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Freno all’immigrazione: quanta precedenza indigena è permessa?

Per limitare l'immigrazione, a parità di esperienza e formazione, la preferenza dovrebbe essere data ai disoccupati residenti in Svizzera rispetto ai lavoratori provenienti da altri paesi. Keystone

Ridurre l’immigrazione di massa senza nuocere all’economia. È questo il compito che il popolo ha assegnato quasi tre anni fa al parlamento e che quest’ultimo deve portare a termine nel corso della sessione invernale delle Camere federali. Sul tavolo ci sono due modelli d’applicazione volti a favorire in maniera più o meno blanda la manodopera indigena. Panoramica sulle differenze tra i due modelli e sulla posta in gioco

«La Svizzera gestisce autonomamente l’immigrazione degli stranieri. Il numero di permessi di dimora è limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali; un numero da definire in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera» (estratto dell’articolo 121a della Costituzione federale, ndt.). Di primo acchito, l’applicazione del mandato del popolo sembra molto semplice. Tuttavia da tre anni si sta cercando una soluzione per sciogliere questo «nodo gordiano».

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Come mai?

Definendo dei tetti massimi e dei contingenti per limitare l’immigrazione, la Svizzera violerebbe l’accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) con l’Unione europea. Un accordo che l’UE non è disposta a rinegoziare per adeguarlo all’articolo costituzionale approvato in votazione popolare. D’altra parte, la denuncia dell’ALC comporterebbe la sospensione di tutti gli accordi bilaterali a causa della cosiddetta clausola di ghigliottinaCollegamento esterno.

Questa soluzione non favorirebbe certo gli interessi globali della Svizzera, ammoniscono le associazioni economiche. Le loro esortazioni non sono state vane in parlamento. Eccezion fatta per i membri dell’Unione democratica di centro (UDC), partito che ha lanciato l’iniziativa popolare «contro l’immigrazione di massa», nessun parlamentare sostiene l’idea di introdurre dei tetti massi e dei contingenti.

Preferenza indigena light

Questa soluzione prevede che i datori di lavoro debbano annunciare i posti vacanti agli Uffici regionali di collocamento (URC). L’obbligo di annuncio entrerebbe in vigore soltanto nel caso in cui l’immigrazione dovesse superare una certa soglia.

Una «commissione dell’immigrazione», formata di rappresentanti della Confederazione, dei partner sociali e degli uffici del lavoro, dovrebbe decidere i criteri secondo cui fissare tale soglia. Uno di questi criteri sarebbe il tasso di disoccupazione in regioni, settori e gruppi professionali specifici.

In questo momento, la «preferenza indigena» – una soluzione volta a dare un certo vantaggio alla manodopera nazionale rispetto a quella proveniente dall’estero – sembra essere in grado di ottenere la maggioranza sotto la cupola di Palazzo federale. Tuttavia, questa preferenza indigena non può essere troppo incisiva poiché potrebbe essere considerata dall’Unione europea una discriminazione nei confronti dei lavoratori non residenti in Svizzera. Durante l’ultima sessione, la Camera del popolo (Consiglio nazionale) ha approvato il modello «preferenza indigena light». 

Con la «preferenza indigena light», il consigliere nazionale liberale Kurt Fluri, considerato l’architetto del modello, promette una riduzione dell’immigrazione grazie all’impiego di 5000-10 000 disoccupati indigeni all’anno, invece di manodopera estera. La tesi di Fluri è supportata dalle stime dei Centri regionali di collocamento (URC).

Il modello del sindaco della città di Soletta non metterebbe a repentaglio gli accordi bilaterali. Infatti, l’UE non sembra contraria all’introduzione di un obbligo di annuncio.

L’UDC e alcuni esperti di diritto costituzionale criticano il modello approvato dal Consiglio nazionale perché ritenuto inefficace e contrario alla volontà popolare. La Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati propone di inasprire il modello «preferenza indigena light» per rispettare maggiormente il volere del popolo.

Preferenza indigena heavy

Questa soluzione prevede oltre all’obbligo di annuncio, anche l’imposizione di chiamare la persona proposta dall’URC a un colloquio di lavoro e di giustificare la sua mancata assunzione. Ciò significa che in breve tempo l’URC deve proporre una persona disoccupata idonea al datore di lavoro e che quest’ultimo deve convocare per un colloquio di assunzione. In caso di rifiuto, il datore di lavoro deve motivare la sua decisione. Questi obblighi sono valevoli solo per gruppi professionali con una percentuale di disoccupati sopra la media.

La soluzione proposta dalla Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati prevede, oltre all’obbligo di annuncio, anche l’imposizione di chiamare a un colloquio le persone disoccupate proposte dai Centri di collocamento regionali e di giustificare una loro mancata assunzione.

Le cerchie economico-liberali ritengono che questo modello sia un «mostro burocratico». A far loro arricciare il naso è soprattutto l’obbligo di svolgere dei colloqui; l’impegno sarebbe davvero enorme, indicano i settori della ristorazione e della costruzione, rami particolarmente toccati da questa proposta. In certi casi, l’obbligo di giustificare la mancata assunzione metterebbe addirittura a rischio l’esistenza dell’azienda stessa.

Cibo per gli avvocati

In loro aiuto è accorso Bruno Sauter, presidente dell’Associazione degli uffici svizzeri del lavoro. In un’intervista alla Neue Zürcher Zeitung (NZZ), Sauter mette in guardia di fronte alla possibile «marea di casi giudiziari», mentre giudica sensato l’obbligo di annuncio.

Per dare un esempio concreto, Sauter immagine il caso di una persona proposta per un colloquio dall’Ufficio di collocamento regionale (UCR). Prima di poterlo fare, l’UCR deve chiedere al datore di lavoro se, sulla base di criteri oggettivi e formali, per esempio formazione e conoscenze linguistiche, questa persona può essere presa in considerazione per il posto vacante.

«Se il datore di lavoro non dovesse assumere la persona disoccupata, questo dovrebbe giustificare la sua decisione all’UCR. Infine, l’ufficio dovrebbe controllare se gli argomenti presentati dal datore di lavoro sono validi, se la persona disoccupata si è comportata in maniera corretta o se quest’ultima è vittima di una discriminazione, per esempio a causa della sua nazionalità o del suo aspetto esteriore. Le azioni legali di persone che si sono sentite trattate ingiustamente sarebbero sicure come un “amen” in chiesa», indica Sauter.

I datori di lavoro rischiano multe draconiane se il rifiuto d’assunzione è ingiustificato o palesemente discriminatorio. «Si parla di multe fino a un massimo di 40 000 franchi; una somma che potrebbe mettere a repentaglio l’esistenza delle piccole aziende. Per gli avvocati si aprirebbe invece un nuovo e redditizio campo d’attività», pronostica l’esperto di mercato del lavoro.

Sistema di contingenti

Chi intende impiegare una persona proveniente da uno Stato terzo, deve dimostrare che si tratti di una forza lavoro altamente qualificata. Il dossier deve comprendere un curriculum vitae, le copie dei diplomi, la conferma che il candidato dispone di un appartamento adeguato in Svizzera, una descrizione del posto a concorso, un business plan dell’azienda e la prova che non è stato possibile trovare una persona idonea entro i confini nazionali o quelli dell’Unione europea o dell’Associazione economica di libero scambio.

Oltre alla Segreteria di Stato della migrazione, anche i rispettivi uffici cantonali della migrazione e quelli del lavoro e dell’economia sono coinvolti nella procedura di ammissione.

Il senatore liberale Philipp Müller, considerato l’artefice della «precedenza indigena heavy», difende il suo modello indicando che grazie a un impiego mirato meno dell’1,5 per cento dei posti a concorso sarebbe interessato da questa misura. L’impegno burocratico sarebbe molto maggiore se si dovessero introdurre dei contingenti e dei tetti massimi, ricorda Müller dalle colonne della NZZ.

L’applicazione alla lettera dell’articolo costituzionale 121a non è in grado di ottenere la maggioranza in parlamento. Per ora, l’UDC non ha ancora deciso se lanciare un referendum contro il progetto di legge delle Camere federali.

Laborioso e complicato

La Svizzera applica da anni un sistema di contingenti per la manodopera proveniente da Stati terzi (non UE/AELS). I contingenti vengono definiti a seconda della situazione sul mercato del lavoro, della percentuale di disoccupati, della mancanza di manodopera qualificata e delle richieste socio-politiche. Alcuni datori di lavoro definiscono questo procedimento complicato e laborioso.

Soltanto l’UDC sostiene l’idea di definire dei contingenti e dei tetti massimi per ridurre «l’immigrazione di massa». Per le associazioni economiche questa soluzione nuocerebbe agli interessi globali dell’economia svizzera non solo a causa della mole amministrativa, ma soprattutto per il pericolo di vedersi negato l’accesso al mercato dell’Unione europea.


Traduzione dal tedesco, Luca Beti

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