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Basquiat, l’istinto artistico allo stato puro

Jean-Michel Basquiat nel suo studio nel quartiere NoHo di New York nel 1985 The Estate of Jean-Michel Basquiat, New York/Lizzie Himmel

Con una mostra mozzafiato la Fondazione Beyeler di Basilea ricorda il 50°anniversario della nascita di Jean Michel Basquiat, uno dei protagonisti più emblematici della scena newyorkese degli anni '80.

“Era un uomo affascinante a tutti i livelli e incuriosito da tutto. S’interessava di botanica, matematica, filosofia, musica e di ogni sorta d’arte. Era molto intelligente, sincero e un grande amico. Qualche volta anche difficile, perché nella sua vita non era molto preciso, ma era una persona favolosa, una vera, vera, grande personalità.”

Sono queste le parole con cui Bruno Bischofberger, il mercante e gallerista zurighese che si occupò della vendita delle sue opere fin dal 1882, ci descrive Jean Michel Basquiat, l’artista newyorkese di origini caraibiche che diventò un mito ancor prima di morire di overdose nel 1988, a soli ventisette anni.

Ma nessuno nel 1977 avrebbe mai immaginato che il teenager smilzo e scuro che tappezzava di vernice acrilica gli edifici del cuore di Manhattan con i suoi versi urbani firmandoli SAMO© (acronimo di “SAMe Old shit”, letteralmente “sempre la stessa merda”) sarebbe diventato da lì a poco una delle figure più importanti della scena artistica newyorkese.

Nel vortice del successo

Un’ascesa rapidissima la sua, che in pochissimi anni lo catapulta dalla strada alle gallerie dei vip, dove espone insieme a Andy Warhol, il re della pop art e uno dei suoi grandi miti. “Un successo” come ricordò l’amico Keith Haring in un’intervista dopo la sua morte “diventato ingestibile: l’essere all’altezza della fama di enfant prodige, di ribelle, di celebrità, finì per travolgerlo.”

Quest’anno compirebbe 50 anni e la Fondazione Beyeler lo festeggia con una retrospettiva che non ha precedenti in Europa e propone una panoramica completa della sua opera attraverso più di 150 tra dipinti, disegni e oggetti. Un omaggio indirettamente rivolto anche a Ernst Beyeler, il fondatore del museo recentemente scomparso, che con sguardo lungimirante già nel 1983 invitò il 22enne Basquiat nella sua galleria.

“Il signor Beyeler ha presentato Jean Michel Basquiat nell’esposizione ‘Pittura espressiva dopo Picasso’ e fu una grande sorpresa che si interessasse a un artista così giovane e che lo mostrasse insieme a Picasso, Rauschenberg, Warhol e altri artisti molto importanti”, ci confessa Sam Keller, direttore della Fondazione.

Un artista non convenzionale

Graffiante, intensa, energica, non convenzionale e libera, l’opera di Basquiat ha travolto il mondo dell’arte come una meteora lasciandovi una traccia indelebile. In meno di 10 anni l’attività febbrile del “selvaggio genio nero dell’arte contemporanea” -come è stato spesso definito- lo ha indotto a realizzare una mole imponente di dipinti -oltre un migliaio- e di disegni -più di 2000- che hanno aperto le porte a nuovi elementi figurativi ed espressivi.

“È stato un artista che si è servito di ogni tipo di influenze. Ha combinato elementi autobiografici insieme a ciò che trovava nei libri, nei media, nella strada, nei musei, nella storia dell’arte e nella politica. Ma era anche un poeta e un musicista e ha mescolato le arti, trasportando ad esempio nella pittura, pratiche come il ‘sampling’ e lo ‘scratching’ tipiche dell’hip hop”, precisa Sam Keller.

Le sue dirompenti composizioni, popolate da corpi scheletrici, figure nere, zombie, totem e teschi ghignanti, creature da fumetto ma anche da pittogrammi e parole, fondono in una miscela esplosiva di simboli, primitivismo e immaginario urbano, e si scagliano con veemenza contro la società dei consumi, l’ineguaglianza e soprattutto il razzismo.

Le 5 fasi artistiche

L’esposizione basilese illustra in modo impeccabile tutte le tappe del suo breve ma intenso percorso. A documentare la prima, quella che precede la notorietà, ci sono disegni e collage degli ultimi anni 70, le cartoline xerigrafate, gli oggetti dipinti -frigorifero e finestre- e le prime tele realizzate nel 1981 nell’atelier messogli a disposizione dalla gallerista Annina Nosei che per prima riconobbe il suo talento.

Mentre la coloratissima “Boy and Dog in a Johnnnypump” (1982) è forse l’opera più rappresentativa della fase in cui l’artista si consacra alla pittura su tela e allarga il proprio repertorio figurativo, usando la sovrapposizione del colore per creare effetti di trasparenza e sparizione.

Una tappa ulteriore è segnata dal ritorno sulla tela di parole e simboli -ad esempio la corona- e dall’utilizzo dei materiali grezzi più diverso a supporto delle pitture. Sono di questo periodo le rappresentazioni dei celebri boxer afro-americani come Mohamed Ali, Joe Lewis o Jack Johnson, per Basquiat simboli della riscossa della ‘black culture’.

Il 1983 segna l’inizio di un’intensa amicizia e collaborazione con Andy Warhol che, su suggerimento di Bruno Bischofberger, sfocia in una serie di fruttuosi lavori collettivi a 6 mani a cui, oltre a Basquiat e Warhol, prende parte anche Francesco Clemente.

Nel’ultima fase – quella tra il 1986-88 – l’opera di Basquiat contiene un nuovo tipo di rappresentazione figurativa che si allarga di contenuti e simboli, ma che lascia intravedere nell’alternanza tra densità e vuoto un’angoscia e un’inquietudine latenti. E anche se “Riding with death” (1988) non è la sua ultima opera, quella figura nera e smilza a cavallo di uno scheletro è diventata inevitabilmente per tutti l’icona della sua morte.

Oltre le frontiere dell’arte

“Basquiat è stato un artista che si è preso la libertà di oltrepassare molte frontiere ed è questa libertà che ha lasciato in dono e che ancora oggi ispira“ sottolinea Sam Keller. “Credo sia stato un artista unico, solitario e diverso che ha aperto una grande porta a coloro che sono venuti dopo di lui, non solamente nell’arte. E possiamo anche dire che il fatto che oggi il 44esimo presidente degli Stati Uniti sia Barack Obama è anche grazie ad artisti come Basquiat, come Jimmy Hendrix e molti altri.”

Percorrendo le sale di questa bellissima mostra il mito Basquiat sembra pulsare di nuovo. Ma dietro le figure dal tratto infantile che urlano la loro rabbia contro l’ingiustizia, sentiamo anche il tremito di un essere sensibilissimo travolto dall’euforia adrenalinica degli anni 80. Certo, se Jean Michel Basquiat fosse riuscito a vincerla e oggi fosse ancora vivo, avrebbe gioito nel vedere un’America capace di eleggere un nero alla Casa Bianca.

Paola Beltrame, swissinfo.ch, Basilea

La retrospettiva dedicata a Basquiat rimarrà aperta alla Fondazione Beyeler di Basilea fino al 5 settembre. La mostra è stata concepita in collaborazione al Museo d’Arte Moderna di Parigi, dove sarà presentata dal 15 ottobre2010 al 30 gennaio 2011.

La sua realizzazione è stata resa possibile grazie al sostegno dell’Estate of Jean-Michel-Basquiat di New York e dai suoi principali galleristi. L’esposizione conta oltre 150 opere tra dipinti, disegni e oggetti e propone anche alcuni filmati sull’artista.

L’artista nasce a New York nel 1960 in una famiglia di origini caraibiche. Cresce in un ambiente familiare disgregato e a 15 anni scappa di casa. Al ritorno è iscritto in un istituto per ragazzi dotati ma difficili che abbandona prima di terminare gli studi.

Nel 1977 insieme a Al Diaz comincia a tappezzare il centro di Manhattan con graffiti e frasi criptiche che firma con lo pseudonimo di SAMO©. A 18 anni abbandona la casa paterna e vive senza fissa dimora vendendo cartoline e t-shirt da lui decorate. Dipinge su ogni cosa, frigoriferi, finestre e il mobilio di chi gli offre ospitalità.

In quegli anni suona il clarinetto e il sintetizzatore in diversi locali underground con il gruppo Gray -da lui fondato- e frequenta i ritrovi notturni della scena socio-culturale newyorkese dove incontra, tra gli altri, David Byrne, Mick Jagger, Diego Cortez, Madonna, Francesco Clemente e il clan pop di Andy Warhol.

Nel 1981 partecipa alla mostra “New York / New York” e la sua opera attira l’attenzione di critici e galleristi. Lo stesso anno presenta la prima personale a Modena nella galleria di Emilio Mazzoli e l’anno dopo a New York in quella di Annina Nosei. Bruno Bischofberger diventa il suo principale gallerista e sempre nell’82 è invitato ad esporre a Documenta 7. Da quel momento la sua ascesa è rapidissima e vertiginosa.

Nel 1984 collabora a un progetto collettivo con Andy Warhol e Francesco Clemente che viene presentato alla galleria Bischofberger di Zurigo e poi in America. In seguito alla morte di Warhol nel 1987 Basquiat cade in una profonda crisi.

Muore di overdose nel 1988 nel suo loft newyorkese di Great Jones Street.

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