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Facebook, rischio di manipolazione anche in Svizzera

Definendosi «responsabile» di tutto ciò che accade sulla sua piattaforma, il patron di Facebook Mark Zuckerberg ha chiesto scusa è si è detto pronto a testimoniare davanti al Congresso americano. Associated Press

Nel pieno della bufera su Facebook per le manipolazioni dell'azienda Cambridge Analytica, l'incaricato alla protezione dei dati del Canton Zurigo non esclude uno scenario simile in Svizzera. Possibile?

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 marzo 2018 - 17:00

In un'intervista al quotidiano Tages-AnzeigerLink esterno, edizione di mercoledì, Bruno Bäriswyl ha avvertito che una manipolazione psicologica di massa dell'elettorato potrebbe verificarsi anche in Svizzera. Baeriswyl ha fatto preciso riferimento alle prossime elezioni federali.

«Dopo le campagne di Obama e Trump, vari consulenti statunitensi sono venuti qui a pubblicizzare nuovi modi di condurre una campagna», ha detto senza fare nomi. «Non mi sorprenderebbe assistere a fenomeni simili alle elezioni federali del 2019».

Bruno Baeriswyl, che è stupito dalla portata dell'intromissione nei dati, ha criticato la mancanza di trasparenza riguardo alle informazioni raccolte sugli utenti di Facebook, così come le lunghe e opache condizioni d'utilizzo che devono essere accettate per poter creare un profilo.

Di fatto, sostiene l'incaricato, visto che i termini del consenso non possono essere evitati, le condizioni potrebbero essere considerate nulle. Ma non c'è modo di denunciarle con il diritto svizzero, neppure con la Legge federale sulla protezione dei datiLink esterno, attualmente in revisione: «Si dovrebbe intentare una causa secondo la legge della California [dove ha sede Facebook]».


Micro-targeting in Svizzera

Paul-Olivier Dehaye, direttore della società di consulenza sulla protezione dei dati PersonalData.IOLink esterno, spiega a swissinfo.ch di essere d'accordo con Baeriswyl sulla natura della minaccia, ma non necessariamente su come combatterla.

Dopo aver passato alcuni anni a tracciare le attività di Cambridge Analytica (Dehaye ha partecipato al lavoro della testata germanofona Das Magazin, che ha rivelato l'estensione della fuga di dati) giudica che la Svizzera è vulnerabile quanto gli altri paesi.

Il problema, dal suo punto di vista, è di ignoranza generale: gli utenti non capiscono più il complesso ecosistema di informazione che li circonda; Facebook ha costruito un'infrastruttura che non riesce a gestire e le autorità non stanno applicando le leggi esistenti in modo sufficientemente severo.

È in questa breccia che si inseriscono consiglieri e strateghi politici opportunisti, che magari in Svizzera non operano su larga scala come fa Cambridge Analytica nel Regno Unito e negli Stati Uniti, nondimeno fanno campagne online per applicare tecniche di micro-targeting a specifici segmenti di elettorato.

Queste pratiche sono state al centro di una recente inchiesta (in tedesco)Link esterno del magazine zurighese Republik, sulle presunte attività illegali intraprese, tra gli altri, da partiti politici svizzeri e dai promotori di una recente iniziativa per abolire il canone radio-TV, respinta dal popoloLink esterno a inizio marzo.

Non solo, sostiene l'articolo, i promotori della campagna mirano a specifici gruppi su Facebook, ma «contrassegnano» i visitatori che passano dai loro siti web in modo da poterne seguire la navigazione anche altrove, violando quindi la Legge federale sulla protezione dei dati.

Al di là del reale impatto di questo micro-targeting - gli studi accademici non concordano - Dehaye stima che anche il solo dubbio che gli elettori siano stati manipolati può intralciare il processo democratico. In occasione del referendum catalano, dice, le accuse di ingerenza russa hanno minato molte legittime campagne online del fronte indipendentista.

Come riprendere il controllo?

Per affrontare la minaccia in Svizzera, Dehaye dice che è importante dare agli utenti gli strumenti per capire di chi avere fiducia e chi no, online. Questo implica programmi educativi di alfabetizzazione digitale e sui diritti, oltre a un'applicazione più rigorosa delle leggi esistenti.

Adrienne Fichter, autrice di contenuti digitali e giornalista di Republik, reputa che adottare i termini definiti dal Regolamento generale UE sulla protezione dei datiLink esterno sarebbe un buon inizio. La Svizzera, osserva Fichter, insiste però a mantenere le direttive della sua legge.

Quest'ultima, al contrario della proposta europea, non contempla la trasferibilità dei dati, spiega la giornalista. Aspetto che permetterebbe agli utenti di prendere il controllo dei propri dati prodotti online.

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