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Carla Del Ponte presenta “La caccia” in Argentina

Carla del Ponte (a sinistra), durante la presentazione del suo libro a Buenos Aires. swissinfo.ch

Carla Del Ponte ha rotto il silenzio, impostole da Berna, sull'autobiografia in cui parla della caccia ai criminali di guerra come procuratrice generale del Tribunale penale internazionale (TPI) per l'ex Jugoslavia. L'ambasciatrice svizzera in Argentina ha presentato il libro nel paese sudamericano. Intervista.

Accompagnata dalle giuriste argentine Silvia Fernandez e Ines Weinberg, che lavorano entrambe per il TPI, la diplomatica elvetica ha illustrato “La caccia. Io e i criminali di guerra”, alla giornata conclusiva della 36a Fiera internazionale del libro di Buenos Aires.

La donna che nella sua carriera nelle magistrature cantonale, nazionale e internazionale si è confrontata con Cosa Nostra, ha lottato contro il riciclaggio di denaro sporco e ha perseguito criminali di guerra di Ruanda, Bosnia, Croazia e Kosovo, ha narrato le sue esperienze al pubblico argentino.

Con passione, Carla Del Ponte ha descritto le difficoltà che incontrano procuratori e giudici internazionali nel fare giustizia, ha raccontato aneddoti amari, ma ha assicurato che benché difficile, il cammino della giustizia prosegue.

La presentazione pubblica, il 10 maggio a Buenos Aires, interviene due anni dopo che il governo elvetico le aveva vietato di promuovere il libro, giudicando alcuni contenuti incompatibili con la sua funzione di ambasciatrice. Interrogato da swissinfo.ch sui motivi che ora avrebbero condotto Berna a revocare il veto, il Dipartimento federale degli affari esteri risponde: “La signora Del Ponte non ci ha consultati in merito. All’approssimarsi della pensione, sembra che si prenda alcune libertà”.

swissinfo.ch: Lei ha presentato ora per la prima volta il suo libro, pubblicato in versione originale in italiano nel 2008. E lo ha fatto in Argentina.

Carla Del Ponte: Credo che questo momento sia molto importante. Non per Carla Del Ponte, bensì per la giustizia internazionale. Ed è successo qui perché sarebbe impossibile non essere presente alla Fiera del libro di Buenos Aires, visto che il mio libro è ora in vendita in spagnolo e che io sono stata invitata, con altre personalità a parlare della giustizia internazionale. “La caccia” parla proprio della mia esperienza come procuratrice internazionale.

swissinfo.ch: Come valuta l’evoluzione della giustizia, in base alla sua esperienza di procuratrice generale del TPI?

C.D.P.: Il tema della giustizia va nella buona direzione. Naturalmente è difficile perché necessita della cooperazione di tutti gli stati, perché la giustizia internazionale non dispone di una polizia giudiziaria da mandare ad indagare in tutto il mondo. Per questo, la cooperazione è fondamentale.

Se ripercorro il tempo trascorso e ripasso l’elenco con i nomi dei 161 maggiori responsabili dei crimini dell’ex Jugoslavia, solo due sono ancora latitanti: Ratko Mladic (capo militare dei serbo-bosniaci durante la guerra di Bosnia) e Goran Hadzic (leader serbi di Croazia durante il conflitto del 1991).

Questi successi sono frutto del lavoro di squadra compiuto da seicento persone che si sono adoperate in modo organizzato. Perché se il procuratore generale è importante, è anche importante che abbia ottimi collaboratori.

swissinfo.ch: Cosa l’ha spinta a scrivere “La caccia”? È stata la necessità di fare una specie di catarsi o è stata l’idea di contribuire in qualche modo alla giustizia internazionale?

C.D.P.: Ho scritto il libro perché era necessario che si sapesse come lavora il procuratore generale con i collaboratori per ottenere la detenzione dei criminali.

Il mio obiettivo era di far conoscere le difficoltà che affronta il diritto internazionale per poter giudicare persone che hanno commesso genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che si tratti sia di schiavitù, apartheid, sterminio, assassinii, scomparse forzate, tortura, sequestri, sia di aggressioni.

Desidero che si capisca la difficoltà che esiste, perché non è qualcosa che si apprende dalla stampa quotidiana, semplicemente perché la stampa non partecipa a tale procedimento. Noi possiamo far conoscere tali difficoltà. È molto importante come documento storico.

Molte volte si è dovuto lavorare senza collaborazione degli stati. Di fatto, per esempio, in molte istanze le autorità proteggevano i fuggiaschi per evitare che fossero arrestati. Sapere tutto questo è importante per gli studenti di diritto e tutte le persone che si occupano di diritto internazionale.

swissinfo.ch: Come donna è stato molto difficile esercitare questa carica?

C.D.P.: No, no, no. Non l’ho sentito così. Anzi, direi che il fatto di essere una donna mi ha facilitato un po’ alcune cose. Perché per una donna è più facile farsi ricevere da un ministro che per un uomo. No?

swissinfo.ch: Ha provato paura quando ha lasciato gli impegni di procuratrice internazionale?

C.D.P.: Ho avuto paura all’inizio, quando giunsero le prime minacce della mafia. Poi mi sono abituata a questo tipo di vita. Ho un carattere molto fatalista.

swissinfo.ch: Chi conosce il suo percorso pensa che lei sia una persona molto forte. Si sente forte?

C.D.P.: Non lo so. Non ho questa sensazione…

swissinfo.ch: Cosa direbbe che dovrebbe imparare la giustizia argentina per essere migliore?

C.D.P.: Non ho alcuna esperienza. Quando sono arrivata qui ero già lontana dalla giustizia. Come ambasciatrice ho un’altra funzione, molto diversa. Ciò nonostante, conoscendo alcuni magistrati – procuratori, giudici – credo che siano veramente molto preparati.

swissinfo.ch: Fino a quando resterà in Argentina come ambasciatrice?

C.D.P.: In linea di principio fino alla fine di febbraio del 2011.

swissinfo.ch: E in seguito? Ha già un’altra destinazione come diplomatica?

C.D.P.: No. La mia carriera diplomatica termina qui. È stato un periodo affascinante, completamente diverso da tutto quello che ho fatto lungo la vita. E penso che sia stato affascinante perché si è svolto in un paese così bello come l’Argentina.

swissinfo.ch: Ha imparato a ballare il tango?

C.D.P.: A ballarlo, no. Ma ad ascoltarlo e guardarlo ballare, sì.

Norma Domínguez, Buenos Aires, swissinfo.ch
(Traduzione dallo spagnolo: Sonia Fenazzi)

Alla fine del 2007 Carla Del Ponte termina il mandato di procuratrice generale del Tribunale penale internazionale (TPI) per l’ex Jugoslavia e all’inizio del 2008 assume quello di ambasciatrice svizzera in Argentina.

Nell’aprile 2008 esce nelle librerie il suo libro “La caccia”, pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli Editore.

Berna proibisce a Carla Del Ponte di promuovere l’autobiografia, giudicando alcuni contenuti incompatibili con il suo ruolo di ambasciatrice. Come tale deve rappresentare la politica ufficiale della Svizzera e dunque non può attaccare le autorità di altri paesi.

Nel libro, nel frattempo tradotto in 12 lingue e pubblicato in molti paesi, fra cui la Serbia, l’ex procuratrice generale ripercorre gli otto anni di caccia a persone che hanno commesso crimini orrendi.

In più di 400 pagine, l’autrice rivela retroscena drammatici e scomodi su alcuni degli episodi più bui della storia recente dell’Europa. L’ex magistrata evidenzia le difficili relazioni fra procura e politica.

Il suo lavoro ha consentito di far arrestare e portare in tribunale decine di persone accusate di genocidio e altri crimini di guerra. Fra questi spicca il nome dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, poi deceduto in carcere all’Aja nel 2006, prima che si concludesse il suo processo.

Durante il mandato al TPI, la Del Ponte ha presentato prove contro i due latitanti più ricercati dell’ex Jugoslavia: Radovan Karadzic e Ratko Mladic, accusati del massacro Srebrenica. Il primo verrà catturato nel luglio 2008 in Serbia, il secondo è tuttora uccel di bosco. Il processo di Karadzic, estradato all’Aja, è iniziato il 1° marzo 2010.

Nata nel 1947, Carla Del Ponte passa l’infanzia a Bignasco, nel canton Ticino.

Studia giurisprudenza nelle università di Berna e Ginevra.

Nel 1972 ottiene la patente di avvocato e notaio in Ticino.

Nel 1981 è nominata giudice istruttrice del canton Ticino. Nel 1985 assume l’incarico di procuratore generale presso il ministero pubblico del canton Ticino.

Dal 1994 al 1999 è procuratrice generale della Confederazione.

Nel 1999 è nominata dalle Nazioni unite procuratrice capo del TPI dell’Aja, dove segue i procedimenti sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia e, fino al 2003, sul genocidio in Ruanda.

Nel 2007 conclude il mandato al TPI e nel 2008 assume la carica di ambasciatrice svizzera in Argentina.

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