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Brexit: ipotesi dimissioni May slitta a venerdì

La premier May oggi alla Camera dei Comuni. Keystone/AP/MARK DUFFY sda-ats

(Keystone-ATS) Sembra rinviata almeno a venerdì l’ipotesi di dimissioni di Theresa May da leader Tory e da prima ministra britannica.

Lo riferiscono i media del Regno Unito citando fonti di Downing Street che escludono la possibilità che la premier possa farsi da parte o essere costretta a uscire di scena già nelle prossime ore.

Una Gran Bretagna dilaniata dallo stallo parlamentare sulla Brexit apre domani la tornata delle elezioni Europee del 2019: appuntamento al quale, in tempi di sfide fra sovranisti e non, il Regno non avrebbe neppure dovuto partecipare a rigor di logica, a ben tre anni dal referendum che sulla carta nel giugno 2016 ne aveva suggellato l’addio dall’Ue.

La corsa per la scelta dei 73 eurodeputati britannici a Strasburgo – tutti destinati a uscire di scena nel momento in cui il divorzio fosse finalmente formalizzato – non appassiona in effetti quasi nessuno oltremanica, dove del resto l’affluenza per questo tipo di consultazione è sempre stata marginale: sotto il 40%. Non solo perché i risultati si sapranno domenica 26, quando voterà il grosso degli altri Paesi. Ma soprattutto per i venti di crisi politica scatenatisi a Londra, e accompagnati per colmo di disgrazia anche dal crac di British Steel, industria dell’acciaio con 5000 dipendenti a rischio.

L’estremo tentativo di compromesso della May per provare a riproporre a Westminster entro il 7 giugno la partita della ratifica della Brexit dopo le bocciature a ripetizione e gli inestricabili veti incrociati dei mesi scorsi sembra aver prodotto un plateale effetto boomerang. Il testo della legge di attuazione del recesso dal club europeo (Withdrawal Agreement Bill) concepito come uno sforzo di compromesso con le opposizioni ha finito con lo scontentare tutti o quasi.

I “10 punti di novità” illustrati ieri dalla premier Tory in pubblico e presentati oggi nella Camera dei Comuni sono stati accolti da un clima a metà fra l’ostilità e il disinteresse in un aula che si è andata in parte svuotando mentre la prima ministra ancora parlava. Concessioni eccessive per una larga porzione di conservatori e non solo tra i falchi brexiteer ribelli, furiosi in particolare per le aperture della premier sulla disponibilità a far votare un nuovo emendamento sull’ipotesi di un referendum bis (seppure con parere contrario del governo).

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