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Continua il braccio di ferro tra Ue e Polonia

La Commissione europea sceglie la linea dura con la Polonia, le cui nuove leggi sulla giustizia "minacciano l'indipendenza e la legittimità del sistema". Bruxelles si dice pronta ad attivare la procedura più grave verso uno Stato membro, quella dell'articolo 7 dei Trattati. Con misure che possono portare alla sospensione di alcuni diritti del Paese in seno all'Ue, compreso quello di voto in Consiglio.

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A irritare l’esecutivo europeo è soprattutto il silenzio del governo di Beata Szydlo, espressione del Pis nazionalista di destra di Jaroslaw Kaczynski, a fronte delle preoccupazioni di Bruxelles.

Caduta nel vuoto l’offerta di dialogo, il collegio dei commissari ha optato per il pugno duro. Per il momento varando una nuova raccomandazione e prevedendo l’avvio di una procedura di infrazione. Ma sul tavolo ha messo anche l’arma più potente in mano all’Ue per sanzionare un proprio Stato membro, quella appunto dell’articolo 7, finora mai utilizzata.

Firmata dal presidente una delle tre leggi sotto accusa

Nel mirino c’è il tentativo di Varsavia di sottoporre la magistratura al controllo del governo. Il presidente polacco Andrzej Duda ha firmato una delle tre leggi contestate, che permetterà al ministro della Giustizia di indicare i presidenti di alcuni tribunali. Su questa norma si abbatterà la procedura di infrazione, “non appena la legge sarà pubblicata”, spiega il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans.

Duda ha posto invece il veto sulle altre due leggi, che riguardano il Consiglio nazionale della magistratura e la Corte suprema. A Bruxelles però tengono alta la guardia ed è proprio sull’Alta corte che Bruxelles traccia la linea rossa: se sarà concesso il potere di allontanarne i giudici, scatterà “immediatamente” la procedura di attivazione dell’articolo 7. Anche prima del mese di tempo concesso alla Polonia per rispondere alle critiche.

Necessaria l’unanimità dei paesi

La minaccia, nel caso polacco, potrebbe tuttavia rivelarsi un’arma spuntata. La Commissione, infatti, ha sì il potere di richiedere l’attivazione dell’articolo 7 ma perché sia effettivamente riconosciuta la violazione è necessaria l’unanimità degli altri Stati membri dell’Ue. E l’Ungheria di Viktor Orban, pure lui ai ferri corti con Bruxelles per altre ragioni, fa già sapere di essere contro.



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