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Ceta, il bersaglio sbagliato

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La UE ha negoziato con il Canada l'apertura reciproca di gran parte degli scambi nel rispetto di standard elevati. Il Ceta è un'opportunità per l'Europa e dovrebbe essere un modello per altri trattati commerciali, a partire dal Ttip. Perché è stato osteggiato. Il potere di ricatto dei paesi.

Sul Ceta, l’Unione europea è rimasta ostaggio della Vallonia, benché il negoziato con il Canada per l’accordo di libero scambio e partnership economica sia stato concluso al termine di due anni di lavori, durante i quali tutte le parti interessate avevano potuto esprimersi.

Il parlamento vallone, novello Asterix come l’hanno definito alcuni, si è fatto portavoce dell’opposizione rumorosa agli accordi commerciali, prima di tutto al Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) del quale il Ceta era visto non come un modello in parte alternativo – quale in verità è – ma come un battistrada. I contrari ai due trattati temono perdite di sovranità e l’abbassamento degli standard europei di sicurezza alimentare e ambientale se questi dovessero d’ora in poi essere concordati con gli Stati Uniti, o col Canada, al fine di facilitare l’accesso dei rispettivi prodotti ai propri mercati. Come se non fossero state proprio le autorità di vigilanza americane ad aver pizzicato la Volkswagen per l’evasione fraudolenta dei limiti di emissione dei diesel, mentre quelle europee dormivano.

Alla fine, la Vallonia ha appuntato i suoi strali proprio contro una delle innovazioni più notevoli del Ceta, cioè la sostituzione dell’arbitrato sugli investimenti con un vero tribunale internazionale, con giudici nominati dagli stati e piena garanzia di trasparenza, indipendenza e requisiti di imparzialità e assenza di conflitti di interesse. E ha ottenuto una dichiarazione aggiuntiva che conferma questi requisiti, a prescindere dal fatto che sia infondata la critica che si tratti di un meccanismo che privilegia le multinazionali. Proprio le piccole e medie imprese possono trovare in questi giudizi, arbitrali o no, una sede indipendente per contrastare le prevaricazioni protezionistiche degli Stati in cui vanno a operare.

Dal Ceta al Ttip

La prosecuzione dei negoziati sul Ttip, da parte sua, divide non solo i paesi dell’Unione ma soprattutto al loro interno i partiti popolari e socialisti. Così, è stato il vice cancelliere tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, a dare il negoziato per morto, come se l’apertura del mercato tedesco alle importazioni non fosse benefica per la concorrenza e i consumatori in Germania, ma pure vantaggiosa per tutta l’Europa. Favorirebbe infatti la riduzione dell’abnorme surplus commerciale del paese che rischia di destabilizzare l’euro non meno del nostro deficit.

Alla fine di settembre, a Bratislava, i ministri dell’economia e degli esteri se la sono cavata nascondendosi dietro alla obiettiva impossibilità che i negoziati si concludano prima che scada la presidenza Obama, consentendo che nel frattempo proseguano, per affrontare a livello tecnico i molti nodi irrisolti che restano sul tavolo, dai servizi alle controversie sugli investimenti, dalla protezione delle denominazione dei prodotti agro-alimentari all’accesso agli appalti pubblici locali in America.

Quanto al Ceta, per dimostrare apertura verso l’opinione pubblica, la Commissione e il Consiglio europei già da tempo hanno deciso che sarà sottoposto alla ratifica di tutti i 27 parlamenti nazionali, superando la tesi che basti quella del Parlamento europeo in quanto l’accordo ricade nella competenza esclusiva della politica commerciale comune. Una questione attualmente al vaglio della Corte di Lussemburgo a proposito dell’accordo di libero scambio negoziato con Singapore. L’ applicazione provvisoria del Ceta, secondo la prassi, ed esclusa comunque la parte che riguarda le controversie sugli investimenti, potrà in parte ovviare ai lunghi tempi dovuti all’esigenza di ottenere 27 ratifiche.

Una scelta “democratica”, ma che è stata foriera di quel ricatto, a livello sub-nazionale addirittura, che era stato paventato. Tutta l’Europa può diventare ostaggio di scelte nazionali particolari, come si è visto con l’opposizione della sola Olanda all’accordo di partnership con l’Ucraina, un fondamentale elemento di stabilizzazione della nostra frontiera con la Russia. Di conseguenza, molti potenziali partner della Unione, persino a livello Wto, cominciano a interrogarsi se valga la pena negoziare accordi con la UE, quando il risultato rischia di essere bloccato da interessi particolari e di dover attendere anni prima di essere ratificato e diventare operativo.

Vi sono molteplici ragioni per essere soddisfatti della conclusione del Ceta. Anzitutto per i suoi contenuti, che realizzano una apertura reciproca al 98 per cento degli scambi nel rispetto di standard elevati, come è nella tradizione dei due partner ed è richiesto dalle rispettive opinioni pubbliche. Tale impostazione dovrebbe anzi diventare un modello per gli accordi dell’Unione europea con altri partner, a cominciare proprio dal Ttip.

Vi è poi un particolare interesse italiano a mettere in opera rapidamente il Ceta. La parte europea è riuscita infatti a ottenere una tutela rafforzata, rispetto alle regole del Wto e a quanto avviene finora in Canada, per i nostri prodotti tipici le cui denominazioni di origine, dal parmigiano reggiano al prosciutto di Parma, saranno d’ora in poi riconosciute in Canada e protette dalle contraffazioni. Un successo importante, che si deve cercare di estendere anzitutto agli Stati Uniti nel negoziato del Ttip.

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