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Con o senza una nuova legge, non sarà semplice restituire i fondi di Ben Ali o di Mubarak

In un mercato di Tunisi. A quasi cinque anni dalla rivoluzione, la situazione economica nel paese che ha dato il via alla Primavera araba resta difficile. AFP

Il patrimonio di quasi un miliardo di franchi bloccato dalla Svizzera in seguito alla Primavera araba è tuttora congelato nelle casseforti elvetiche. Tra l’instabilità postrivoluzionaria e i ricorsi in tribunale, la restituzione dei beni dei potentati si rivela un percorso ad ostacoli per le autorità svizzere. E la nuova legge, attualmente in discussione in Parlamento, non farà probabilmente miracoli.

«Voi svizzeri siete ricchi grazie ai soldi dei dittatori», dice un venditore di spezie di Tunisi. E poi sorridendo chiede dove sia finita la fortuna del clan dell’ex presidente tunisino Ben Ali. I cittadini della giovane democrazia magrebina non sono di certo gli unici a porsi la domanda. Quasi un miliardo di franchi di presunta origine illecita sono tuttora bloccati in seguito alla “Primavera araba”: 650 milioni provengono dall’Egitto, 120 dalla Siria, 90 dalla Libia e 60 dalla Tunisia, secondo le autorità federali.

«È normale che il processo di restituzione prenda tempo perché si fonda sui principi dello Stato di diritto, che chiedono di dimostrare l’origine illecita dei fondi nell’ambito di una procedura giudiziaria, nello Stato d’origine o in Svizzera, spiega Pierre-Alain Eltschinger, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Ciò implica che i titolari dei fondi possono fare ricorso, prolungando ulteriormente la procedura».

Le inchieste sono complesse e il loro sviluppo dipende molto dalla collaborazione con gli Stati interessati. Nel caso della Tunisia, la cooperazione funziona abbastanza bene, secondo l’opinione generale. «Tutte le prove richieste sono state trasmesse», nell’ambito dell’assistenza giudiziaria, spiega Raphael Frei, portavoce dell’Ufficio federale di giustizia (UFG).

La Tunisia, culla della Primavera araba, è il paese che ha negoziato meglio la sua rivoluzione, segnata dalla fuga di Ben Ali il 14 gennaio 2011. Le elezioni legislative e presidenziali si sono tenute con successo alla fine del 2014. L’apparato giuridico tunisino è però ancora molto fragile e il recupero dei beni illeciti è materia recente per lo Stato nord-africano.

Nell’aprile 2014, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) aveva ordinato la restituzione anticipata alla Tunisia di 40 milioni di franchi, detenuti dal cognato di Ben Ali, Belhassen Trabelsi, spiegando che l’origine criminale dei fondi poteva ormai essere «sufficientemente dimostrata». In dicembre, tuttavia, il Tribunale penale federale ha annullato la decisione. I giudici di Bellinzona ritengono infatti che il diritto di Belhassen Trabelsi di essere ascoltato è stato violato. Da allora non si è mosso nulla, stando a diverse fonti legate al dossier contattate da swissinfo.ch.

Lo spinoso caso egiziano

La collaborazione con l’Egitto è invece più complicata. Dalla caduta di Mubarak, l’11 febbraio 2011, il paese è in preda a una grande instabilità istituzionale ed è attualmente guidato col pugno di ferro dal generale Abdel Fattah al-Sisi.

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«Uno dei problemi principali è che gli interlocutori della Svizzera in Egitto cambiano in continuazione. È difficile mantenere delle buone relazioni di lavoro, osserva Mark Herkenrath, direttore di Alliance Sud, l’associazione ombrello delle sei grandi ONG svizzere, che segue il dossier da vicino.

Vi è poi un altro ostacolo. Nel novembre 2014 la giustizia egiziana ha fatto cadere le accuse di complicità in omicidio che pesavano su Mubarak, per aver ordinato di sparare sui manifestanti. Ciò rende difficile dimostrare che i soldi dell’ex rais e del suo clan sono stati accumulati in modo illecito.

In giugno, il Ministero pubblico della Confederazione ha parzialmente archiviato le accuse di appartenenza a un’organizzazione criminale nei confronti di 13 persone del clan di Mubarak. Potrebbe così essere sbloccata una parte dei 650 milioni di franchi congelati in Svizzera. Il Cairo si è però opposto e ha presentato ricorso al Tribunale penale federale.

La procedura di assistenza giudiziaria è stata sospesa, «tenuto conto della difficile situazione politica in Egitto», secondo quanto riferito dall’Ufficio federale di giustizia.

È tuttora aperta invece l’inchiesta per riciclaggio di denaro. Olivier Longchamp, dell’ONG Dichiarazione di Berna, dubita però che la procedura sarà portata avanti: «Non credo che la Svizzera disponga di elementi sufficienti».

I dossier siriano e libico sono ancora più complessi da gestire, poiché i due paesi sono in piena guerra civile. In giugno, il Tribunale amministrativo federale ha respinto un ricorso del miliardario siriano Rami Makhluf, cugino del presidente Bashar al-Assad, la cui fortuna detenuta in Svizzera non è conosciuta.

Per quanto riguarda la Libia, invece, le inchieste concernerebbero 18 conti aperti in tre banche elvetiche, con ramificazioni in diversi paesi, secondo il mensile “La Cité”.

Impatto limitato della nuova legge

La legge sul blocco e la restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte all’estero (LBRVCollegamento esterno), attualmente al vaglio del parlamento svizzero, potrà facilitare le procedure? Non per la Siria e la Libia.

Il blocco di questi fondi rientra infatti nel pacchetto di sanzioni deciso dal Consiglio federale, in linea con quanto stabilito dal Consiglio di sicurezza dell’ONU e dall’Unione europea. «Il blocco degli averi siriani e libici si fonda unicamente sulla legge sugli embarghiCollegamento esterno», indica Antje Baertschi, portavoce della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), l’ufficio responsabile dell’applicazione delle sanzioni internazionali.

Dalla sua entrata in vigore, la nuova legge si applicherà invece ai dossier egiziano e tunisino. In questo caso, i beni sono infatti stati congelati sulla base di ordinanze specifiche decise dal Consiglio federale nel 2011 e prolungate fino al 2017. Trovano fondamento nell’articolo 184Collegamento esterno della Costituzione che autorizza il governo a «emanare ordinanze e decisioni», «se la tutela degli interessi del paese lo richiede». Ma quale impatto avrà la legge?

La normativa riprende, in un unico testo, il diritto e la pratica attuali in materia di recupero di beni. Introduce anche diverse novità, tra cui la possibilità di avviare un procedimento amministrativo davanti ai tribunali svizzeri per confiscare beni già bloccati, quando l’assistenza giudiziaria ha fallito. Prevede inoltre l’inversione dell’onere della prova: in caso di corruzione manifesta, spetterà ai detentori dei fondi provare che non sono stati acquisiti in modo illecito.

Per quanto riguarda la Tunisia, il sequestro amministrativo sembra inutile, visto che l’assistenza giudiziaria funziona. Inoltre, il Ministero pubblico della Confederazione tenta già di far passare il clan Ben Ali per un’organizzazione criminale, ciò che permetterebbe di invertire l’onere della prova. La nuova normativa potrebbe invece sbloccare la situazione in Egitto, secondo Olivier Longchamp. «Non è però sicuro che queste disposizioni potranno essere applicate poiché ci sono precise condizioni da rispettare. E soprattutto non è ancora chiaro se potranno essere applicate in modo retroattivo», afferma il rappresentante dell’ONG Dichiarazione di Berna.

«La legge non è stata elaborata in modo specifico per i casi legati alla Primavera araba, spiega dal canto suo Pierre-Alain Eltschinger, del DFAE. Non si tratta di una Lex Mubarak, né di una Lex ben Ali. I blocchi ordinati dal Consiglio federale riguardano anche altri paesi, come l’Ucraina, dal febbraio 2014. Spetterà al governo decidere, caso per caso, se intende avvalersi delle nuove opportunità offerte dalla legge, in particolare la confisca amministrativa dei beni». Il portavoce aggiunge che la normativa non ha per obiettivo di «sostituirsi all’assistenza giuridica, che resta la via privilegiata». 

Traduzione dal francese, Stefania Summermatter

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