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Apartheid: servizi segreti assolti ma criticati

1986: il ministro degli esteri Pierre Aubert dà il benvenuto a Berna al suo omologo sudafricano, Roelof Botha Keystone

È mancato il controllo politico e i servizi segreti hanno commesso degli errori, non si sono però compromessi col regime sudafricano dell’apartheid.

Il terzo rapporto parlamentare sul tema, assolve i servizi segreti e il loro capo Peter Regli, ma punta il dito su una generale mancanza di spirito critico.

Non ci sono prove del coinvolgimento della Svizzera nel programma biologico e chimico sudafricano «Coast». Un rapporto parlamentare rileva tuttavia l’atteggiamento poco critico dei servizi d’informazione elvetici nei confronti del regime dell’apartheid e le responsabilità del governo.

La Delegazione delle commissioni di gestione delle Camere federali ha svolto un’indagine durata due anni, ha interrogato una cinquantina di persone e ha visionato numerosi documenti. Punto di partenza: le rivelazioni dell’ex capo del progetto «Coast», il «dottor morte» Wouter Basson.

Niente prove

Nel processo a suo carico in Sudafrica, Basson ha detto d’aver beneficiato dell’appoggio dei servizi d’informazione svizzeri e del loro capo, il divisionario Peter Regli.

La Delegazione del parlamento ha dunque deciso di rivedere l’esito di una precedente inchiesta datata 1999. Nel rapporto pubblicato oggi si afferma che non è stato trovato «alcun indizio che confermi l’esistenza di un accordo segreto, orale o scritto, tra Berna e Pretoria».

Secondo gli autori dell’inchiesta, il divisionario Regli non è mai stato a conoscenza delle attività segrete del generale Basson prima che le stesse fossero denunciate dalla Commissione sudafricana Verità e Riconciliazione.

Un’inchiesta ostacolata

Una conclusione che non è però priva di zone d’ombra. La delegazione ritiene che il proprio lavoro sia stato ostacolato da un’inchiesta amministrativa ordinata dal consigliere federale Samuel Schmid.

Peter Regli, poi, ha risposto in modo poco esaustivo a molte domande, omissioni di cui aveva dato prova anche in passato. Lacunosa e fornita di malavoglia è stata anche la collaborazione di alcune persone e di alcuni servizi dell’amministrazione federale: per la commissione, un fatto intollerabile.

Infine non tutti i documenti relativi ai fatti erano a disposizione della commissione parlamentare. I servizi segreti svizzeri hanno distrutto per anni documenti importanti, in particolare la corrispondenza del capo servizio, nel caso specifico di Regli.

Alexander Tschäppät, presidente della commissione, ha dichiarato a swissinfo che per quanto riguarda i documenti accessibili e le persone interrogabili in Svizzera, l’inchiesta ha ormai fatto tutta la luce che poteva essere fatta.

«Quello che non sappiamo è cosa ci fosse nei documenti che sono scomparsi o che sono stati distrutti. Non sappiamo nemmeno cosa ci sia nei documenti che si trovano in Sudafrica. Abbiamo cercato di ottenere delle informazioni, ma il presidente Mbeki ci ha negato il permesso d’investigare».

Diplomazia parallela e controllo mancato

Dal 1977 al 2001, tra Berna e Pretoria ci sono stati oltre 100 incontri e scambi, quasi la metà dei quali nel periodo dell’apartheid. I servizi segreti hanno avuto contatti anche con i ribelli angolani dell’UNITA.

Si è sviluppata così una sorta di diplomazia parallela e discreta, sfuggita ad ogni controllo politico. Nei confronti del regime del Sudafrica i servizi segreti hanno avuto un atteggiamento poco critico, a volte addirittura accondiscendente. Il clima di guerra fredda dell’epoca non basta a spiegare questa leggerezza.

Anche il Consiglio federale ha le sue responsabilità. «I politici non avevano nessun tipo di controllo sui servizi segreti», afferma Tschäppät. «Per la commissione si tratta di un grave errore del governo. A nostro avviso alcuni ministri erano informati della situazione, ma non hanno reagito».

Regli si sente riabilitato

La commissione rimprover a Peter Regli di aver agito con leggerezza, in particolare per quanto riguarda i contatti con Jürg Jacomet, un mercante d’armi deceduto nel 1998 e i cui affari avevano un carattere dubbio.

Proprio i contatti con Jacomet avevano contribuito a spargere le voci secondo le quali i servizi segreti svizzeri sarebbero stati implicati in affari a cui erano in realtà estranei.

Tuttavia anche se è evidente che negli anni Ottanta e Novanta i servizi segreti svizzeri hanno commesso degli errori, per la commissione le accuse diffamatorie che sono state lanciate nei confronti di alcune persone, in particolare di Regli, sono ingiustificate.

In un breve comunicato, Regli si dice sollevato. Per lui si tratta di una definitiva riabilitazione che mette la parola fine ad una storia durata dieci anni.

swissinfo e agenzie

Pur criticando il loro operato, la Delegazione delle commissioni di gestione delle Camere federali ha assolti i servizi segreti svizzeri dalle accuse più gravi di collaborazionismo col regime sudafricano dell’apartheid.

Il «dottor morte» Wouter Basson, aveva accusato il servizio d’informazione dell’esercito – in particolare il suo capo all’epoca dei fatti, il divisionario Peter Regli – di averlo aiutato ad acquistare mezza tonnellata di una potente droga in Russia. In cambio la Svizzera avrebbe voluto procurarsi materiale nucleare.

Regli ha sempre negato tutto. La Delegazione lo assolve, ma sottolinea il fallimento del governo, che non ha esercitato un controllo politico sulle attività dei servizi segreti. Resta innegabile che questi ultimi, tra gli anni Ottanta e Novanta, hanno commesso una serie di errori.

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