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Carla del Ponte “pellegrina della giustizia”

La procuratrice ticinese Carla Del Ponte, instancabile pellegrina della giustizia. Fotfestival/Abram

Protagonista del film "La liste de Carla", la ticinese Carla Del Ponte confessa ai giornalisti di aver, invano, sperato in un "happy end" con l'arresto di Ratko Mladic.

“Amo i film che finiscono bene”, afferma la procuratrice del Tribunale penale internazionale dell’ex Jugoslavia che ha tredici mesi per portare a termine la sua missione: arrestare i boia dei Balcani.

Per consegnare al Tribunale ed assicurare alla giustizia internazionale Ratko Mladic e Radovan Karadzic, responsabili dei più feroci assassini nei paesi dell’ex Jugoslavia, Carla Del Ponte ha dunque poco tempo. L’arresto, in dicembre, di un altro dei principali ricercati, Ante Gotovina, è stato un primo successo, ma non basta.

“Sono comunque contenta di smettere nel 2007 – confida ai giornalisti Del Ponte – e lo dico per la prima volta qui, davanti a voi. La solitudine è un fatto inevitabile e la vita privata, vivendo sotto scorta, è molto limitata. Invecchiando ci si abitua a stare soli e spesso anche a decidere da soli. Per cui io mi assumo sempre la responsabilità di tutte le mie decisioni”.

Poco più oltre il velo della riservatezza

E’ una Carla Del Ponte molto sciolta – e come sempre schietta, diretta e sincera – la donna che a Locarno ha parlato del film di Marcel Schüpbach, regista svizzero che per sei mesi ha pazientemente seguito la procuratrice nel suo lavoro.

La magistrata ticinese, che già all’età di dodici anni leggeva la cronaca giudiziaria del Corriere della sera, spiega di aver accettato il progetto cinematografico per desiderio ed esigenza di trasparenza e di chiarezza. “E’ importante che la gente sappia in che cosa consiste il mio lavoro e quali sono gli obiettivi della giustizia”.

“Quando Marcel Schüpbach ha cominciato le riprese – racconta la procuratrice – mi sono detta che non sarebbe mai riuscito a mettere insieme un lungometraggio e che nessuno lo avrebbe mai visto. Mi infastidivano le videocamere, le luci, i fili. Qualche volta l’ho pure trattato male”.

“Quando invece ho avuto la possibilità di vedere il film, nei primi cinque minuti sono rimasta scioccata di me stessa: mi sono trovata detestabile e ho capito che sono davvero una persona impossibile. Poi mi sono resa conta che i miracoli, tutto sommato, sono possibili”.

Il pensiero alle madri di Srebrenica

Le speranze e le lotte delle madri di Srebrenica e il lavoro della procuratrice Carla Del Ponte sono le due anime del film, come ha sottolineato lo stesso Marchel Schüpbach che voluto girare “La liste de Carla” proprio per sottolineare il decimo anniversario – nel 2005 – del massacro di Srebrenica.

Nei volti delle donne che scorrono nel film, si legge il dolore, la speranza, la rabbia, la delusione ma mai la rassegnazione. In trecento si recano all’Aja per chiedere giustizia e Carla Del Ponte stringe la mano ad ognuna di loro.

Alla procuratrice ticinese chiediamo di parlare del suo rapporto con queste donne, tanto più che nel film una di loro afferma di avere fiducia in un procuratore donna proprio perché le donne sono capaci di leggere la realtà anche con gli occhi dei sentimenti.

“Il contatto con le vittime – risponde a swissinfo Carla Del Ponte – è importantissimo. È praticamente l’unico momento emotivo che ci possiamo permettere. Le donne che incontro sono molto spontanee e certe volte sono anche molto arrabbiate con me”. Perché non ancora per tutte giustizia è stata fatta.

Racconti di dolore e sete di giustizia

“L’altro giorno a Sarajevo – racconta Del Ponte – ho incontro un gruppo di donne che fanno parte di un’associazione delle donne stuprate. Loro sanno che uno degli accusati in arresto all’Aja è Milan Lukic, un uomo che sarà consegnato alla giustizia nazionale perché non può rientrare nelle nostre priorità, dettate da un’agenda molto stretta”.

Ebbene queste donne, precisa la procuratrice, non lo vogliono perché non hanno fiducia nei tribunali nazionali; le ferite dei conflitti etnici, della violenza e dell’odio non possono rimarginarsi tanto facilmente. E come non comprenderle?

Le parole di Del Ponte sono affilate come una lama: “Una di loro mi ha raccontato di essere stata violentata davanti ai figli proprio da Milan Lukich. Alla fine l’uomo, dopo averla stuprata, la costringe a scegliere il coltello più affilato che aveva in cucina. E con quel coltello Lukic uccide i suoi figli davanti a lei”.

A questo punto la donna punta l’indice accusatore contro Del Ponte: “Se lei, procuratore, lascia che Lukic sia giudicato da un tribunale nazionale, noi non la perdoneremo”. Parole disarmanti, è vero. “Noi conosciamo queste situazioni – spiega ancora a swissinfo la procuratrice – ma siamo costretti, davvero mio malgrado, a compiere delle scelte”.

Questi racconti, precisa Del Ponte, rendono ancora più forte il nostro senso di responsabilità e ci dà la forza e la motivazione per chiedere giustizia nel nome delle vittime, testimoni di crimini orrendi che a volte il formalismo della giustizia spegne nel silenzio.

swissinfo, Francoise Gehring, Locarno

Nata a Lugano nel 1947, da sette anni Carla del Ponte affronta le vicende più oscure della storia dell’ultimo decennio.
Nel 1999 diventa procuratore del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
Nel settembre del 2007 scade il suo mandato all’Aja.
Sulla sua lista, che all’origine comprendeva 200 persone, rimangono 6 ricercati.
Il mandato del Tribunale scade nel 2010.

Organizzato dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), il dibattito di domenica mattina ha affrontato il tema della lotta contro l’impunità come via per costruire la pace.

Oltre a Carla Del Ponte, al senatore ticinese Dick Marty e a rappresentanti del DFAE, presenti a Locarno anche due procuratori della ex Jugoslavia: Marinko Jurcevic per la Bosnia Erzegovina e Mladen Bajic per la Croazia.

La relazione tra politica e giustizia è stato al centro di un vivace confronto tra Marty e Del Ponte. Per Marty questa relazione è pericolosa e ambigua. Ha fatto inoltre notare che la prima preoccupazione di uno Stato è la tutela dei propri interessi e non della giustizia.

Per Carla Del Ponte le pressioni politiche degli Stati sono invece molto importanti per svolgere il proprio lavoro, ossia catturare i criminali macchiatisi di crimini contro l’umanità.

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