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Balivi, commercianti e architetti: il legame tra Val d’Ossola e Svizzera in un libro

cartelloni con foto di persone
Al Museo Civico di Domodossola viene ripercorsa la storia di molti ossolani ed ossolane che hanno lasciato una loro traccia in Svizzera e nel mondo. tvsvizzera

Il volume di Enrico Rizzi, storico ossolano, ripercorre le vite di 300 personaggi nati nella valle più settentrionale del Piemonte che hanno viaggiato e avuto successo in giro per il mondo: tra di loro, molte vicende che uniscono l’Ossola e la Svizzera.

Dall’Ossola, la valle più settentrionale del Piemonte, quella che confina da una parte con il Canton Ticino e dall’altra con il Canton Vallese, fino all’Etiopia, all’Argentina, all’Australia, alla Turchia, e naturalmente anche nella ben più vicina Confederazione Svizzera.

Mercanti ed ecclesiastici, medici e artisti, impresari e diplomatici, condottieri, generali e politici. Emigranti che, spinti dall’ingegno, dalla fede, dal caso o dalla necessità, hanno viaggiato e vissuto in ogni angolo del pianeta, in tutti e cinque i continenti. Le storie di 300 di loro (nati non oltre il 1912) sono state raccolte dallo storico Enrico Rizzi nel volume intitolato Il genio degli ossolani nel mondo (Grossi Edizioni). L’abbiamo incontrato per (ri)scoprire le vicende di chi, originario dell’Ossola, ha legato il proprio nome al territorio svizzero.

Da Toceno ai grandi magazzini di Zurigo

La storia ancora oggi probabilmente più attuale è quella di Giovanni Pietro Jelmoli, nato a Toceno, in Val Vigezzo, nel 1794. Figlio di contadini, emigrò dapprima in Germania e successivamente in Svizzera dove, come si legge anche nella pagina a lui dedicata sul Dizionario storico della SvizzeraCollegamento esterno, fondò “un’azienda di capi d’abbigliamento e articoli di moda a buon mercato e a prezzi fissi orientata anche verso la clientela rurale”.

Parliamo della prima metà dell’Ottocento, eppure il nome non suonerà nuovo a chi ha l’abitudine di fare shopping a Zurigo: i grandi magazzini che ancora oggi occupano il palazzo di vetro nel centro della city, chiamati appunto Jelmoli, portano proprio il cognome di Giovanni Pietro, colui che inaugurò quell’impresa.

La catena Jelmoli è stata una sorta di prima Rinascente svizzera
La catena Jelmoli è stata una sorta di prima Rinascente svizzera. tvsvizzera

Lugano, San Gallo e Costanza…

A tre secoli prima risale invece la storia di Giovanni Viglezio (noto anche come Giovanni Menabene), originario di un altro comune vigezzino, Craveggia, che fu rettore delle scuole di Lugano per circa trent’anni nella prima metà del Cinquecento. “Esperto di lingue classiche e di scienze mediche”, maestro del letterato svizzero Francesco Ciceri, è sepolto proprio a Lugano, dove morì nel 1554.

Ben più a nord si stabilì invece la famiglia De Albertis, originaria di Vanzone e attiva nel settore del commercio del lino: 300 anni fa, il 20 febbraio del 1720, l’abate di San Gallo Joseph de Rudolfis concesse alla famiglia di origini italiane (e di fede cattolica) il brevetto di commercio l’egida abbaziale. Una concessione, favorita probabilmente proprio da ragioni religiose, osteggiata dagli altri negozianti di Rorschach: e fu così che i De Albertis si spostarono ancora un poco più a nord, nella vicina Arbon, all’epoca ricadente nel territorio di Costanza.

Il figlio del mercante di fagioli divenuto Gran Balivo del Vallese

Di storie così improbabili da sembrare frutto della fantasia, nel volume di Enrico Rizzi, ce ne sono parecchie, ma quella di Enrico Antonio Augustini forse le batte tutte. Nato a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa, e figlio di un commerciante ambulante di “fagioli, alloro e noce moscata”, si trasferì a Briga per frequentare il collegio dei Gesuiti; successivamente si arruolò nelle truppe mercenarie svizzere al soldo del re di Francia, quindi intraprese una brillante carriera da avvocato e notaio.

Giunto a Berna pochi anni prima del 1800, prese parte ai negoziati per l’ammissione del Vallese nella Repubblica Elvetica e assunse poi l’incarico di Gran Balivo nel 1802 (mantenendolo per cinque anni) e poi nuovamente nel 1821, ormai quasi ottantenne. Una carriera folgorante la sua, caratterizzata da luci e ombre, come testimoniato da un rapporto anonimo datato 1811 e conservato nell’Archivio di Stato di Sion: “La sua abilità non è mai stata messa in dubbio, ma negli ultimi tempi ha tenuto […] una condotta talmente sopra le righe da arrivare ad annullare i giudizi favorevoli che gli antichi servizi resi […] avevano suscitato nel pensiero dell’imperatore […] Ha attraversato con successo tutti gli affari e tutti gli intrighi vallesani, sapendo cambiare partito secondo le circostanze o il suo interesse o il suo punto di vista, indifferente ai modi per raggiungere il risultato”.

Augustini non fu però l’unico Gran Balivo del Vallese della storia a essere originario dell’Ossola: già 200 anni prima, a cavallo del 1600, era stata la volta di Michele Maggerano. Nato a Leuk ma figlio del commerciante Giovanni Maggerano di Vanzone, mantenne la più alta carica del Vallese tra il 1631 e il 1638. Fu proprio in quel periodo, nel 1634, che il vescovo di Sion Ildebrando Jost fu costretto ad abdicare al potere temporale: il testo di rinuncia, curiosamente, venne scritto proprio da Michele Maggerano.

Paolo Vietti Violi, l’archistar dimenticata

Nel dizionario biografico ossolano di Rizzi trova spazio anche il nome di un architetto capace di affermarsi come uno di progettisti più apprezzati del Novecento, pur essendo oggi la sua figura poco conosciuta anche a causa della distruzione del suo archivio: Paolo Vietti Violi.

Nato nel 1882 a Grandson, in Svizzera, da una famiglia originaria di Oira, una manciata di chilometri a nord di Domodossola, si formò prima a Ginevra, poi a Parigi e infine a Milano. Proprio nel capoluogo lombardo, nel 1911, lavorò al suo primo importante progetto: l’ippodromo di San Siro. A quello seguirono – tra gli altri – quello delle Capannelle a Roma, quello di Mirafiori a Torino e successivamente quelli di Ankara e Istanbul e in Turchia, di Addis Abeba in Etiopia e di Valencia in Venezuela. Oltre a ippodromi (33, complessivamente, nel corso della sua carriera) e stadi, progettò strutture civili come villaggi operai e chiese e strutture private come ville e hotel. Divenuto sindaco di Vogogna, paese della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, morì nel 1965.

“Il lavoro che ha portato alla pubblicazione di questo libro è durato quasi 40 anni – spiega l’autore Enrico Rizzi – e cominciò insieme ad altri studiosi ossolani che purtroppo, siccome quarant’anni sono molti per la vita dell’uomo, mi hanno lasciato solo a concludere questo lavoro”. Un lavoro di ricerca lungo e faticoso, ma che trova ragione nel fatto che “gli ossolani oggi conoscono poco questo aspetto della loro storia. Volevamo che soprattutto i giovani sentissero l’importanza di questo loro passato e il valore di queste radici”.

Il volume Il genio degli ossolani nel mondo ha ispirato anche l’omonima mostra allestita a Domodossola, presso il Museo civico di Palazzo Silva, che resterà aperta fino al 15 ottobre 2022.


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