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«Non siamo e non saremo mai una scuola coranica»

Istituzione di tradizione cattolica, quella di Friburgo è la prima università della Svizzera ad accogliere l'islam come disciplina accademica. Keystone

Operativo da poco presso l’Università di Friburgo, il Centro Islam e Società (CIS) intende diventare un luogo di dibattiti intellettuali e critici sull’islam. Gli imam della Svizzera, ma non solo loro, potranno frequentarlo per impregnarsi dei valori, della storia e del diritto svizzeri. Incontro con il suo direttore, il teologo cristiano Hansjörg Schmid.

Hansjörg Schmid ha consacrato numerose ricerche e pubblicazioni alla presenza dell’islam in Europa e al dialogo islamico-cristiano. Oggi dirige il Centro Islam e Società (CSI) dell’Università di Friburgo, operativo dall’inizio di quest’anno. Per lui, questo «spazio di dibattito» contribuirà a una migliore integrazione dei 400’000 musulmani in Svizzera, «il cui futuro è qui». Intervista.

Invece di “importare” i suoi imam, la Svizzera non dovrebbe piuttosto formarli, come auspica l’imam di Berna Mustafa Memeti?

Hansjörg Schmid: È un dibattito che bisognerà affrontare in futuro assieme alle associazioni musulmane in Svizzera. Ciò che è certo è che il CIS non è e non sarà mai una scuola coranica. Si tratta di un istituto universitario dove ci saranno dei dibattiti critici sull’islam.

In futuro, l’università potrà comunque proporre dei corsi sulla teologia e sul pensiero islamico. Ma per diventare imam ci vuole una qualifica che noi non possiamo offrire. A titolo di paragone, i preti fanno degli studi di teologia all’università, ma frequentano anche un seminario in cui acquisiscono delle competenze pratiche. Forse è proprio questo il futuro: l’università offre una formazione scientifica e le associazioni musulmane in Svizzera creano una sorta di seminario. Ma penso che siamo ancora lontani da questa situazione!

Il signor Memeti afferma anche che nessun imam dovrebbe poter predicare senza l’autorizzazione dello Stato. Le autorità devono, o possono, intromettersi nelle questioni religiose?

Questo esiste in Turchia, dove gli imam sono impiegati dello Stato e devono predicare un islam ufficiale. Ma la Svizzera è uno Stato secolare, dove la separazione dei poteri è acquisita. Secondo me, lo Stato non deve intromettersi nelle questioni religiose. A meno che, ovviamente, la legge non sia rispettata. Forse si potrebbe fare in modo che in futuro gli imam debbano possedere un diploma universitario, quale garanzia di una certa formazione. Ma questo necessita di un dibattito sul ruolo dell’imam, il quale, nella tradizione musulmana, non ha la stessa funzione di un prete o di un pastore nella tradizione cristiana.

Qual è questo ruolo?

Tradizionalmente, è colui che conduce la preghiera, che recita il Corano. Qui è diverso. Svolge spesso anche un ruolo di assistente sociale: ci si rivolge a lui per parlare dei problemi che i bambini incontrano a scuola, per confidare le proprie preoccupazioni… Alcuni sono molto preparati, altri per niente! In Europa, l’imam è solitamente considerato un rappresentante della comunità, che ha spesso a che fare con le autorità, l’amministrazione o i media. Per svolgere questi compiti deve ovviamente conoscere il sistema. Il CIS potrà contribuire a migliorare la situazione.

C’è un malinteso sugli obiettivi del CIS. All’inizio è stato presentato come un centro di formazione per gli imam e in seguito è stato precisato che si rivolgeva a un pubblico più vasto. Chi saranno dunque i futuri studenti? E a cosa saranno formati?

Il nostro programma di formazione continua si rivolge agli imam o ai responsabili di una moschea. Ma pure alle persone che lavorano a contatto con i musulmani – ad esempio negli ospedali, nelle prigioni, nelle amministrazioni…- e che desiderano saperne di più sull’islam.

Concretamente, dal mese di febbraio darò dei corsi sulla presenza delle religioni in Europa, in particolare il cristianesimo e l’islam, e il loro contributo a un’identità europea. Presenterò inoltre dei pensatori musulmani che discutono della presenza e dell’integrazione dell’islam in Europa. Infine, a partire dall’autunno, un professore invitato di teologia musulmana darà dei corsi introduttivi al pensiero islamico in Europa.

Dobbiamo pure formare dei musulmani svizzeri capaci d’insegnare la loro religione all’università. Per questa ragione desideriamo offrire, a coloro che lo desiderano, la possibilità di scrivere una tesi di dottorato, nella quale approfondiscono un determinato tema del pensiero teologico, etico o sociale musulmano. Con questo progetto speriamo di creare un luogo di dibattito intellettuale musulmano in Svizzera.

Per alcune persone, l’islam non è compatibile con la democrazia, siccome porta con sé il germe del totalitarismo. Islam e democrazia possono coabitare?

Numerosi pensatori musulmani contemporanei hanno una visione molto positiva della democrazia e dei diritti umani, che sono dei valori universali. E la grande maggioranza dei musulmani europei sono molto contenti di vivere in sistemi in cui beneficiano di maggiori libertà e diritti, compreso quello di vivere la loro religione, rispetto ai “paesi musulmani”.

Ciò che non impedisce a numerosi giovani di andare a combattere per il cosiddetto Stato islamico…

È qualcosa che faccio fatica a capire. Penso che in questi casi i fattori extra religiosi siano più preponderanti della religione stessa. In generale, questi giovani sono confrontati con gravi conflitti adolescenziali, si sentono respinti, non vedono alcuna prospettiva… Fortunatamente rappresentano soltanto una piccola minoranza. Questo fa paura, ma bisogna evitare le generalizzazioni.

Fare entrare l’islam in un’università di tradizione cattolica non rischia di essere interpretato da alcuni musulmani come una volontà dell’Occidente cristiano di controllare la loro religione?

Non spetta a me, e nemmeno ai miei colleghi della facoltà di teologia, definire cos’è la teologia musulmana o il pensiero islamico. Spetta ai musulmani stessi farlo, in questo luogo di dibattito che è il CIS. Questo centro esiste per conferire al pensiero una certa autonomia, per offrire uno scambio in uno spirito di dialogo interreligioso, ciò che rappresenta una tradizione a Friburgo. È anche per questo che la Confederazione ha affidato a questa università il mandato di creare il CIS.

L’islam, che è la seconda religione più praticata in Svizzera, dovrebbe essere ufficialmente riconosciuto dallo Stato?

A livello simbolico, sarebbe un segnale molto importante, ma che non può avvenire senza un dibattito. Gli svizzeri non lo accetterebbero. I musulmani, dal canto loro, devono riflettere alla creazione di un’organizzazione ombrello, che riunirebbe le numerose associazioni esistenti. Bisogna compiere molti piccoli passi per preparare il grande passo del riconoscimento da parte dello Stato.

Iniziate le vostre attività in un clima piuttosto ostile all’islam. E l’Unione democratica di centro ha deciso di lanciare un’iniziativa popolare contro l’apertura del CIS. Ciò vi preoccupa?

Capisco che ci siano degli interrogativi, dei timori. Ma noto anche molta simpatia per questo centro. Numerosi responsabili politici, universitari e musulmani mi hanno detto che dopo gli avvenimenti di Parigi conveniva fare più sforzi per integrare l’islam. Sforzi ai quali il CIS può contribuire. Credo che sia giusto dare ai musulmani la possibilità di formarsi alla loro tradizione religiosa all’università, come possono farlo i cattolici e i protestanti.

È stato espresso il timore di vedere personaggi ambigui insegnare o dare conferenze a Friburgo. Come farete le vostre scelte?

Ho organizzato conferenze e programmi di studi in un centro tedesco per dodici anni. Ho sempre fatto attenzione a chi può essere invitato e chi no. Per me, l’essenziale è la qualifica accademica. L’università non deve invitare dei predicatori.

Siamo ad esempio in contatto con la facoltà di studi islamici di Sarajevo, che ha una lunga e preziosa esperienza, ancora più preziosa se si pensa che la maggior parte dei musulmani in Svizzera proviene dai Balcani. Capiscono cosa significa vivere in uno Stato secolare. Bisogna comunque proporre una certa varietà di oratori. Ci sono dei ricercatori musulmani conservatori, altro riformisti. Non possiamo però invitare soltanto quest’ultimi: bisogna che il dibattito abbia luogo, in un quadro scientifico.

L’islamizzazione dell’Europa è un semplice prodotto della fantasia?

Ci sono musulmani in Europa, ma le loro identità sono molto diverse! Ci sono coloro che pregano cinque volte al giorno, chi consuma alcol… A più lungo termine, la maggior parte delle persone si adattano alla società in cui vivono.

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