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Armi: la vittoria di una Svizzera tradizionalista

Il tiro: una passione ben radicata tra la popolazione svizzera Keystone

Il popolo ha respinto l'iniziativa che proponeva di rinunciare alla custodia delle armi di ordinanza in casa, nella speranza di ridurre i casi di suicidio e omicidio. Una proposta relativamente innocua, che è apparsa però eccessiva alla maggioranza: le armi e le tradizioni non si toccano in Svizzera.

La votazione federale di questa fine settimana concerneva un tema di natura diversa rispetto alla maggior parte degli oggetti sui quali il popolo svizzero è stato chiamato ad esprimersi negli ultimi anni. Tra questi, in particolare i rapporti con l’estero (libera circolazione e passaporto biometrico), le assicurazioni sociali (casse pensioni e Assicurazione disoccupazione) o gli stranieri in Svizzera (minareti e espulsione dei criminali).

Il tema dell’iniziativa “Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi” toccava soprattutto una questione di principi. Da un lato coloro che ponevano la salvaguardia della vita umana al di sopra degli altri interessi. Secondo le loro argomentazioni, l’introduzione di un divieto di custodire l’arma di ordinanza a casa avrebbe permesso di ridurre il numero dei suicidi e degli omicidi. Con le armi da fuoco vengono compiuti ogni anno in Svizzera da 200 a 300 suicidi, oltre che alcune decine di omicidi passionali.

Sulla sponda opposta i difensori della libertà individuale e delle tradizioni, che si battevano per conservare un simbolo tipicamente elvetico: in nessun altro paese europeo i soldati si portano le armi a casa. Ai loro occhi era in gioco uno dei principi fondamentali sui quali si basa l’esercito di milizia svizzero. Un divieto avrebbe incrinato il rapporto di fiducia tra il cittadino e lo Stato e avrebbe ridotto la passione popolare per il tiro.

Solco di mentalità

Se il tema ruotava quindi soprattutto attorno a principi e passioni, l’esito delle scrutinio riflette in pratica le stesse divisioni che emergono ad ogni votazione su temi di carattere economico o sociale, di politica estera o di immigrazione.

In primo luogo l’abituale divisione tra la Romandia e il resto della Svizzera. L’iniziativa in votazione è stata accolta da una maggioranza di votanti nei cantoni francofoni di Ginevra, Vaud, Giura, Neuchâtel. A Ginevra, la proposta lanciata dalla sinistra ha ottenuto addirittura oltre il 61% di voti favorevoli.

Altrettanto evidente il divario tra le regioni di città e di campagna della Svizzera tedesca. Il canton Zurigo e il semicantone di Basilea città si ritrovano, come spesso accade, dalla parte dei cantoni romandi, con una maggioranza di sì. A Berna, Lucerna e San Gallo i no non superano il 60%.

Massiccia invece la bocciatura ad Appenzello interno e nei cantoni periferici della Svizzera centrale (Uri, Svitto, Nidvaldo, Obvaldo e Glarona), dove i voti contrari si aggirano sul 70%. La divisione tra la popolazione di città e di campagna si ritrova d’altronde anche all’interno degli stessi cantoni, che abbiano votato in favore o contro l’iniziativa.

Il risultato non lascia quindi solo trasparire il tradizionale solco di mentalità che divide la popolazione svizzera, ma dimostra ancora una volta la supremazia dei cantoni più conservatori nelle decisioni popolari. Anche con un numero più alto di votanti in suo favore, l’iniziativa avrebbe difficilmente superato lo scoglio della maggioranza dei cantoni.

Misure sufficienti

La sinistra, che gode di maggiori consensi proprio nelle regioni di lingua francese e nei cantoni di città, esce insomma di nuovo sconfitta. Neppure un buon bacino di sostegni da parte delle donne – l’iniziativa aveva tra l’altro fatto seguito ad una petizione lanciata dalla rivista femminile “Annabelle” – è bastato a socialisti ed ecologisti per far accettare le loro proposte.

I partiti si sinistra possono forse rimproverarsi di non aver voluto o saputo far leva più abilmente sulle emozioni popolari: diversi casi di omicidio compiuti con un’arma di ordinanza avevano commosso negli ultimi anni la popolazione. A destra, l’Unione democratica di centro non ha invece esitato ad estrarre la carta emozionale durante la campagna, affermando che l’iniziativa avrebbe lasciato indifesi gli svizzeri e assicurato un monopolio delle armi ai criminali stranieri.

A far pendere la bilancia dalla parte del no, sembrano essere state però, questa volta, soprattutto altre ragioni. Innanzitutto, in reazione all’iniziativa, il parlamento aveva introdotto negli ultimi anni diverse misure che sono apparse probabilmente sufficienti alla maggioranza degli svizzeri. Tra queste il divieto di portare a casa munizioni, assieme all’arma di ordinanza.

In difesa dell’esercito

Il verdetto popolare e i dibattiti che hanno preceduto il voto evidenziano inoltre il singolare attaccamento degli svizzeri alle armi e all’esercito di milizia. Due “lobbies” che hanno estratto un grande arsenale durante la campagna per opporsi a delle proposte apparentemente piuttosto innocue: la rinuncia a portare a casa le armi non avrebbe né disarmato l’esercito svizzero, né avrebbe avuto grandi ripercussioni economiche o personali.

Ma in Svizzera la passione per le armi e il tiro sono profondamente radicate nella popolazione: qualcosa come 2,5 milioni di armi sono nelle mani di 7 milioni di abitanti e le associazioni di tiro contano decine di migliaia di aderenti. Perfino il canton Zurigo, tra i pochi ad aver sostenuto l’iniziativa, conserva ancora oggi tra le sue due sole feste cantonali la “giornata di tiro dei ragazzi”.

L’iniziativa è stata vista inoltre da molti come un nuovo attacco destinato ad indebolire ulteriormente l’esercito di milizia. Un esercito che ha già “perso molti colpi” negli ultimi anni. Dalla fine della Guerra fredda, il suo budget e i suoi effettivi sono stati ridimensionati a più riprese dalle autorità e, ancora oggi, non si intravede la fine di questa cura dimagrante.

Mentre alcuni vorrebbero smantellare completamente le forze armate e altri propongono di creare un esercito di professionisti sull’esempio di alcuni paesi europei, il voto di questa fine settimana risuona quindi un po’ come un segnale in difesa dell’esercito di milizia. L’esercito e le sue tradizioni, anche se un po’ inutili e pericolose, non si toccano.

L’iniziativa in sintesi chiedeva:

che chi vuole acquistare, detenere o usare armi da fuoco e munizioni debba fornire la prova di averne la necessità e le capacità;

che sia proibito detenere a scopi privati armi per il tiro a raffica e fucili a pompa;

che sia obbligatorio custodire le armi d’ordinanza militari in locali sicuri dell’esercito;

che le armi d’ordinanza dell’esercito non siano cedute ai militari prosciolti;

che la Confederazione tenga un registro delle armi da fuoco.

L’iniziativa era sostenuta dal Partito socialista, il Partito ecologista, i Verdi liberali, il Partito cristiano sociale, il Partito evangelico e il Partito del lavoro.

Il testo era appoggiato inoltre dai sindacati, dal Gruppo per una Svizzera senza esercito, numerose organizzazioni pacifiste, cristiane, di prevenzione del suicidio e femminili, nonché la Federazione dei medici svizzeri, la Società svizzera di psichiatria e psicoterapia e i Giuristi democratici svizzeri.

Control’iniziativa si sono schierati l’Unione democratica di centro, il Partito liberale radicale, il Partito popolare democratico, il partito borghese democratico, la Lega dei Ticinesi, le organizzazioni di tiro sportivo, di cacciatori e di armaioli, la Società svizzera degli ufficiali.

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