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Ghiaccio che cola

Lo scioglimento dei ghiacciai è uno fra gli effetti più vistosi dei mutamenti climatici. La sua portata è globale e ha precise conseguenze sul piano idrologico e della geologia. Sulla sua evoluzione, gli scienziati elaborano ormai da anni previsioni tutt’altro che confortanti. La Radiotelevisione svizzera ha parlato delle molteplici implicazioni di questo fenomeno con un esperto.

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Con il glaciologo Daniel Farinotti, professore presso il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ), facciamo il punto della situazione. L’estensione del fenomeno – ci spiega – è ormai tale per cui solo in un paio di aree del pianeta, entrambe nella catena dell’Himalaya, i ghiacciai “stanno meno peggio rispetto ad altre regioni”. Ma il dato complessivo evidenzia uno scioglimento su vasta scala. “Le nostre proiezioni”, sottolinea l’esperto, “dicono che fino alla fine del secolo perderemo quasi il 60% della massa globale”. Nel mondo quindi, sull’onda del riscaldamento climatico, la maggior parte del volume dei ghiacciai è destinata a scomparire entro il 2100.

Foto a confronto del ghiacciaio Stein nel 2006 e nel 2015, riduzione evidente.
Il ghiacciaio Stein, a sud del passo del Susten, nel 2006 e nel 2015 (Extreme Ice Survey) Keystone

Alle nostre latitudini l’incidenza del fenomeno è tuttavia ben più marcata. “Nelle Alpi ciò che noi registriamo a livello di clima risulta sovraproporzionale: perdiamo cioè più ghiaccio rispetto al dato globale. A dipendenza di come il clima si evolverà – e ciò ha a che vedere con quante emissioni causeremo – avremo quindi fra il 60 e l’80%, magari fino al 90% di ghiaccio in meno. Rimarremo quindi con pressoché nulla entro la fine del secolo”. Intanto l’assottigliamento è già stato considerevole. Nell’arco di un trentennio, infatti, i ghiacciai svizzeri hanno già perso spessore nella misura di 60 centimetri l’anno. Ma dal 2010, sottolinea Farinotti, il ritmo di scioglimento è accelerato in misura notevole, determinando una perdita annua pari ad un metro.

Grafico sulla prevista evoluzione del volume d acqua di Rodano, Reno, Engadina e Ticino.
In continuo calo: dati e stime sull’evoluzione del volume d’acqua accumulata nei ghiacciai svizzeri (bacini del Rodano e del Reno, Engadina e Ticino) SCNAT/RSI

Va quindi inquadrata la relazione fra lo scioglimento dei ghiacciai e il fenomeno del riscaldamento globale. “Chiaramente ci sono anche altri fattori che influenzano la risposta dei ghiacciai da un anno all’altro”, osserva l’esperto, citando ad esempio quelle fluttuazioni che vanno ricondotte alle condizioni meteorologiche di un particolare periodo. Quanto al riscaldamento globale in sè, altri fattori naturali possono anche incidere, ma pur sempre su una scala intermedia. Può darsi ad esempio “che una grande eruzione vulcanica, come quella di alcuni anni fa in Islanda, abbia un influsso sul clima globale. Ma sul lungo termine ciò non rappresenta il segnale principale”.

Il riscaldamento globale, sottolinea Farinotti, “è qualcosa che agisce su una lunga scala temporale e qui il link è assolutamente dato, È inequivocabile il fatto che negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un riscaldamento globale al di fuori della norma. Ed è anche ben accertato che una parte non trascurabile di questo fenomeno è dovuta all’effetto antropico, ossia a emissioni causate dagli esseri umani”. 

Diagramma sullo spostamento della linea di confine a causa dello scioglimento dei ghiacciai.
Conseguenze “territoriali”: Il diagramma illustra l’influenza dello scioglimento dei ghiacciai sul tracciato del confine nel caso della regione di Zermatt. Dal 1940 al 2000 il livello del ghiacciaio si è abbassato e la linea spartiacque si situa sulla roccia. L’arretramento è compreso tra i 100 e i 150 m. Swisstopo

Intanto le conseguenze del ritiro dei ghiacciai non si limitano di certo alla sola configurazione del paesaggio. Sul piano delle risorse idriche, anzitutto, le stime indicano che “a dipendenza di dove ci troviamo, ci sarà una diminuzione fra il 5% e il 20% dei deflussi”. Un ghiacciaio, rammenta Farinotti, può essere rappresentato come un enorme serbatoio, con acqua accumulata sotto forma di neve in inverno e rilasciata, dopo lo scioglimento, in estate. Ma a livello stagionale, sull’onda dei mutamenti climatici, gli studiosi prevedono anche uno spostamento del picco dei deflussi dall’estate alla primavera. “Cosa succederà allora nei periodi estivi, che tendono anche ad essere periodi secchi?”. A questo interrogativo sono legate non poche preoccupazioni.

Altre preoccupazioni concernono invece gli impianti idroelettrici che sfruttano soprattutto la massa idrica proveniente dai ghiacciai. “Ci aspettiamo che questi bacini avranno meno acqua a disposizione e, quindi, anche una minore capacità di produzione idroelettrica”, ci dice il glaciologo dell’ETHZ. Inoltre, i cambiamenti nel regime dei deflussi implicheranno modifiche agli schemi annuali di produzione delle centrali. Ma un’incognita di peso è legata a quelle masse di detriti che rimarranno scoperte dopo lo scioglimento dei ghiacci e che, una volta in movimento, potranno portare ad una sedimentazione dei bacini idroelettrici. Il punto è che su questo scenario non si dispone ancora di stime precise. “È un problema che si inizia a scorgere e che non si sa esattamente quanto grave potrà diventare”, sottolinea Farinotti.

Un aspetto, quest’ultimo, che ci consente di approfondire un altro versante cruciale del problema, ossia il legame fra lo scioglimento dei ghiacciai e quei processi che possono magari sfociare in un dissesto idrogeologico. “Si può immaginare che lo stesso volume del ghiaccio abbia un effetto sui pendii circostanti. Quindi, se si scioglie un ghiacciaio, non c’è più una controforza a questi pendii, che possono così essere messi in movimento”, osserva l’esperto. Ma tale problema si estende più in generale a tutta la cosiddetta “criosfera”: dal permafrost (il suolo che rimane congelato per lunghi periodi) fino ai terreni innevati. La neve, ad esempio, è ora presente per un diverso numero di giorni su differenti aree. Quindi anche “l’intergioco fra lo scioglimento della neve, la saturazione del suolo e la sua stabilità porta a degli smottamenti che prima non si vedevano”.

Ma parliamo ora di tecnologia: in che misura potrebbe contribuire a rallentare lo scioglimento dei ghiacciai? Mostra efficacia, ci spiega Farinotti, il ricorso ad apposite coperture per respingere la radiazione solare e frenare in tal modo lo scioglimento. Ma è ovvio che una soluzione di questo tipo trova applicazione solo localmente e con effetti limitati. 

Sono quindi allo studio anche le possibilità legate ad un innevamento artificiale dei ghiacciai. Ma su questo punto l’esperto dell’ETHZ cita gli esiti, piuttosto eloquenti, di una stima sull’ipotetico uso di cannoni da neve per preservare una piccola porzione di ghiacciaio. Ebbene, per una superficie di appena mezzo chilometro quadrato, occorrerebbero “più o meno 4’000 cannoni continuamente in funzione” , ci dice Farinotti, sottolineando tutti gli oneri che ne deriverebbero in termini di acqua, di energia, di acquisto e manutenzione degli stessi cannoni da neve.

Scenari non certo realistici, per quella che naturalmente è solo una simulazione. Essa, tuttavia, è utile per avere un’idea sull’impatto dei mutamenti climatici e su “quale sforzo occorrerebbe solo per mantenere un ghiacciaio nella sua posizione odierna”. E ciò, sottolinea il glaciologo, senza coprire “nulla di tutti gli altri aspetti citati prima: gli effetti sulle risorse idriche, sull’energia idroelettrica, sullo smottamento dei pendii…È molto interessante per capire quale sia la dimensione del fenomeno”. Un fenomeno che sta cancellando qualcosa che ha impiegato secoli e millenni a formarsi su scala planetaria. E che ora sta scomparendo a ritmo accelerato e con ripercussioni considerevoli per tutto l’ambiente naturale.

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