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Leonardo Sciascia, l’eclettico intellettuale siciliano

Primo piano di Sciascia
Keystone / Str

Oggi, venerdì 8 gennaio, ricorre il centenario della nascita di Leonardo Sciascia, nato a Racalmuto in provincia di Agrigento nel 1921. Maestro di scuola di formazione, straordinario uomo di penna nella vita, Sciascia passava, con nonchalance, dalle narrazioni ai saggi, dai gialli alle commedie o ancora alle inchieste giornalistiche.

Di Leonardo Sciascia si dice spesso che fu un uomo semplice e un intellettuale complesso. Narratore e saggista, Sciascia riesce a fondere queste due anime, per indagare la realtà e le sue ipocrisie. Ma da intellettuale tutto tondo, Sciascia si destreggia anche come giornalista, storico, politico.

Esordisce nella scrittura con libri dedicati alla sua Sicilia, cominciando con i suoi ricordi di maestro in “Le parrocchie di Regalpetra” e “Gli zii di Sicilia”.

Nel cercar di raccontare la sua terra e spiegarne i segreti e i meccanismi di potere, Sciascia affronta necessariamente il tema della mafia, il male presente in Sicilia e, come poi lo stesso scrittore evidenzierà, anche nello Stato italiano. Nasce così la sua opera maggiore, “Il giorno della civetta”,  tra i primi romanzi a denunciare apertamente l’esistenza della mafia siciliana e racconto ispirato ad un fatto vero: l’omicidio da parte di Cosa Nostra di Accursio Miraglia, sindacalista comunista, evento che segnò l’inverno del ’47 di Sciacca.

I primi passi

Leonardo Sciascia, nato nel 1921, consegue il diploma magistrale nel ’41 e lavora al Consorzio Agrario a Racalmuto, conoscendo la realtà contadina e la società siciliana delle campagne, fino al 1949 quando diviene maestro elementare.

Come scrittore debutta nel 1950 con un volume di poesie, “Favole della dittatura” (recensito da Pasolini), e quindi con “Gli zii di Sicilia”. Seguono negli anni ’60 i due successivi romanzi gialli, il già citato “Il giorno della civetta” e “A ciascuno il suo”, e i saggi “Morte dell’inquisitore” e “Feste religiose in Sicilia”. Nel 1969 inizia a collaborare col Corriere della Sera. 

Arrivano quindi i due racconti sempre tinti di giallo “La scomparsa di Majorana” e “Il teatro della memoria”.

I suoi romanzi trovano la propria forma in un’abile chiave gialla, come genere coinvolgente che nasce dalla sua ricerca della verità. Per alcuni versi i gialli di Sciascia sono anticipatori del noir mediterraneo (pensiamo in particolare a Jean-Claude Izzo) che userà il genere per farne denuncia civile, sociale e di costume.

Vi proponiamo una lunga intervista andata in onda alla Radiotelevisione svizzera nel 1981:

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Impegno politico

Sciascia viene eletto consigliere comunale a Palermo nel 1975 come indipendente del Partito comunista italiano (Pci). In quello stesso anno si candidano pure Renato Guttuso, un altro artista del Novecento siciliano, di dieci anni più vecchio dello scrittore e Achille Occhetto, allora segretario regionale del Pci. Sciascia abbandona la politica dopo due anni, in aperto conflitto con il Pci, esprimendo la sua totale opposizione al compromesso storico tra il suo partito e la Dc.

Nel 1979, torna in politica con la candidatura nelle liste radicali in Europa e alla Camera dei Deputati, per la quale opta dopo due mesi a Strasburgo. Siederà a Montecitorio fino al 1983. Come deputato dal 1979 al 1983 sarà membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e assassinio di Aldo Moro. Una vicenda che nel 1978 lo porta a pubblicare “L’affaire Moro”.

Sciascia e la Svizzera

Nell’intervista radiofonica concessa alla Radiotelevisione svizzera, del 1974 (che vi proponiamo), Leonardo Sciascia fornisce la chiave per comprendere il suo interesse per la Svizzera: “Nella misura in cui considero noi siciliani pazzi, considero gli svizzeri troppo poco pazzi, perché hanno quello che noi non abbiamo e hanno fatto quello che noi non abbiamo fatto. In effetti la Svizzera è una terra più povera della Sicilia, però ha raggiunto un grado di benessere che la Sicilia non si sognerà. Sì, la Svizzera è troppo poco pazza, forse anche troppo, il troppo si può anche usare in senso negativo”.

Non solo. Sciascia aggiunge che la condizione degli svizzeri “sia una condizione piuttosto tragica, ovvero quello di condividere la cultura oltre che la lingua di altri popoli senza condividerne la storia. E questo nei migliori svizzeri che io conoscono è un po’ un dramma“.

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tvsvizzera.it/fra


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