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Caro gasolio: i pescatori di Ancona non ci stanno

Dopo due settimane di sciopero le barche sono tornate in mare, ma potrebbe non bastare, secondo i pescatori locali.

Le barche sono tornate in mare la scorsa settimana, dopo i quindici giorni di sciopero deciso dalla marineria di Ancona a causa del caro gasolio. Il carburante è arrivato a 1,20 euro al litro e il rifornimento di un motopeschereccio da strascico può costare fino a 4’000 euro. Rincarati anche i materiali e le spese per ogni singola battuta di pesca sono insostenibili.

Tuttavia, prendere il mare è stato necessario nonostante lo sciopero, almeno per qualche giorno, per limitare i danni. Le stive sono rientrate cariche dopo 24 ore di pesca e dopo il più lungo stop a memoria di Emilio Caselli, pescatore da generazioni. Emilio Caselli e Apollinare Lazzari, anche lui pescatore e presidente di “Associazione produttori pesca”, sono tra i più decisi a tenere il pugno duro nella protesta.

Alla riapertura del mercato le aste sono state prese d’assalto e il prezzo del pesce si è tenuto alto, vero e proprio ossigeno per i pescatori. Pescherie, alberghi e ristoranti, che erano all’asciutto, si sono riforniti, ignari di quando si ripresenterà l’occasione. Ancona vive del pescato locale e l’incertezza si ripercuote sull’intero comparto.

Ancona è tra i primi porti pescherecci dell’Adriatico e imbarca 800 persone su circa una trentina di grandi barche a strascico, vongolare e barchette da piccola pesca.

Un guadagno che diminuisce di anno in anno

I guadagni si assottigliano da anni con il crescere del prezzo del gasolio. Dopo aver galleggiato a lungo – anche in termini economici – il prezzo di benzina e gasolio erano fuori controllo molto prima del 24 febbraio scorso. Con lo scoppio della guerra in Ucraina e il costo del carburante schizzato alle stelle, i pescatori hanno deciso che era arrivato il momento di smettere di lavorare in perdita, e hanno incrociato le braccia. I ristori economici distribuiti finora dalle amministrazioni sono scarsi, a detta di tutti. Molti armatori sono decisi a prolungare lo sciopero a oltranza ma in alcuni di loro, con il passare dei giorni, le certezze che hanno mosso la protesta iniziano a vacillare.

Si decide di giorno in giorno. Probabilmente continueranno le uscite saltuarie, sempre che la pesca vada bene e ne valga la pena. Importante è restare compatti e che non ci siano troppe barche in mare a vanificare tutto, sostiene Apollinare Lazzari. Alcuni porti nell’Adriatico e nell’Italia meridionale non partecipano convinti allo sciopero.

Ad Ancona si sono riunite le marinerie di San Benedetto della Tronto e di Pesaro, alla ricerca di una strategia comune con l’obiettivo di un tetto al prezzo del gasolio.

Intanto, le proteste scoppiano a macchia di leopardo in tutte le regioni, con casi isolati di disordini e disservizi.

Il comparto italiano della pesca conta undicimila barche, ventiquattromila addetti e produce annualmente poco meno di novecento milioni di euro. La pandemia ha provocato sensibili perdite nel 2019, tamponate con oltre tre milioni di euro di aiuti pubblici, tra sostegni e contributi alle attività cessate.

Oggi, con la stagione balneare alle porte e il pescato locale che scarseggia, il settore naviga a vista nella tempesta geopolitica di cui iniziano a emergere i primi gravi effetti ed è solo l’inizio.

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