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Materie prime: la Svizzera si batte per restare attrattiva

Reuters

Il settore delle materie prime può tirare un sospiro di sollievo: di recente, il governo svizzero si è opposto all'introduzione di norme più severe sulla trasparenza. La pressione internazionale sul segreto bancario e sui regimi fiscali cantonali, potrebbe però ridurre l'attrattiva della Svizzera.

L’atteso rapporto del Consiglio federale (governo svizzero) sul commercio delle materie prime, presentato nel mese di marzo, è stato accolto con favore dalle multinazionali del settore, che lo hanno definito “ben pensato”, “adeguato” e “bilanciato”.

Le società di trading hanno elogiato in particolare il rifiuto della Svizzera di adattarsi alle nuove misure adottate da Stati Uniti ed Unione europea sulla trasparenza. Queste norme prevedono, tra l’altro, l’obbligo per le multinazionali attive nel commercio delle materie prime di rendere pubblici tutti i pagamenti fatti a un governo, a partire da 100’000 dollari o rispettivamente 100’000 euro.

Il rapporto del Consiglio federale era particolarmente atteso in Svizzera ma anche all’estero. Il settore delle materie prime è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni: secondo le stime del quotidiano britannico Financial Times,  l’utile delle 20 principali multinazionali è passato da 2,1 miliardi di dollari nel 2001 a 33,5 miliardi nel 2008. Ciò ha generato ricchezza, ma anche sfruttamento, corruzione e danni ambientali.

Tuttavia, secondo Martin Fasser – presidente della Zug Commodity Association – la decisione svizzera non è né buona né cattiva. Le società di trading sono già obbligate a rivelare le loro transazioni alle autorità, come prevede la legge statunitense Dodd-Frank e le direttive proposte dall’Unione europea, aggiunge Martin Fasser.

«In linea generale, le nuove misure sulla trasparenza non vengono considerate come qualcosa che va a rompere gli schemi attuali», spiega Martin Fasser. «Le informazioni finanziarie sono già disponibili. Non sarebbe quindi particolarmente problematico rendere pubblici i pagamenti nelle note di bilancio».

«Non ho mai sentito parlare di una società che avrebbe considerato di trasferirsi in Svizzera per sfuggire al Dodd-Frank o alla legislazione europea. E nemmeno di multinazionali disposte a lasciare la Confederazione se il Consiglio federale decidesse di cambiare la sua strategia e rendere più severe le norme sulla trasparenza».

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Teorie del complotto

Per Emmanuel Fragnière, professore di economia all’Alta scuola di gestione di Ginevra e responsabile di un corso sulle materie prime, le pratiche di riservatezza finanziaria sono la linfa vitale del settore proprio perché facilitano le complesse transazioni attraverso le quali vengono trasferite le materie prime in tutto il mondo.

Definire il miglior prezzo per questo tipo di commercio è un difficile atto di equilibrismo, che può concludersi con profitto oppure con una perdita. Questi dati sono cruciali per mantenere un vantaggio competitivo sugli avversari e sono dunque gelosamente protetti.

Emmanuel Fragnière ritiene che le richieste di Stati Uniti e Unione europea per una maggiore trasparenza nel settore delle materie prime siano legata agli attacchi internazionali contro il sistema finanziario svizzero.

Le regolamentazioni devono essere migliorate in modo da scoraggiare quei “pirati” interessati più allo sfruttamento che al commercio equo, commenta ancora Emmanuel Fragnière, pur contestando l’approccio dogmatico di Stati Uniti ed Unione europea.

«La Svizzera è un centro internazionale per le multinazionali attive nel commercio delle materie prime, che operano in un ambiente selvaggio. Anche un settore costruito sul culto del segreto ha bisogno di regole, ma queste devono essere applicate in modo pragmatico. Non bisogna semplicemente dettare nuove restrizioni».

La legge americana Dodd-Frank, entrata in vigore nel 2010, include una serie di misure per regolare il settore finanziario. È stata voluta dall’Amministrazione Obama in seguito alla crisi dei subprime.

Le società attive nel commercio delle materie prime quotate in borsa hanno l’obbligo di pubblicare tutti i pagamenti a beneficio dei governi, se superiori a 100’000 dollari.

Queste transazioni possono includere anche tasse, bonus e diritti di licenza.

La Dodd-Frank stabilisce inoltre una serie di normative vincolanti per il controllo del mercato dei derivati, strumenti particolarmente sfruttati nel commercio delle materie prime.

Anche l’Unione europea ha adottato a inizio anno una serie di misure più restrittive sul commercio delle materie prime. L’accordo deve ancora essere approvato dal Parlamento europeo ed entrerà probabilmente in vigore entro fine anno.

Come gli Stati Uniti, anche l’Unione europea intende obbligare le società a pubblicare tutti i pagamenti per paese e per progetto.

La concorrenza di Singapore

Anche Samir Zreikat, che gestisce  la società di consulenza ginevrina Dealigents, ritiene che un inasprimento delle norme sulla trasparenza sia un’estensione degli attacchi sferrati al segreto bancario svizzero. Egli teme che i migliori avvocati, contabili e specialisti finanziari elvetici seguano le attività trasferite fuori dalla Svizzera da clienti stranieri.

«Dato che i clienti più facoltosi spostano i loro beni dalle banche svizzere verso altri paesi, non c’è dubbio che anche le società di servizi potrebbero seguirli, riducendo così l’attrattiva della Svizzera e il livello generale di competenza della piazza elvetica», spiega Samir Zreikat.

A beneficiarne potrebbe essere Singapore. Lo Stato insulare ha già costruito un impressionante settore delle materie prime, grazie in particolare alla vicinanza con la Cina e a un regime fiscale vantaggioso.

Secondo fonti ufficiali, sono circa 280 le multinazionali che approfittano di un contesto normativo clemente, per un totale di 12’000 impiegati (poco di più del mercato svizzero).

Esodo di massa?

Le società con sede a Singapore sono sottoposte a una tassa di circa il 5 per cento contro una media del 10 in Svizzera. In futuro, le pressioni dell’Unione europea sulla Svizzera potrebbero spingere i cantoni svizzeri a un tasso unico del 13 per cento.

Lo scorso anno, l’annuncio della multinazionale Trafigura (attiva nel commercio del petrolio) di voler delocalizzare a Singapore il suo centro operativo aveva scatenato un certo stupore in Svizzera. La società si era però difesa adducendo ragioni geopolitiche e negando quelle fiscali.

Martin Fasser ammette di temere la concorrenza di Singapore. È però convinto che un cambiamento del tasso di imposizione rischia più che altro di frenare la crescita del settore che non promuovere un esodo massiccio dalla Svizzera.

«Rispetto al passato, la Svizzera accoglie con meno entusiasmo le società attive nel commercio delle materie prime e in altri paesi il regime fiscale è ormai diventato più vantaggioso», commenta Martin Fasser.

Altri sviluppi

Anche Gennadi Timtschenko, cofondatore del gigante del commercio petrolifero Gunvor, mette in guardia la Svizzera dal cedere alle pressioni dell’Unione europea. Gennadi Timtschenko risiede attualmente a Ginevra, che assieme a Zugo ospita le più grandi società del settore.

«Se io non fossi qui, probabilmente non lo sarebbe nemmeno la mia società», ha detto al quotidiano svizzero-tedesco Neue Zurcher Zeitung. «Ci sentiamo a casa a Ginevra, ma se il governo deciderà di cambiare radicalmente le condizioni di base, dovremmo rivalutare la situazione».

«Potremmo spostarci a Singapore in qualsiasi momento; abbiamo già un ufficio sull’isola. Singapore è un posto sicuro e stabile. Il clima è forse un po’ diverso, ma non sarebbe così difficile adattarsi».

(Traduzione dall’inglese: Stefania Summermatter)

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