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Biodiversità: «Stiamo segando il ramo che ci sorregge»

La tigre è in cima alla lista delle specie minacciate di estinzione. Keystone

Gli interessi economici continuano a prevalere sulle considerazioni ambientali, ciò che mina i fondamenti della vita sulla Terra. È la conclusione a cui giunge Jean-Christophe Vié dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN) al termine dell'Anno internazionale della biodiversità.

All’immagine della marea di petrolio che nel mese di aprile ha inferto un duro colpo agli ecosistemi nel Golfo del Messico, il 2010 è stato un anno difficile per la biodiversità.

Certo, non sono mancati i passi in avanti, come in occasione della Conferenza sulla biodiversità di Nagoya. Tuttavia, ritiene il responsabile del programma per la protezione della biodiversità dell’UICN (considerata l’organizzazione più autorevole nella conservazione della natura), si è rafforzata la sensazione secondo cui economia e mondo politico siano sempre più insensibili alle raccomandazioni degli ambientalisti.

swissinfo.ch: Iniziamo dalle buone notizie: quali sono stati gli sviluppi più significativi dell’Anno internazionale della biodiversità?

Jean-Christophe Vié: Direi innanzitutto la Conferenza sulla biodiversità di Nagoya. Si può essere scettici sulla sua utilità, ma perlomeno ha permesso di giungere a un accordo internazionale. La politica ha manifestato l’intenzione di voler fare qualcosa per salvaguardare la biodiversità. Ma alle parole seguiranno i fatti?

Abbiamo poi avuto la prova che i programmi di conservazione della natura hanno permesso di rallentare il declino di alcune specie minacciate. Per diverse specie analizzate dall’UICN, quali l’elefante africano o la megattera, la situazione è addirittura sensibilmente migliorata.

swissinfo.ch: A Nagoya ci si è impegnati a proteggere almeno il 17% delle aree di terra e il 10% degli oceani entro il 2020. Un obiettivo realistico?

J.-C. V: Senza dubbio, anche perché il 13% della superficie terrestre è già in un qualche modo protetto. Per questo avremmo voluto una percentuale maggiore. Il problema è comunque come gestire questi spazi, visto che bracconaggio e distruzione delle foreste sono fenomeni diffusi in molte riserve.

La conservazione della natura non deve però avvenire soltanto nei parchi. Deve iniziare nei giardini di casa, nelle città. La natura deve entrare nella vita della gente.

swissinfo.ch: Per quali aspetti, al contrario, il 2010 è stato avaro di soddisfazioni?

J.-C. V.: Purtroppo ce ne sono parecchi. Durante l’incontro di Nagoya abbiamo constatato che gli impegni per ridurre la perdita di biodiversità presi nel 2002 non sono stati concretizzati. In generale, la biodiversità ha continuato a regredire in modo sostanziale.

C’era poi l’auspicio che la crisi economica e finanziaria ci avrebbe portato a riflettere maggiormente sul funzionamento del pianeta. Invece, in barba all’accumularsi di molteplici segnali, l’ambiente è messo sempre più sotto pressione dallo sviluppo economico. Stiamo segando il ramo che ci sorregge.

swissinfo.ch: Quali sono le responsabilità del mondo politico?

J.-C. V.: Nel corso di quest’anno abbiamo notato che i politici ignorano sempre più le informazioni della scienza, per favorire invece gli interessi specifici o delle lobby. Lo abbiamo visto nel caso della pesca: nonostante i moniti sull’eccessivo sfruttamento dei mari, nei negoziati internazionali la protezione di specie quali il tonno rosso è stata sopraffatta dagli interessi delle lobby della pesca.

swissinfo.ch: Va però detto che le conoscenze scientifiche sono limitate, se si pensa che sono state classificate 1,7 milioni di specie su un totale stimato di 50-100 milioni…

J.-C. V.: È vero: conosciamo soltanto una minima percentuale delle specie presenti sulla Terra. Lo studio di questa “fetta” ci permette però di estrapolare le osservazioni al resto delle specie che non conosciamo. Se ad esempio si osserva che la degradazione della foresta mette in pericolo alcuni anfibi o uccelli, si può affermare che succede la stessa cosa per gli invertebrati.

swissinfo.ch: Tornando alla natura, quali sono le constatazioni più inquietanti?

J.-C. V.: Sono scoraggiato dalla pochezza dei dibattiti sull’ambiente e dal fatto che – lo ripeto – tutto giri attorno all’economia e alla finanza. I segnali inviati dall’ambiente non sono recepiti. Eppure sono in gioco i fondamenti della vita sulla Terra!

In termini di biodiversità, è inquietante l’evoluzione osservata in alcune regioni del pianeta. Penso in particolare al Sud est asiatico, in preda a una deforestazione massiccia che sta portando alla scomparsa di moltissime specie di mammiferi e uccelli. Senza dimenticare i coralli, il gruppo di specie che presenta il declino più importante.

swissinfo.ch: Cosa necessità la salvaguardia della biodiversità per essere più efficace?

J.-C. V: Ci vuole tutto: dai fondi finanziari per sostenere il lavoro sul terreno, alla presa di coscienza della gente. Che si parli di consumo elettrico o di mobilità, la moderazione dovrebbe prevalere sugli eccessi. C’è un grande bisogno di sensibilizzazione: molti si rattristano per la sorte dell’orso polare, ma non sono consapevoli che la stessa cosa sta succedendo anche ad alcuni uccelli svizzeri.

Fino ad oggi sono state descritte oltre 1,7 milioni di specie animali e vegetali.

Quasi un terzo delle 52’000 specie classificate dall’UICN, organizzazione con sede a Gland in Svizzera, è in pericolo di estinzione.

Il gruppo più a rischio è quello degli anfibi: 1’865 specie su 6’285 sono minacciate.

Le cause principali della perdita di biodiversità sono l’alterazione e la distruzione degli habitat, la diffusione di colture estensive, l’introduzione di specie aliene, l’aumento dell’inquinamento e i cambiamenti climatici.

In Svizzera, gli animali più sotto pressione sono i rettili e gli anfibi.

A preoccupare è pura la situazione dell’avifauna: il 40% delle circa 200 specie di uccelli che nidificano in Svizzera è minacciato.

La riduzione della biodiversità nel mondo è in parte controbilanciata dalla scoperta di nuove specie: uno studio del WWF presentato quest’autunno rileva che in Amazzonia sono state individuate 1’200 nuove specie (soprattutto piante, pesci e anfibi) tra il 1999 e il 2009.

(fonti: UICN, Ufficio federale dell’ambiente)

Alla Conferenza sulla biodiversità di Nagoya (ottobre 2010) è stato presentato il più ampio studio mai realizzato sul valore dei sistemi naturali nell’economia umana.

Nel rapporto The economics of ecosystems and biodiversity(Teeb) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente si illustra il valore economico dei diversi ecosistemi (foreste, suolo, barriera corallina,…) e il costo socio-economico della loro perdita.

Dal Teeb emerge ad esempio che il valore economico degli insetti impollinatori è stimato a 153 miliardi di dollari.

L’importanza delle barriere coralline per il benessere umano è invece valutato tra i 30 e i 172 miliardi di dollari all’anno.

Una sezione del rapporto Teeb incita poi le imprese a integrare la biodiversità all’interno dei piani aziendali.

Secondo le stime, il mercato “verde” potrebbe raggiungere un volume compreso tra i 2 e i 6 trilioni di dollari entro il 2050.

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