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Ugo Tognazzi, un monumento della commedia all’italiana

ugo tognazzi al telefono, in compagnia di Michel Serrault
Ugo Tognazzi nel 1978 assieme a Michel Serrault durante le riprese de Il Vizietto, uno dei film di maggior successo dell'attore italiano. Keystone / Str

Esattamente trent'anni fa, se ne andava all'età di 68 anni uno degli attori più celebri dell'epoca d'oro del cinema italiano. Un ricordo di Ugo Tognazzi nelle Teche della Radiotelevisione Svizzera.

Nato a Cremona il 23 marzo del 1922, segnato nell’estro da esperienze teatrali fatte durante l’infanzia, Tognazzi approda nel mondo dello spettacolo nel 1945, allorché vince a Milano un concorso per dilettanti. Questa situazione gli procura la prima scrittura con una compagnia di giro, che ben presto lo porta a farsi notare dall’ambitissima corte di Wanda Osiris e quindi dalla compagnia di Erika Sandri, che lo porta in giro per l’ltalia, dal nord al sud, con “Viva le donne” di Marchesi. È, questo, solo l’inizio di una intensissima stagione che lo vede impegnato in un crescendo di successi: nella stagione 1946-’47, dopo essere stato in scena con “Bocca baciata”, è accanto a Macario in “Cento di queste donne”; nel 1948-’49 è ancora con Macario in “Febbre azzurra” e poi passa con la Masiero in “Paradiso per tutti”; nel ’49-’50 è tra i protagonisti di “Castellinaria” di Amendola, Gelich e Maccari, seguito nel ’50-’51 da “Quel treno che si chiama desiderio”.

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Mentre le scene salutano con successo i suoi numerosi impegni, anche il cinema inizia ad accorgersi di lui: è infatti del 1950 la sua prima esperienza su un set, chiamato tra gli interpreti de “I cadetti di Guascona” di Mario Mattoli. E se il decennio vedrà Tognazzi partecipe di numerose commedie per lo schermo, il palcoscenico non cesserà di essere tra i suoi impegni, in un susseguirsi frenetico di lavori prestigiosi: “Dove vai se il cavallo non ce l’hai?”, “Ciao, fantasma”, “Barbanera, bel tempo si spera”, “Passo doppio”.

Il 1955 è un anno cruciale per l’evolversi della carriera di Tognazzi: da un lato registra infatti il debutto nel teatro di prosa con la commedia di Bracchi “Il medico delle donne”, dall’altro segna il consolidarsi del successo televisivo che, dalla fine del ’54, lo vede protagonista, in inseparabile coppia con Raimondo Vianello, di “Un, due, tre”, il fortunatissirno varietà della Rai che lo impegnerà sino al 1959.

Gli anni Sessanta segnano la svolta. Tognazzi decide di dedicarsi esclusivamente al vorticoso mondo del cinema. L’occasione giunge con “Il federale” di Luciano Salce: è il 1961 e, con la sua caratterizzazione del graduato delle brigate nere Primo Arcovazzi, Tognazzi rivela anche sul grande schermo le sue doti di interprete destinato a offrire il suo volto alla stagione d’oro della commedia italiana: con Salce gira “La voglia matta” e “Le ore dell’amore”; con Dino Risi fa “La marcia su Roma” e subito dopo trova la consacrazione definitiva con “I mostri”, entrambi interpretati accanto a Vittorio Gassman. Ma è soprattutto con Marco Ferreri che Tognazzi trova la chiave per definire un personaggio umanamente surreale in opere fondamentali come “Una storia moderna: l’ape regina”, “La donna scimmia”, “Controsesso” e “Marcia Nuziale”.

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Gli anni Settanta trovano Tognazzi interprete sempre più acuto. L’incontro con Mario Monicelli produce due grandi successi come “Romanzo popolare” e “Amici miei” (campione d’incassi nel ’75), quello con Lattuada il pungente “Venga a prendere il caffé da noi”, mentre con Risi realizza, tra gli altri, “ln nome del popolo italiano”, “La stanza del vescovo” e “Primo amore”. Accompagna inoltre lo scrittore Alberto Bevilacqua nelle prove cinernatografiche de “La Califfa” e “Questa specie d’amore” e ritrova il miglior Ferreri con”La grande abbuffata” (’73), che gli regala il successo internazionale, bissato poi nel ’78 in chiave completamente diversa con “Il vizietto” di Edouard Molinaro.

Gli anni Ottanta lo accolgono sulla “Terrazza” di Ettore Scola (’80) ma soprattutto lo salutano straordinario interprete della “Tragedia di un uomo ridicolo” di Bernardo Bertolucci che gli procura il premio per l’interpretazione al Festival di Cannes dell’81: è un traguardo che Tognazzi tocca con orgoglio, ma che purtroppo si tramuterà in motivo d’amarezza quando, negli anni successivi, constaterà che il cinema italiano non è più capace di offrirgli ruoli in grado di valorizzarlo. A parte “Il petomane” di Pasquale Festa Campanile e “Ultimo minuto” di Pupi Avati, gli anni Ottanta sono poco magnanimi con il’attore.

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Il personaggio pubblico brilla come cuoco d’alta cucina in TV e nei libri di ricette, e l’artista torna a calcare il palcoscenico accettando con orgoglio l’invito di Strehler a Parigi per recitare in francese alla Comédie Française i “Sei personaggi in cerca d’autore” e poi portando in scena in ltalia “L’avaro” di Molière con la regia di Missiroli e “M. Butterfly”.

Ugo Tognazzi muore per un ictus il 27 ottobre del 1990, a 68 anni: reduce dal set del telefilm Rai “Una famiglia in giallo” e in procinto di replicare a Roma il trionfo milanese del “M. Butterfly”.

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