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Il certificato Covid divide le università svizzere e chi le frequenta

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Keystone / Alexandra Wey

Da oggi, migliaia di studenti e studentesse ritornano finalmente in aula per l'inizio del nuovo semestre. La maggior parte di loro dovrà mostrare il proprio certificato Covid.

Molti studenti e molte studentesse ritornano finalmente in aula per la prima volta in 18 mesi, dopo aver vissuto periodi di chiusura e molte ore di apprendimento a distanza.

Per garantire l’insegnamento in loco, la maggior parte delle 12 università pubbliche del Paese ha deciso di introdurre il certificato Covid, che mostra se una persona è vaccinata, testata o guarita. Tra queste ci sono anche i due prestigiosi politecnici federali di Losanna (EPFL) e di Zurigo (ETH Zurich).

La decisione è stata presa dopo che il governo ha stabilito la possibilità di introdurre il requisito del certificato per l’insegnamento a livello di baccalaureato e master. L’uso del certificato è stato esteso a spazi pubblici come ristoranti, eventi culturali e attività ricreative il 13 settembre, mentre la Svizzera è alle prese con una quarta ondata del coronavirus, spinta in parte dalla diffusione della variante Delta altamente contagiosa tra i giovani non vaccinati.

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Maschere

Il professore dell’Università di Basilea Dominique de Quervain è tra quelli che accolgono con favore l’obbligo del certificato. De Quervain ha fatto parlare di sé – provocando polemiche e dibattiti – quando a metà agosto ha twittatoCollegamento esterno che non avrebbe tenuto alcuna lezione di persona se gli studenti non vaccinati e non testati fossero stati ammessi nelle aule.

“Tuttavia, indossare maschere durante le lezioni rimarrà importante”, ha dichiarato il professore di neuroscienze cognitive a SWI swissinfo.ch via e-mail. “Il Politecnico di Zurigo e le università di Losanna e Berna hanno già deciso di renderle obbligatorie”.

Questo perché i test potrebbero non individuare tutti i positivi tra i non vaccinati, ha detto.

Differenze

Sempre su TwitterCollegamento esterno, de Quervain ha evidenziato un altro problema, e cioè che ci sono ancora differenze nel modo in cui i certificati vengono applicati. La sua università introdurrà il certificato solo dal 1° novembre, per dare agli studenti il tempo di vaccinarsi.

De Quervain ha twittato che questo significa “dare la priorità alle esigenze di coloro che, contrariamente alle raccomandazioni e alle possibilità, non sono ancora stati vaccinati, piuttosto che alla sicurezza dell’insegnamento”.

L’Università della Svizzera Italiana di Lugano ha deciso di non introdurre il certificato. L’ateneo ha fatto sapere domenica alla televisione pubblica svizzera SRF di avere abbastanza spazio e di aver introdotto l’obbligo della maschera. Queste misure mirano a evitare ogni possibile discriminazione e conflitto tra chi segue i corsi, ha reso noto l’istituto.

Nel frattempo, le università si sono date da fare per capire come procedere al controllo dei certificati. Alcune, come l’Università di Zurigo, effettuano controlli a campione, oltre a fare affidamento su misure tecniche e sulla responsabilità personale. Altri istituti stanno ancora elaborando le proprie misure.

Opinioni contrastanti

Le reazioni più contrastanti sono venute dagli studenti stessi. Alcuni criticano l’assenza di una consultazione, sia a livello nazionale che locale.

“Ciò è urgentemente necessario per garantire un ampio sostegno alle misure. Siamo anche delusi che il coordinamento tra gli istituti di istruzione superiore non funzioni meglio”, sostiene Elisha Link, co-presidente dell’Unione svizzera degli e delle universitari-e.

Link afferma che il riscontro dei membri mostra che il certificato rimane controverso. “La gente è irritata dal fatto che l’istruzione sia messa sullo stesso piano delle attività per il tempo libero. Questo non è corretto, e devono essere applicati altri standard. Inoltre, c’è un consenso sul fatto che l’accesso all’istruzione debba essere garantito a tutti”, ha detto Link via e-mail.

Approccio ibrido

Alcune università, come l’EPFL; hanno già detto che offriranno un approccio ibrido, con lezioni online e in loco “Gli studenti che non possiedono il certificato non saranno quindi esclusi dall’insegnamento”, ha detto l’università.

Altri istituti, invece, sono intervenuti con misure volte a garantire l’accesso ai test Covid-19, consapevoli del fatto che alcuni studenti non potranno permettersi di ripeterli quando il governo smetterà di rimborsarli il 1° ottobre (come attualmente annunciato).

L’Università di Ginevra offre test salivari gratuiti agli studenti non vaccinati, che saranno validi per le lezioni ma non per altri spazi pubblici; l’Università di BernaCollegamento esterno propone test PCR in diversi punti del campus. Nelle università di Losanna e Zurigo i test gratuiti saranno offerti fino al 31 ottobre.

Situazione all’estero

Altrove la situazione dei certificati e delle vaccinazioni è diversa. Secondo una banca datiCollegamento esterno gestita dal Chronicle of Higher Education, oltre 1’000 college pubblici e privati negli Stati Uniti richiederanno agli studenti di essere vaccinati contro il coronavirus (cifre corrette al momento della pubblicazione), ma la mossa è stata criticata in alcuni ambienti.

In Italia, gli studenti universitari e il personale devono mostrare il Green Pass, l’equivalente del certificato Covid svizzero. In Austria e in Germania, molte istituzioni hanno adottato il principio del “vaccinato, guarito o testato”.

La Francia, invece, non richiede ai propri studenti e alle proprie studentesse un certificato Covid e in Gran Bretagna alcuni docentiCollegamento esterno temono che le misure del governo per garantire il ritorno all’insegnamento in aula non prevedano misure di protezione adeguate contro la diffusione della Covid-19.

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