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Al padiglione svizzero un viaggio dei sensi tra fantasia e realtà

Potenti proiettori tingono di verde muri, soffitti e pilastri della grande installazione dell'artista Pamela Rosenkranz al padiglione svizzero della Biennale di Venezia 2015. Our Product/Marc Asekhame

Ben ancorata in un passato di opere molto concrete e poco virtuali, la Biennale dell’arte di Venezia s’interroga su tutti i mondi del futuro. La Svizzera è presente con l’opera di Pamela Rosenkranz, che indaga sulle radici umane e propone un’arte che fa da ponte mobile tra l’uomo e i suoi oggetti, tra la natura e la cultura.

Al posto dei pixel ci sono molecole organiche e sintetiche. Invece del linguaggio conosciuto, si trovano parole senza senso compiuto. Questi concetti stanno alla base della mostra “Our Product”, materia fluida per eccellenza.

Il padiglione svizzero si trasforma in una grande installazione per mano dell’artista Pamela Rosenkranz. Solo la facciata di mattoni è rimasta visibile, come una cornice intoccabile, residuo di architettura moderna.

Rami e foglie coprono parte del pavimento, sparpagliati a caso, come un autunno in ritardo in una primavera avanzata. I muri, i soffitti interni e i pilastri, investiti da potenti proiettori, si tingono di verde, nel pieno della luce del giorno. Il tono verdeggiante rinvia a quello delle acque del Canal Grande, a poca distanza.

E un bagliore alla fine di un tunnel oscuro, stretto e rettangolare, un cubo alto e lungo, conduce al bordo elevato di un’enorme piscina coperta, protetta dalle intemperie dalla struttura di acciaio e vetro. La grande sala delle esposizioni è inondata da 240mila litri di una misteriosa sostanza fluida e viscosa a temperatura ambiente.

Maternat, Colienis, Lapulin

Pamela Rosenkranz Our Product/Marc Asekhame

Il liquido è composto di ingredienti segreti tradotti in un mare di parole intraducibili come Abeei, Afriam, Selmelin, Qualbiat. «Sono vocaboli che ho inventato, non esistono in un lessico», afferma l’artista Pamela Rosenkranz durante la presentazione. L’ampio glossario è stato stampato in un piccolo libro distribuito ai visitatori. E si può ascoltare in versione registrata davanti alla piscina.

Le parole, se si vuole, invitano a riflettere sui nomi dei prodotti lanciati dall’industria farmaceutica, caratterizzati da un vocabolario tecnico, ermeticamente chiuso, se non fosse per la tenacità dell’artista nell’interpretare e nell’ispirarsi alle istruzioni dei medicinali. Neppure l’artista informa sulle dosi dei molteplici elementi che compongono il liquido della piscina, una sorta di zuppa dal colore della pelle di un europeo bianco, tinta rosea rinascimentale, un colore che esercita una forte attrazione fisica e mentale.

Una tinta che non per caso è usata e abusata dalla pubblicità per sedurre i consumatori. È uno dei ponti artistici costruiti da Pamela Rosenkranz tra il mondo reale e la fantasia seduttrice. Apre una nuova prospettiva sulla manipolazione di elementi biologici, chimici e fisici presente nello sviluppo tecnologico, scientifico e commerciale.

L’uso di materie prime inusuali quali le medicine, per esempio il Viagra, i polimeri sintetici, il silicone e le bottiglie di acqua minerale di marca, valorizzano questo percorso. L’artista colloca una lente di ingrandimento nelle composizioni chimiche e ne estrae i principi attivi per alimentare le questioni estetiche e filosofiche del mondo dell’arte.

«In Our Product si usano molti materiali visibili e altri che non si possono vedere, sintetici. Eppure si scopre che la divisione tra organico e sintetico non è sensata, non lo è oggi e forse non lo è mai stata. Questo perché la divisione tra natura e cultura è stata fatta dagli uomini», dice Susanne Pfeffer, curatrice dell’esposizione.

Significato e percezione

L’intenzione della mostra è di mettere in questione il modo di vedere e sentire le cose. «Ha molto a che vedere con la percezione, con la possibilità di affidarsi alle proprie impressioni, con capacità di comprendere in base alla propria cultura, ai propri limiti, alle proprie impressioni, a seconda di una situazione mentale» spiega Susanne Pfeffer.

A prima vista, l’opera ricorda la scacchiera di una salina abbandonata, con le sue acque basse e colorate. Ma qui la riflessione è molto più profonda e scava nelle origini acquatiche dell’essere umano. E invece del vento che muove le pale dei mulini e la superficie delle vasche, c’è un motore sofisticato e ben nascosto.

Crea turbinii e rumori, a partire da complicati calcoli algoritmici, suoni sintetici d’acqua, esala odori. La fragranza nella sala è quella della pelle di un bebè. L’artista ha usato muschio, sintetizzato in laboratorio negli anni Cinquanta per evitare di estrarlo dalle ghiandole del mosco (moschus mochiferus).

Anche lo spazio intorno alla piscina, apparentemente vuoto, è riempito di suoni e odori. La mostra mobilita i cinque sensi. Il sesto, quello dell’intuizione, è una prerogativa dell’artista, ironica e disposta a condividere le sue inquietudini con i visitatori. «Credo di voler esplorare il modo in cui osserviamo le nostre percezioni e le possiamo trasformare», dice Pamela Rosenkranz.

Le lampade bianche sospese a tralicci di ferro proiettano nell’acqua figure distorte e ondulanti che richiamano i riflessi dei canali di Venezia. L’inerzia e il rigore della geometria cartesiana delle pareti della piscina contrastano con i movimenti circolari e caotici dell’opera, un «organismo» artificiale.

La luce naturale entra dalle finestre e illumina la grande sala, dialogando con quella artificiale e diretta. L’effetto cromatico «eurocentrico» è garantito. Ma al passo con l’evoluzione della civilizzazione europea delle ultime decadi, Pamela Rosenkranz ha ricoperto progressivamente gli spazi interni con una cenere che traduce la conseguenza di un’esposizione al sole e della mescolanza creata dalle migrazioni.

Artisti svizzeri a Venezia

All’edizione 2015 della Biennale dell’arte di Venezia il curatore della mostra, il nigeriano Okwui Enwezor, ha convocato 136 artisti per presentare opere ispirate al tema All the Future’s World. La grande mostra è aperta al pubblico dal 9 maggio al 22 novembre.

Il ministro della cultura elvetico, Alain Berset, ha partecipato l’8 maggio all’inaugurazione ufficiale dell’esposizione di Pamela Rosenkranz al Padiglione svizzero. L’indomani Berset ha inaugurato anche il Salon suisse a Palazzo Trevisan degli Ulivi. In quest’ultimo, sede veneziana dell’Istituto svizzero di cultura, la fondazione Pro Helvetia  promuove una serie di incontri sul tema «S.O.S. Dada – The World is a Mess».

Pamela Rosenkranz non è infatti l’unica svizzera presente a Venezia. Thomas Hirschhorn occupa una delle sale del padiglione delle nazioni, nei giardini della Biennale, con una scultura fatta di carta, cartone, spume e nastri adesivi che arriva fino al tetto (RoofOff).

Christoph Büchel, in collaborazione con il padiglione islandese, ha invece ricreato una moschea dentro la chiesa sconsacrata di Santa Maria Misericordia.

Il critico dell’arte e curatore Hans-Ulrich Obrist è presente nel padiglione italiano con un «manifesto contro l’oblio».

L’artista interdisciplinare basilese Nikunja presenta invece il progetto Xanadu – Contemporary Dream Temple in uno dei 44 eventi collaterali della Biennale.

(Traduzione dal portoghese: Andrea Tognina)

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