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Braccio di ferro al tribunale per i Khmer rossi

Tratto dalla locandina del film "Duch, le maître des forges de l’enfer". Rithy PANH

Il processo contro i dirigenti del regime di Pol Pot è ripreso in Cambogia. Nonostante l'opposizione di Phnom Penh, il giudice svizzero Laurent Kasper-Ansermet vuole portare in tribunale altri cinque casi. Una scelta non condivisa dal regista Rithy Panh.

Ad oltre trent’anni dalla caduta del regime dei Khmer rossi, il tribunale straordinario cambogiano ha emesso la sua prima sentenza definitiva, condannando al carcere a vita il comandante Duch, direttore del centro di tortura S21.

Una sentenza accolta con un plauso dalla comunità internazionale, ma alle cui spalle si cela un tribunale in subbuglio, che da diversi anni procede a rilento lungo un percorso irto d’ostacoli.

Mentre il governo cambogiano ritiene che l’accordo sottoscritto con le Nazioni Unite non autorizza il tribunale a proseguire l’inchiesta, quattro alti dirigenti del regime sono attualmente sotto processo e altri cinque hanno appena ricevuto la lista dei capi d’accusa stilata nei loro confronti.

Ridotti alla schiavitù

Una delle persone sotto inchiesta, Im Cheam, ha confermato la notizia al Phnom Penh Post, un quotidiano in lingua inglese e khmer. Questa donna avrebbe supervisionato un importante progetto di irrigazione promosso dal regime dei khmer rossi a Trapeang Thma, nel nord-ovest del paese, dove migliaia di persone erano costrette ai lavori forzati e morivano di fame e di fatica.

Raggiunto a Phnom Penh, il giudice ginevrino Laurent Kasper-Ansermet rifiuta di commentare questi nuovi sviluppi, ma conferma a swissinfo.ch di essere stato abilitato a proseguire le inchieste. «Ho ricevuto tutte le autorizzazioni richieste per la mia funzione di co-giudice istruttore supplente. Qualche settimana fa, David Scheffer (designato dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon come consulente speciale per il processo contro i Khmer rossi, nrd. ) ha confermato pubblicamente che potevo andare avanti».

Sorda agli appelli delle Nazioni Unite, la Cambogia si rifiuta però di nominare Laurent Kasper-Ansermet co-giudice del Tribunale speciale. L’ex magistrato ginevrino era stato scelto dalle Nazioni Unite per succedere al tedesco Sigfried Blunk, che lo scorso ottobre aveva dato le dimissioni dopo essere stato accusato dal governo d’ingerenza. E questo per aver cercato di portare davanti al tribunale altri leader del vecchio regime.

Braccio di ferro

I giudici internazionali e i loro colleghi cambogiani faticano dunque a trovare un accordo. «Questi contrasti non facilitano di certo il compito del tribunale e hanno delle ricadute importanti anche sul processo in corso contro i tre dirigenti dei Khmer rossi», ammette Laurent Kasper-Ansermet.

Per le ONG internazionali, la situazione è chiara: il governo di Phnom Penh farà di tutto per ostacolare l’azione dell’ONU e della giustizia internazionale. Nel loro mirino c’è in particolare il premier Hun Sen, accusato di aver avuto dei legami con i Khmer rossi.

Accuse respinte dal regista cambogiano Rithy Panh, di passaggio al Festival internazionale del film e forum sui diritti umani di Ginevra, dove ha ricevuto il Grand Prix per il suo documentario ” Duch, le maître des forges de l’enfer” (“Duch, il signore degli inferi”).

Rimproveri ingiusti

«Se Hun Sen si fosse realmente opposto all’istituzione di un tribunale, nessun processo avrebbe avuto luogo. Il governo cambogiano non ha nulla da rimproverarsi. Si è sempre battuto per portare davanti alla giustizia i Khmer rossi ed è riuscito da solo a sconfiggere la guerriglia di Pol Pot attiva fino alla fine degli anni Novanta», dichiara a swissinfo.ch questo sopravvissuto alla dittatura. Un punto di vista confermato anche dai documenti ufficiali accessibili sul sito web dell’ONU e dai rapporti di diversi storici.

«Ci vorrebbero 300 anni per poter condannare tutti i Khmer rossi, sottolinea Rithy Panh. La Cambogia non ha le risorse finanziarie necessarie per aprire un nuovo processo, e tanto meno l’ONU».

Istituito nel 2006, il Tribunale straordinario manca di liquidità. Il Giappone – principale donatore – ha recentemente stanziato un credito di sei milioni di dollari, appena sufficiente a pagare i 300 impiegati cambogiani che da ottobre si ritrovano senza salario. Un terzo del personale proviene da altri paesi e viene stipendiato direttamente dalle Nazioni Unite.

«Se il processo viene trascinato per anni, i cambogiani inizieranno a chiedersi che senso ha spendere così tanti soldi mentre il nostro paese è sempre più povero, commenta il regista. La Cambogia ha vissuto l’esperienza di un genocidio; la pace è stata fatta; il territorio sminato. Il governo ha dunque fatto qualcosa. Anche se, ben inteso, ci sono ancora dei problemi come la corruzione o le disparità sociali ed economiche».

Di fatto la Cambogia è tuttora un paese dalla democrazia traballante. Ma le libertà individuali sono meglio rispettate in confronto ad altri paesi della regione, secondo il politologo belga Raoul Marc Jennar, attuale consigliere del governo cambogiano e testimone nel processo contro il comandante Duch.

Impatto positivo

Stando al regista cambogiano Rithy Panh, le ricadute positive del processo Duch si sono già fatte sentire. «Finora sono 120’000 i cambogiani provenienti da tutte le province che hanno assistito al primo processo e sarà lo stesso per gli altri tre in corso. Da due anni, inoltre, i corsi di storia nelle scuole parlano del genocidio perpetrato da Pol Pot».

«Di fronte a questo genocidio e alle sue conseguenze, la giustizia non può risolvere tutto. Se esistono mezzi supplementari, sarebbe preferibile investirli nella documentazione e l’accesso del popolo alla storia. Secondo me, questo aspetto conta come il processo. La Cambogia ha bisogno di ritrovare la sua fierezza».

I Khmer rossi sono giunti al potere il 17 aprile 1975, con la proclamazione a primo ministro del loro leader Pol Pot. Il regime è stato rovesciato il 7 gennaio 1979.

Oltre due milioni di persone sono morte in 3 anni, 8 mesi e 20 giorni.

Dopo la caduta del regime per mano delle truppe vietnamite, la Cambogia è sprofondata in una sanguinosa guerra civile, conclusasi nel 1998 con lo smantellamento delle strutture politiche e militari dei Khmer rossi.

Nel 2006 il Tribunale speciale per i Khmer rossi ha dato il via all’inchiesta contro cinque leader del regime.

  

Kaing Guek Eav

alias Duch (ex direttore dell’S-21) è stato riconosciuto colpevole in prima istanza di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra. Due anni dopo, nel 2012, è stato condannato in appello al carcere a vita.

Altri processi attualmente in corso:

Khieu Samphan, ex capo di Stato della Kampuchea democratica, nome ufficiale della Cambogia tra il 1976 e il 1979.

Ieng Sary, ex ministro degli affari esteri della Kampuchea democratica

Nuon Chea, ex presidente dell’Assemblea nazionale della Kampuchea democratica e segretario aggiunto del partito comunista.

 
Ieng Thirith, ex ministra degli affari sociali della Kampuchea democratica. Attualmente è sottoposta ad esami medici per demenza.

  
Cinque nuovi casi sono al vaglio del tribunale.

Nato nel 1964 a Phnom Penh, in Cambogia, Rithy Panh è sopravvissuto ai campi di lavoro dei Khmer rossi. Fuggito in Thailandia nel 1979, ha raggiunto la Francia nel 1980.

Lavora come regista, scrittore e produttore.

Nel 2003 ha realizzato il documentario “S-21, la machine de mort de Khmer rouge” (“S-21, la macchina della morte dei Khmer rossi”), premiato a Cannes con il François Chalais Award.

Con “Duch, le maître des forges de l’enfer” (“Duch, il signore degli inferi”), del 2011, ha vinto il Grand Prix al Festival internazionale del film e forum sui diritti umani di Ginevra.

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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