La pedagoga svizzera che ha fatto scuola in Italia
Dall’emergenza del dopoguerra all’impegno didattico che mette sempre al centro l’alunno: compie 70 anni il Centro educativo italo-svizzero di Rimini. Fondato da Margherita Zoebeli nel 1946, ancora oggi continua l’insegnamento scolastico seguendo il metodo della grande pedagogista di Zurigo.
È una realtà scolastica unica, quella che sorge nel cuore del capoluogo della riviera romagnola. “Il Centro educativo italo-svizzero (CeisLink esterno) è un luogo speciale. È stato costruito materialmente dal Soccorso operaio svizzero nel corso di un intervento di emergenza post-bellica, ma teoricamente è stato progettato come una struttura permanente”, spiega a swissinfo.ch il direttore Giovanni Sapucci.
Una vera e propria scommessa per una città appena uscita dalla guerra, un investimento verso le nuove generazioni di cui la città tuttora è grata, tanto da considerare il Ceis come una delle sue istituzioni storiche.
La ‘pedagogista creativa’
Una scommessa vinta, un investimento riuscito che tutto deve alla sua fondatrice: Margherita Zoebeli. La ‘pedagogista creativa’, l’‘educatrice innovativa’’, l’‘insegnante dei bambini liberi’, sono alcune delle tante definizioni che descrivono la sua personalità e il suo metodo didattico che ha sempre messo al centro l’alunno, bambino o preadolescente, non soltanto sui banchi di scuola ma anche attraverso esperienze sensoriali.
“La professoressa Zoebeli – racconta Giovanni Sapucci – è stata il motore del Ceis. Il suo metodo didattico e la sua ‘educazione attiva’, hanno precorso i tempi moderni”. Una donna forte con gli adulti e dolce con i più piccoli.
Prima di Rimini, Margherita Zoebeli, classe 1912, era stata in Spagna, durante la guerra civile degli anni Trenta, per portare in salvo gli orfani del conflitto. Una vita avventurosa, che poi l’ha portata sulla riviera romagnola, per non andarsene più: a Rimini, di cui è stata cittadina onoraria, la grande pedagogista è morta, nel 1996, e vi è seppellita.
Un villaggio modello
Il Ceis, negli anni Quaranta, ha anticipato la modernità. A testimonianza c’è il giardino, al centro della struttura, su cui si affacciano i padiglioni che ospitano gli allievi, i quali sono liberi di muoversi da una parte all’altra. Tre sono ancora quelli costruiti dal Soccorso operaio svizzero.
“Anche questo è motivo di orgoglio, perché dimostra la validità, anche dal punto di vista architettonico, del progetto del nostro centro”, racconta il direttore.
Il villaggio porta la firma di Felix Schwarz, anche lui svizzero, che ha saputo trasformare ‘23 baracche militari di legno’ in un centro permanente per l’insegnamento all’infanzia e alla preadolescenza, affacciate in un emiciclo. All’importanza del Ceis, come opera di architettura post-bellica, è dedicato anche il libro Lo spazio che educaLink esterno (Marsilio editore), in cui si sottolinea la sua propensione a essere vissuto come una città in miniatura e non una semplice scuola.
Fieri dell’aggettivo “svizzero”
Oggi il Centro educativo italo-svizzero è una scuola paritaria, non pubblica. È privata come “garanzia di libertà e indipendenza”. I suoi alunni hanno dai 3 ai 14 anni, l’8% con disabilità.
“Siamo italiani a tutti gli effetti, a cominciare dai programmi – precisa Giovanni Sapucci – Allo stesso tempo siamo fieri dell’aggettivo ‘svizzero’ per ribadire il legame con il paese da dove provenivano gli uomini e le donne che lo hanno costruito”.
Ancora oggi c’è un forte interscambio, attraverso tirocini formativi e gite scolastiche, con istituzioni svizzere come la Fondazione Villaggio per bambini PestalozziLink esterno, con sede a Trogen, nel cantone di Appenzello Esterno, o la Scuola media paritaria Enrico FermiLink esterno di Zurigo.
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