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Chieste misure più severe per le grandi banche svizzere

L'UBS e il Credit Suisse potrebbero sottostare a regole più severe di quelle previste da "Basilea 3". Keystone

L'UBS e il Credit Suisse dovranno sottostare a regole più severe: è quanto preconizza la commissione d'esperti incaricata dal governo svizzero di trovare una soluzione per limitare i rischi degli istituti "too big too fail".

Secondo la commissione, i fondi propri delle grandi banche dovrebbero ammontare al 19% degli attivi ponderati in funzione dei rischi, quasi il doppio rispetto a quanto stabilito dai governatori delle banche centrali.

Atteso da tempo, il rapporto suggerisce di inasprire le norme sulla ripartizione dei rischi, i fondi propri e la liquidità, per limitare i rischi degli istituti “too big too fail”, ossia troppo grandi per fallire.

Il documento propone in primo luogo di aumentare i fondi propri dell’UBS e del Credit Suisse al 19% degli attivi ponderati in funzione dei rischi. Una quota che rappresenta praticamente il doppio di quanto stabilito nell’accordo “Basilea 3”, raggiunto a settembre dai governatori delle banche centrali e al vaglio del G20 a novembre.

Da notare che le due principali banche svizzere potranno rafforzare i mezzi propri in parte anche ricorrendo alle cosiddette obbligazioni condizionate obbligatoriamente convertibili ( CoCos).

I tassi dei fondi propri di base (“Common equity Tier “) dovranno inoltre raggiungere entro il 2018 il 10% degli attivi ponderati in funzione dei rischi, rispetto al 7% previsto da “Basilea 3”. Stando a queste norme, i fondi propri comprenderanno unicamente il capitale azionario e il riporto degli utili. La commissione raccomanda infine di limitare il tasso di indebitamento sulla base di un limite alla leva finanziaria (“leverage ratio”) fissato al 5% dei fondi propri.

Oltre alle disposizioni sui mezzi propri, molto più severe rispetto alle regole di “Basilea 3”, sono previste altre misure. L’UBS e il Credit Suisse dovranno prendere provvedimenti organizzativi per garantire la ontinuazione delle funzione di rilevanza sistemica – in particolare traffico pagamenti, operazioni di deposito e credito – in caso di insolvenza.

Aspettando “Basilea 3”

Il rapporto – adottato all’unanimità – è stato definito un “compromesso” dal presidente della commissione d’esperti Peter Siegenthaler, secondo cui si tratta di un’occasione per dare maggiore stabilità alla piazza finanziaria svizzera. La palla passa ora nelle mani del Consiglio federale (governo svizzero) che metterà probabilmente un progetto in consultazione.

A settembre, i governatori delle banche centrali avevano già raggiunto un accordo – denominato “Basilea 3” – che impone agli istituti requisiti più severi in materia di patrimonio. Se avallata dal G20, l’intesa obbligherà le banche internazionali ad aumentare progressivamente i loro indici di patrimonio che la recente crisi ha mostrato troppo deboli e gonfiati da strumenti e attività rivelatisi senza valore.

«Al momento, le proposte elvetiche sembrano molto severe rispetto alle norme previste dall’accordo “Basilea 3″», spiega a swissinfo l’analista della Banca cantonale di Zurigo Andreas Venditti. «Ma la commissione di Basilea sta cercando di trovare un’intesa globale su un pacchetto di misure aggiuntive per ridurre i rischi sistemici. E se queste saranno approvate, la differenze tra la Svizzera e gli altri paesi saranno sensibilmente ridotte».

L’UBS e il Credit Suisse pronti ad agire

Il Credit Suisse e l’UBS hanno già fatto sapere di accettare senza particolari preoccupazioni queste nuove norme e di riuscire ad aumentare il proprio capitale entro i tempi stabiliti dalla commissione.

In un comunicato diffuso lunedì, il Credit Suisse “confida di ottemperare ai nuovi, severi requisiti nell’arco di tempo previsto grazie alla sua strategia orientata alla clientela e all’efficienza del capitale, puntando ad una base di capitale fondata sugli utili”. Il numero due del settore bancario elvetico si sta preparando già da due anni all’evoluzione delle normative, si legge nella nota, e ha già integrato un inasprimento nella sua strategia. Il Credit Suisse sottolinea di aver ridotto di circa il 30% negli ultimi anni i suoi attivi ponderati in funzione dei rischi, nell’ambito dell’accordo “Basilea 2”.

Così come il Credit Suisse, anche l’UBS ha lasciato intendere in una nota che riuscirà a rispondere alle nuove esigenze dettate dalla commissione senza toccare altri capitali. L’UBS si è inoltre detta pronta e ben preparata per far fronte a questa evoluzione.

La BNS e la FINMA chiedono una rapida attuazione

Toni positivi giungono anche dalla Banca nazionale svizzera (BNS) e dalla FINMA (autorità di vigilanza sui mercati finanziari) che hanno accolto con favore le proposte della commissione, sottolineando la necessità di una loro rapita e completa attuazione.

Il pacchetto “contribuirà ad attenuare sensibilmente la problematica del ‘too big to fail’ in Svizzera e ridurrà così i rischi per l’economia nazionale”, ha indicato in una nota il presidente della BNS Philipp Hildebrand. “È rallegrante che le misure proposte siano il frutto di un largo consenso. Ciò ne faciliterà l’attuazione”, ha aggiunto.

Dal canto suo, l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) sottolinea il «ruolo precursore della Svizzera su scala internazionale». L’ASB si attende ora che le istituzioni svizzere facciano pressione sugli altri stati affinché adottino misure altrettanto severe e complete.

Il PLR si dice soddisfatto delle misure proposte. Stando al deputato argoviese Philipp Müller – specialista in materia – bisogna tuttavia metterle in pratica il più presto possibile. Se saranno accolte dal governo senza stravolgimenti, queste disposizioni avranno buone possibilità di passare anche davanti al parlamento.

Il deputato del PPD Pirmin Bischof ritiene dal canto suo “opportune” le regole proposte dalla commissione, ma giudica troppo lunghi i tempi di realizzazione previsti.

In linea con gli altri partiti borghesi, anche l’UDC si è espressa in modo positivo, sottolineando però la necessità di attuare al più presto queste misure.

Diversa invece la reazione del PS – che denuncia un’influenza troppo grande dei banchieri – e dei Verdi che giudicano le misure troppo blande per risolvere il problema degli istituti “too big too fail”.

Gli Accordi di Basilea definiscono i requisiti patrimoniali delle banche stabiliti dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori delle banche mondiali allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

I requisiti di capitalizzazione delle banche sono stati definiti nel 1988 con l’Accordo sul capitale minimo delle Banche, noto appunto come Accordo di Basilea. Con il passare degli anni, l’intesa si è rivelata inadatto a fronteggiare le nuove sfide legate ai prodotti finanziari, ai mercati bancari e alle tecniche di gestione dei rischi.

Di conseguenza, nel 2007 è entrato in vigore un nuovo accordo sui requisiti minimi di capitale (Basilea 2): la nuova intesa fissava il coefficiente di solvibilità all’8%. Tale coefficiente definisce l’ammontare minimo di capitale che le banche devono possedere in rapporto al complesso delle attività ponderate in base al loro rischio creditizio.

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