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Che cosa sta facendo la Svizzera per raccogliere prove dei crimini di guerra in Ucraina?

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La procuratrice generale ucraina Iryna Venediktova (a sinistra) raccoglie prove di possibili crimini di guerra dall'inizio dell'invasione del suo Paese da parte della Russia. Anche la Corte penale internazionale e diversi procuratori nazionali, tra cui quello svizzero, stanno conducendo indagini. Keystone / Oleg Petrasyuk

Lo scorso marzo, il procuratore generale svizzero ha annunciato di voler istituire una task force per raccogliere prove dei potenziali crimini di guerra commessi in Ucraina tramite le testimonianze di rifugiati e rifugiate. Anche diverse ONG a Ginevra sono impegnate in questo senso. Vediamo cosa stanno facendo e come si stanno coordinando.

“L’idea è molto semplice”, ha detto il procuratore generale Stefan Blättler a SWI swissinfo.ch il 29 aprile. “Non ci è possibile perseguire qualcuno per crimini di guerra se la persona incriminata non si trova in Svizzera. D’altro canto, al pari di tanti altri Paesi europei abbiamo qui moltissimi rifugiati e rifugiate [dall’Ucraina], che avranno sicuramente visto qualcosa o che potrebbero offrire la propria testimonianza in eventuali processi per crimini di guerra. Ecco perché dobbiamo far sì che tutte queste potenziali prove siano a nostra disposizione”.

Al momento non ci sono persone sospette in territorio elvetico, spiega Blättler, ma ciò non significa che non sia un’eventualità che potrebbe verificarsi o che prima o poi non verranno indetti dei processi. Se riuscisse a raccogliere delle prove, la Svizzera potrebbe condividerle con i Paesi che indiranno processi per crimini di guerra in Ucraina o con la Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia.

Seguendo le segnalazioni di 41 Paesi, Svizzera inclusa, subito dopo l’invasione russa il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha avviato un’indagine sulla situazione in UcrainaCollegamento esterno. Il procuratore generale ucraino ha iniziato a raccogliere prove dei crimini di guerra fin dall’inizio del conflitto e, come in Svizzera, molti altri procuratori nei diversi PaesiCollegamento esterno hanno organizzato speciali task force per raccogliere informazioni in materia. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, poi, ha organizzato una commissione d’inchiesta indipendente.

“Un obbligo morale”

Blättler ha assunto il ruolo di procuratore generale dal 1° gennaio, in seguito alle dimissioni forzate del suo predecessore Michael Lauber tra le accuse di cattiva condotta nelle indagini contro la corruzione nella FIFA, la federazione calcistica internazionale con sede a Zurigo. Sotto la direzione di Lauber, l’ufficio del procuratore generale è stato criticato per la lentezza con cui affrontava i casi dei crimini di guerra, mentre Blättler ha dichiarato di volerli rendere una delle sue priorità.

“Come nazione in cui è nata l’idea della Croce Rossa, abbiamo un particolare obbligo morale a non restarcene con le mani in mano.”

Stefan Blättler, procuratore generale della Confederazione

“Come nazione in cui è nata l’idea della Croce Rossa, abbiamo un particolare obbligo morale a non restarcene con le mani in mano”, ha detto a SWI swissinfo.ch. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) è il custode delle convenzioni di Ginevra che, tra le altre cose, hanno l’obiettivo di proteggere i civili nelle situazioni di conflitto.

Come si svolgerà quindi il lavoro della task force dedicata all’Ucraina? “Ho incaricato il mio dipartimento responsabile dei crimini di guerra e contro l’umanità di cercare potenziali testimoni. La ricerca viene svolta tramite l’operato della polizia e della Segreteria di stato della migrazione”, spiega Blättler.

Sarà quindi la polizia a raccogliere e conservare potenziali prove dai rifugiati e dalle rifugiate. L’ufficio del procuratore generale, infatti, non può occuparsene a meno che non venga presentata una denuncia contro una persona sospetta in territorio svizzero, spiega. Solo così potrebbe accedere ai dati raccolti dalla polizia.

Blättler ritiene che ci vorrà del tempo prima che la gente si convinca a fasi avanti: “Molti rifugiati e molte rifugiate sono traumatizzati e hanno ben altre preoccupazioni che quella di presentarsi a prestare la propria testimonianza. Sono convinto che ci vorrà del tempo ma che alla fine arriveranno, parleranno con la polizia e finalmente avremo qualcosa da usare non appena verrà indetto il primo processo”.

Le ONG sono già al lavoro

Anche diverse ONG sono all’opera in questo senso, incluso in Svizzera. Gerry Simpson, di Human Rights Watch Ginevra, è appena rientrato dall’Ucraina. La sua organizzazione, che ha sede negli Stati Uniti, è impegnata a raccogliere prove sul territorio, oltre che online. La ONG vanta una lunga esperienza in questo campo e aveva già un membro dello staff in Ucraina quando è iniziata l’invasione russa. Al momento, l’incarico è ripartito a turni tra cinque persone.

Le prime interviste sono avvenute principalmente per telefono, con le persone che abitavano nei luoghi sotto attacco, spiega: “Poi siamo entrati nelle aree liberate per parlare con la gente faccia a faccia. È una fase molto importante, perché è il modo più efficace per capire cosa è successo, andando in un posto preciso e chiedendo ai testimoni di spiegarti passo per passo che cosa hanno visto accadere in quel luogo”.

Human Rights Watch, poi, confronta le testimonianze ricevute con immagini via satellite e materiale raccolto dai social media grazie a un team dedicato di cinque persone. Tra i suoi report si annovera anche quello pubblicato il 21 aprileCollegamento esterno, in cui si è scoperto che “le forze armate russe hanno commesso una lunga serie di potenziali crimini di guerra durante l’occupazione di Bucha”.

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La ONG elvetica TRIAL International, con base a Ginevra, mette in campo un diverso tipo di esperienza. Composta principalmente di avvocati e avvocatesse, è specializzata nel portare i casi sotto giurisdizione universale, un principio che consente ai Paesi di indire processi per crimini internazionali (genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra) commessi ovunque nel mondo, a prescindere dalla nazionalità o dal luogo di residenza della persona sospettata.

Elsa Taquet, avvocatessa di TRIAL operante in Ucraina, dice che la sua organizzazione ha mappato 166 Paesi che hanno adottato questo principio nella propria legislazione internazionale, tra cui 20 che, a differenza della Svizzera, non richiedono che la persona sospetta si trovi sul proprio territorio per avviare un caso.

Il “valore aggiunto” di TRIAL

Con così tante ONG ed enti internazionali impegnati a raccogliere prove sulla guerra in Ucraina, TRIAL ha cercato di capire in che ambito poteva apportare un “valore aggiunto”, ha spiegato Taquet a SWI swissinfo.ch, finendo per definire due diverse aree: l’assistenza nella creazione di casi di giurisdizione universale e la consulenza alle autorità ucraine per i processi locali, perché, qualora potesse e volesse perseguirli, l’Ucraina avrà la precedenza su ognuno di questi casi.

Per poter portare a termine queste due missioni, TRIAL ha avviato una collaborazione con altre ONG, tra cui diverse organizzazioni presenti in Ucraina e nei Paesi vicini.

“La grande quantità di meccanismi investigativi in azione in Ucraina mette tutti coloro che operano nell’ambito dei diritti umani di fronte a un territorio finora inesplorato.”

Gerry Simpson, Human Rights Watch

Secondo TRIAL, i casi perseguiti in Ucraina o sotto giurisdizione universale avranno una risoluzione più rapida, nell’immediato futuro, a differenza di quanto potrebbe accadere per corti internazionali come la CPI (sebbene la Corte penale internazionale finora abbia agito con una rapidità senza precedenti su tutto ciò che riguarda l’Ucraina), cosa che potrebbe avere un effetto deterrente. Il 13 maggio un soldato russo è apparso in tribunale a KievCollegamento esterno in preparazione al primo processo per crimini di guerra nel Paese.

Taquet dice che la sua organizzazione si sta concentrando soprattutto sugli “eventi gravi” della guerra in Ucraina. “Mi riferisco per esempio ad attacchi indiscriminati con armi vietate come le bombe a grappolo, o attacchi contro ospedali ed edifici civili. Un altro criterio è il numero di vittime. Suona orribile, lo so, ma semplifica le ricerche, perché è probabile che in questi casi ci sia un maggior numero di testimoni”.

Coordinamento internazionale

Secondo Taquet, la cooperazione internazionale è fondamentale, considerati i tanti attori coinvolti nella raccolta di prove sotto varie forme.

Il coordinamento con i diversi partner internazionali è parte del lavoro della task force elvetica sull’Ucraina, specifica Blättler: “Penso alla Corte penale internazionale all’Aia, a organizzazioni internazionali come Eurojust ed Europol e agli altri Stati”, ha detto. “Dobbiamo scambiarci tutte le possibili informazioni su cui basare eventuali procedimenti”.

Eurojust ed Europol sono due organizzazioni dell’Unione Europea con base all’Aia che promuovono la cooperazione internazionale contro il crimine. La Svizzera è membro associato di entrambe. Mentre l’Europol, o Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nelle attività di contrasto, si concentra soprattutto sulla cooperazione a livello di polizia, l’Eurojust, o Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria, riunisce i pubblici ministeri nazionali per occuparsi dei crimini che rientrano nei relativi mandati, come i genocidi, i crimini contro l’umanità o i crimini di guerra. Proprio poco tempo fa, Eurojust ha istituito una Squadra investigativa congiuntaCollegamento esterno (JIT) comprensiva di Ucraina, Polonia, Lituania e della CPI.

La Svizzera non ne fa parte, ma partecipa alle riunioni dell’Eurojust, incluse quelle sull’Ucraina. “Abbiamo anche dei nostri delegati”, dice Blättler. “Diciamo che l’Eurojust è come un mercato azionario delle informazioni sulle faccende giudiziarie. Si incontrano persone provenienti da diversi Paesi e si ricevono informazioni su base quotidiana. Per questo la consideriamo un’organizzazione molto importante per noi”.

Anche il presidente dell’Eurojust Ladislav Hamran ha enfatizzato l’esigenza di un coordinamento internazionale: “In passato, a volte è stato molto difficile trovare uno Stato che fosse pronto a mettere in gioco le risorse umane e finanziarie necessarie per avviare delle indagini su crimini di guerra”, ha detto in un incontro online il 30 marzo. “Oggi, con l’Ucraina, la situazione è molto diversa. Potrebbero esserci più attori coinvolti di quanti ne riusciamo a gestire”.

“La grande quantità di meccanismi investigativi in azione in Ucraina mette tutti coloro che operano nell’ambito dei diritti umani di fronte a un territorio finora inesplorato”, ha commentato Simpson, di Human Rights Watch. “Non siamo abituati a un simile livello di attenzione sulle violazioni delle leggi umanitarie. Sono anni che lottiamo perché questo accada e siamo contenti che stia divenendo realtà almeno per un Paese. La domanda però è come far interagire e coordinare tutti questi meccanismi per massimizzarne l’impatto e identificare e processare i responsabili e le responsabili degli abusi”.

Traduzione dall’inglese: Camilla Pieretti

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