angolino, su un foglio, nei nostri rispettivi uffici. Dobbiamo diffonderci, scendere in strada, andare nelle scuole per assicurare un futuro al lavoro dei vignettisti. Bisogna introdurre la libertà di espressione e lo spirito critico nei programmi scolastici per formare una nuova generazione che consideri il disegno nella stampa come essenziale alla democrazia.

“Non è con la paura che permettiamo alla libertà d’espressione di progredire. Anzi, la facciamo arretrare.”

Il settimanale satirico Charlie Hebdo è sopravvissuto agli attentati, ma lo spirito che lo caratterizzava esiste ancora?

No. La celebre espressione “Je suis Charlie” è durata il tempo di un’immensa manifestazione a Parigi, in presenza di capi di Stato che, nei loro rispettivi paesi, imprigionano i vignettisti. Lo “spirito Charlie” è vissuto quanto un’emozione. Persiste attraverso il giornale, che ha potuto continuare ad esistere grazie alle donazioni ricevute dopo gli attentati, prima dei quali si trovava economicamente in agonia.

Nella testa della gente, lo “spirito Charlie” è completamente scomparso, poiché siamo in una società che ha, legittimamente, paura del futuro. Ormai, i giornali hanno paura di pubblicare certe vignette, paura della reazione del web, paura degli internauti anonimi. Non è però con la paura che permettiamo alla libertà d’espressione di progredire. Anzi, la facciamo arretrare.

La paura ha dunque vinto?

Sì, purtroppo, la paura ha trionfato. Lo dico con molto rammarico. Tra colleghi, siamo molto vicini gli uni agli altri, ma l’assenza di sostegno da parte della popolazione e della società è flagrante. C’è sempre una parte della gente che ama lo humor. Abbiamo il nostro pubblico, ma non è sufficiente per far vivere i vignettisti.

“Siamo in debito con questi morti. Sono lì, aleggiano sopra i nostri fogli, pensiamo sempre a loro.”

Malgrado tutto, non crede che le nuove generazioni di vignettisti possano riuscire a farsi carico di questi compiti?

Certo, i giovani disegnatori ci sono. Da Vigousse, ce ne sono una decina. Rappresentano una nuova generazione che riesce a vivere di questo mestiere. C’è ancora sempre una resistenza, una voglia di far perdurare l’espressione del disegno di satira, di critica.

C’è un prima e dopo Charlie Hebdo in Svizzera, perlomeno nella redazione di Vigousse?

Dire il contrario sarebbe ipocrisia. Non pubblichiamo più delle caricature con la leggerezza che avevamo negli anni ’70 e ’80. C’è sicuramente una maggiore consapevolezza delle responsabilità che incombono disegnando certi soggetti. Siamo in debito con questi morti. Sono lì, aleggiano sopra i nostri fogli, pensiamo sempre a loro.

“Humour. Non abbassiamo le braccia” La prima pagina di Vigousse una settimana dopo gli attentati di Charlie Hebdo. Barrigue / Vigousse

I vignettisti hanno paura di svolgere il loro lavoro?

Spero di no, ma noi siamo forse meno aggressivi. A Vigousse non abbiamo mai fatto disegni nello stesso stile di Charlie Hebdo perché il nostro pubblico è svizzero, non francese. Abbiamo comunque sempre avuto un approccio diverso. Dato che non siamo minacciati direttamente in Svizzera, non abbiamo paura.

In ogni caso, siamo coscienti che il disegno veicola spesso incomprensioni, rivelatrici della società e del mondo. Abbiamo una responsabilità supplementare.   

Qual è la differenza tra il pubblico svizzero e quello francese?

Si dice spesso che i francesi siano più spiritosi e provocatori, ma non è vero. Dopo aver fatto 10 anni di disegni a Parigi e 40 in Svizzera, ho incontrato più libertà e meno censura qui. In Svizzera c’è più tolleranza e si accetta meglio il pensiero altrui. E, contrariamente a quanto si pensi, gli svizzeri sono spiritosi.

Lo si vede a cominciare dalla nostra presidente che all’inizio dell’anno ha fatto il tradizionale discorso alla popolazione da una panetteria. All’estero questa storia ha fatto faville. Abbiamo un sistema che ci garantisce molta libertà.

Charlie Hebdo denuncia i “nuovi censori”

Il giornale satirico francese ha pubblicato il 7 gennaio un numero speciale, nel quale attacca i “nuovi guru del pensiero unico” e dà voce alle persone vicine alle vittime.

“Ieri sfottevamo Dio, l’esercito, la Chiesa, lo Stato. Oggi bisogna imparare a sfottere le associazioni tiranniche, le minoranze egocentriche”, scrive il redattore capo Riss nel suo editoriale.

“Oggi il politicamente corretto ci impone ortografie stereotipate, ci consiglia di non usare parole che si ritiene possano urtare delle sensibilità […]”, aggiunge, bacchettando i “nuovi censori” che “si credono i re del mondo dietro le loro tastiere e i loro  schermi”. “Le fiamme dell’inferno di un tempo sono state sostituite dai tweet critici di oggi”, scrive.

Il disegno di copertina è firmato Coco: uno smartphone gigante con il logo dei principali social network schiaccia la lingua e il braccio di un vignettista. Il titolo: “Nuove censure, nuove dittature”.

Dopo la morte dei suoi pilastri, la redazione si è ricostituita per quanto possibile. Ogni anniversario riaccende il trauma. E l’anno appena cominciato si annuncia faticoso per l’équipe poiché in maggio si aprirà il processo ai complici del massacro. Charlie Hebdo sarà nuovamente al centro dell’attenzione.  

(fonte: RTS)

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Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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