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Carestia in Somalia, un allarme inascoltato

Un gruppo di donne somale sta aspettando di ricevere gli aiuti umanitari in un campo profughi a Mogadiscio. Keystone

Alla guerra si è sommata la carestia. In Somalia 3,7 milioni di persone rischiano la vita per mancanza di acqua e cibo. Da Ginevra, l’ambasciatore somalo all’ONU Yusuf Muhammad Isma’il lancia un appello alla responsabilità.

Messa in ginocchio da una guerra civile che dura ormai da 20 anni, la Somalia si trova ora costretta ad affrontare la peggiore crisi umanitaria dell’ultimo mezzo secolo. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, 3,7 milioni di persone rischiano di morire di fame e i bambini hanno meno del 40% di possibilità di sopravvivere. Nel Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia) i bambini gravemente denutriti sono più di 2,3 milioni

Dall’inizio del mese di luglio, 46’000 somali sono fuggiti in Kenia e in Etiopia, riporta l’Alto commissariato ONU per i rifugiati (Unhcr). In totale sono circa 800’000 i somali ad essersi rifugiati nei paesi vicini.

Al dramma della carestia si aggiunge la difficoltà di distribuire gli aiuti umanitari nelle zone controllate dai Shabaab, braccio armato di al Qaida in Somalia. Nel gennaio del 2010, il Programma Alimentare Mondiale (PAM) aveva sospeso i suoi  interventi in queste regione a causa delle continue minacce. La popolazione era rimasta senza aiuti umanitari, stremata dalla fame e dalla sete. A inizio luglio gli stessi miliziani avevano chiesto l’intervento della comunità internazionale per far fronte alla siccità, ma tutt’oggi non viene garantita alcuna sicurezza ai collaboratori delle organizzazioni umanitarie.

Martedì, il PAM ha dato avvio a un ponte aereo per portare aiuti a Mogadiscio e in altre zone del paese.

Qualche critica e un appello

Per Yusuf Muhammad Isma’il l’allarme carestia era già stato lanciato più volte negli ultimi dieci anni, ma era rimasto inascoltato. “Abbiamo sottolineato più volte la necessità di adottare misure preventive, ma le Nazioni Unite continuano a concentrarsi unicamente su interventi d’urgenza”, spiega l’ambasciatore somalo a Ginevra in un’intervista rilasciata il 19 luglio scorso.

Yusuf Muhammad Isma’il arriva fino ad accusare alcune organizzazioni  di “politicizzare la crisi umanitaria” per scopi personali e di violare i diritti umani. L’ambasciatore punta il dito anche contro il Consiglio dei diritti umani, reo di non aver prestato sufficiente attenzione alle problematiche del popolo somalo.

“Non deploro unicamente la decisione del Consiglio dei diritti umani di non aver voluto organizzare una sessione speciale sulla situazione in Somalia – spiega Yusuf Muhammad Isma’il – ma anche il fatto che non siano state prese in considerazione le proposte avanzate dai relatori speciali sui diritti al cibo, all’economia e alla cultura”.

L’ambasciatore sottolinea “la necessità di responsabilizzare le agenzie ONU e le ONG sul modo in cui vengono investiti i soldi raccolti per la Somalia  e di costringere queste organizzazioni a presentare dei bilanci di attività” in modo da garantire maggiore trasparenza.

“Dobbiamo lavorare per affrontare le cause reali di questa crisi e evitare il ripetersi di una carestia in caso di nuova siccità”. L’ambasciatore somalo si è rivolto in particolare ai paesi arabi e musulmani, che un domani potrebbero ritrovarsi in una situazione analoga a quella della Somalia.

Costruire il proprio avvenire, un sogno possibile

Pur riconoscendo che le influenze straniere hanno contribuito a complicare la situazione, l’ambasciatore ONU attribuisce al popolo somalo la responsabilità di un’instabilità politica ed economica che dura ormai da due decenni.  “Non c’è dubbio che abbiamo distrutto il paese con le nostre mani e dobbiamo assumerci questa responsabilità”.

Yusuf Muhammad Isma’il ha ringraziato la comunità internazionale per il sostegno offerto al suo paese, ricordando però che la via d’uscita passa per una “soluzione politica interna, che il popolo somalo deve raggiungere in modo autonomo”.

Resta da vedere come la Somalia riuscirà a conciliare “le norme tradizionali con le esigenze di un sistema di governo moderno”, ricorda l’ambasciatore. La soluzione, probabilmente, sta nel  “trovare un modo pacifico per ricostruire uno Stato di diritto, o – in altre parole – cercare di conciliare questi due aspetti: la ricostruzione dello Stato e la promozione della pace”.

Una pace che, secondo l’ambasciatore, non passa per una divisione interna al paese, sull’esempio di quanto accaduto in Sud Sudan qualche settimana con la proclamazione di uno stato indipendente. “Non è una soluzione accettabile e ragionevole per la Somalia. Bisognerebbe piuttosto creare un sistema federale e decentralizzato, che prenda in considerazione la condivisione delle risorse, la rappresentanza politica di tutti, e il rispetto delle minoranze”.

La peggiore siccità degli ultimi 60 anni che colpisce Gibuti, Etiopia, Kenya e Somalia, minaccia oltre 12 milioni di persone nella regione. La Somalia è il paese più colpito, con oltre 3 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria.

L’Aiuto umanitario della Confederazione ha deciso di accordare un credito supplementare di 4,5 milioni di franchi per sostenere le popolazioni colpite dalla penuria alimentare nel Corno d’Africa. Questa somma è destinata all’aiuto ai profughi in Etiopia e in Kenya e alle persone più vulnerabili in Somalia.

Dall’inizio dell’anno, la Svizzera ha contribuito con circa 14 milioni di franchi all’aiuto al Corno d’Africa.

  

Numerosi progetti sono sostenuti tramite una rete di organizzazioni partner (UNHCR, CICR, PAM, Ong svizzere e internazionali).

Specialisti del Corpo svizzero di aiuto umanitario sono dal canto loro impegnati soprattutto in missioni nei settori dell’acqua, delle costruzioni e della sicurezza alimentare.

  

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) è attiva nel Corno d’Africa dagli anni 1990.

(Traduzione e adattamento, Stefania Summermatter)

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