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Banche svizzere discriminate in Italia, “Soluzione difficile”

Vita difficile per gli operatori finanziari svizzeri nel Belpaese.
Vita difficile per gli operatori finanziari svizzeri nel Belpaese. Keystone / Walter Bieri

L'accesso, di fatto negato da Roma, al mercato italiano da parte degli operatori elvetici è stato al centro dell'assemblea dei banchieri del Canton Ticino, piazza finanziaria di riferimento per molti clienti italiani. 

La questione, contenuta nella famosa road mapCollegamento esterno firmata nel febbraio del 2015 dagli allora ministri delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf e Pier Carlo Padoan, è infatti rimasta lettera morta, per il disappunto delle banche elvetiche, soprattutto quelle piccole e medie ticinesi, cui non viene consentito di svolgere liberamente la loro attività nel Belpaese.

“È da sei anni che aspettiamo che venga mantenuta la parola data: Pacta sunt servanda”, ha osservato in proposito Alberto Petruzzella, presidente dell’Associazione bancaria ticinese (ABTi). Ma al contrario in questi anni l’accesso agli operatori finanziari elvetici “è stato reso più difficoltoso di prima” e inasprito dall'”aggressività di alcune procure e della Guardia di finanza: a nessuno piace essere preso in giro”.

Grazie all’intesa del 2015 incentrata sull’accordo contro le doppie imposizioni, è stato ricordato, l’Italia ha ottenuto lo scambio automatico di informazioni sui suoi contribuenti con conti in Svizzera e il nuovo regime fiscale sui frontalieri mentre gli operatori finanziari elvetici, a differenza dei loro colleghi italiani nella Confederazione, continuano ad essere penalizzati.

Nell’agosto 2017 infatti Roma, a differenza di altri paesi UE, ha applicato la direttiva europeaCollegamento esterno del 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (Mifid2) in modo assai restrittivo nei confronti della Svizzera, imponendo agli istituti finanziari elvetici – alla stregua di quelli dei paesi extra-UE – l’obbligo di avere una succursale in Italia (soggetta alle sue norme fiscali) per poter svolgere la loro attività (Decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129Collegamento esterno).

Un vincolo che colpisce soprattutto gli istituti piccoli e medi della Svizzera italiana che, a differenza dei colossi Ubs e Credt Suisse rivolti ai grandi mercati internazionali, non hanno le risorse per impiantare una loro sede nella Penisola e a cui viene impedito di intrattenere relazioni con una clientela costruita pazientemente nei decenni.

La prossima settimana, ha fatto sapere a Lugano Daniela Stoffel, segretaria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, ci sarà un incontro a Roma con la sottosegretaria del Ministro dell’economia Maria Cecilia Guerra ma non è imminente una soluzione a questa vertenza, ammette la negoziatrice elvetica, anche perché i continui cambi di governo in Italia obbligano a riprendere il discorso sempre con nuovi interlocutori.   

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Banche svizzere, “l’Italia ci discrimina”

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L’idea di Berna è quella di aprire una discussione tra Consob e Finma (i due organi di controllo sui rispettivi mercati finanziari, ndr) per favorire la creazione di succursali “light”, conformi alle norme internazionali. Dal profilo giuridico è possibile, ha evidenziato Daniela Stoffel, “ma tutto dipenderà dalla volontà politica di Roma”.

Del resto, ha continuato la segretaria di Stato, “la road-map non è un vero accordo” ed è stata sottoscritta in un momento in cui le relazioni estere erano oggettivamente in una fase differente.

A pesare su questa vicenda c’è infatti la recente rottura delle trattative tra Svizzera e UE sull’Accordo istituzionale. “Per il momento a Bruxelles c’è il silenzio radio”, ha dichiarato Daniela Stoffel, e non è previsto “nessun cambiamento a breve” anche sull’altra spinosa questione dell’equivalenza borsistica, che sta penalizzando Zurigo nei confronti delle altre borse europee.

Concetti ripresi e approfonditi anche da Jörg Gasser, ceo di Swissbanking, che ha sottolineato come l’Italia si coordini in questa materia con i suoi vicini e, visto lo stallo nei negoziati tra Svizzera e UE, “non penso che Bruxelles sarebbe d’accordo su un’apertura dell’Italia verso la Confederazione”. Inoltre Roma ha una politica protezionistica e non intende agevolare l’ingresso di operatori finanziari stranieri competitivi con prodotti concorrenziali.

Nell’ottica del governo italiano quindi “vi sono più ragioni in favore di una chiusura del proprio mercato finanziario, piuttosto che per l’apertura”, indica Gasser. Occorre quindi “una soluzione creativa, ma è estremamente difficile”, ha affermato il direttore dell’Associazione dei banchieri svizzeri.

Ma oltre all’esportazione dei servizi finanziari, che in definitiva riguarda essenzialmente gli istituti ticinesi, vi sono altre questioni che preoccupano i banchieri elvetici, a partire dalla prossima introduzione dell’aliquota minima globale sugli utili delle multinazionali che rischia di far perdere competitività alla Svizzera e che, secondo quanto ha evidenziato Daniela Stoffel, pone problemi di compatibilità con le disposizioni costituzionali e le prerogative fiscali dei cantoni.

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