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Che futuro per la Key Plastics?

Amministrata da George Bush senior

Lo stabilimento Key Plastics di Novazzano ha una storia abbastanza lunga. Originariamente si chiamava Foggini Sa, una società elvetica che però dipendeva dall’italianissimo Gruppo Foggini di Beinasco, in pieno hinterland torinese (classico «indotto Fiat», dunque).

Recentemente era entrata a far parte della di una multinazionale americana, la Key Automotive specializzata in componentistica per l’auto, che però ha avuto problemi finanziari gravissimi fino quando, un anno fa, è stata costretta a chiedere il «Chapter 11» – il regime di amministrazione controllata che, secondo il diritto fallimentare statunitense, protegge dall’azione dei creditori.

Era infine stata rilevata dal potente Carlyle Management Group, gruppo finanziario che ha tra i suoi amministratori alcune delle personalità politiche più note del mondo anglosassone.

Tra gli altri Frank Carlucci (ex ministro della difesa Usa), James Baker III (segretario di stato e ministro del Tesoro con Reagan), l’ex premier conservatore britannico John Major e persino George Bush senior, a sua volta presidente e padre dell’attuale presidente americano.

Assorbita?

Il Carlyle è però un gruppo che ha come “core business” la partecipazione azionaria in industrie legate alla costruzione di armamenti, come United Defense, QinetiQ, Bofors, LTV (missili, ecc) e decine di altre

Nei giorni scorsi gli stessi dirigenti svizzeri di Key Plastics hanno diffuso un comunicato secondo cui la Carlyle «sta considerando il trasferimento di tutte le attività dell’azienda di Novazzano negli stabilimenti Key Plastics europei già esistenti e direttamente presenti nelle vicinanze dei principali costruttori d’automobili».

Posti di lavoro

I sindacalisti della Federazione dei lavoratori della meccanica e dell’orologeria sono sembrati sorpresi, ma anche un po’ rassegnati. La «mente» della Key Plastics è infatti in un altro continente – a Dallas, in Texas – e sembra abbastanza indifferente alle sorti di questa per lei piccola entità produttiva.

Tutt’altro, naturalmente, il punto di vista dei lavoratori. Quasi tutti sono frontalieri, soprattutto donne, che quotidianamente arrivano dalle province di Como e Varese.

Per loro, oltre al problema occupazionale, c’è anche qualche incertezza su chi – tra Italia e Svizzera – dovrà farsi carico degli «ammortizzatori sociali» o della loro ricollocazione presso altre aziende.

Paolo Bertossa

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