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Il marchio «senza esercito» si trasforma in handicap

Il Gruppo per una Svizzera senza esercito neanche questa volta ce l'ha fatta: la sua iniziativa per abrogare il servizio militare obbligatorio è stata spazzata via Keystone

Malgrado la pesante sconfitta nella votazione sull’abolizione dell’obbligo di leva, il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) non intende abbassare le braccia. Fondato più di trent’anni fa, il movimento antimilitarista ha però ancora una ragion d’essere?

Lo scacco alle urne era atteso. Forse però non in queste proporzioni. Quasi tre votanti su quattro hanno respinto l’iniziativa del GSsE per abrogare il servizio militare obbligatorio. Nel 1989, una proposta molto più radicale aveva ottenuto un sostegno ben più ampio: oltre il 35% dei votanti aveva infatti accolto l’iniziativa per la soppressione pura e semplice dell’esercito.

«È stata una votazione difficile e il risultato non ci sorprende più di quel tanto, anche se non ci aspettavamo un ‘no’ così netto», osserva Tobia Schnebli. «Da un lato, la nostra iniziativa proponeva qualcosa che metteva in discussione un principio quasi fondamentale dell’identità svizzera; dall’altro la destra e molti ufficiali si sono mobilitati perché convinti che la soppressione dell’obbligo di leva equivaleva in pratica ad abolire l’esercito. Questa campagna ci ha lasciati un po’ spiazzati», riconosce il membro del comitato del GSsE.

Per lo storico militare e ufficiale Dimitry Queloz, il risultato della votazione è stata un’ulteriore dimostrazione che la maggioranza del popolo svizzero vuole un esercito credibile. «Questa maggioranza – aggiunge – ha forse anche espresso un certo malcontento nei confronti degli ambienti antimilitaristi, che non smettono di tornare alla carica con iniziative che mirano ad indebolire o a sopprimere l’esercito».

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In Svizzera l’obbligo di leva non si tocca

Questo contenuto è stato pubblicato al Il paese ha rifiutato in modo massiccio e compatto l’iniziativa “Sì all’abolizione del servizio militare obbligatorio”. Tutti i cantoni e il 73% dei votanti hanno bocciato il testo promosso dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), che proponeva un servizio militare e un servizio civile prestati da uomini e donne su base volontaria. Dai…

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Un movimento al capolinea?

Per alcuni, il GSsE dovrebbe ora chiedersi se non sia ormai giunto al capolinea e se non dovrebbe sciogliersi, come ad esempio ha dichiarato al Bündner Tagblatt il consigliere di Stato grigionese Christian Rathgeb, del Partito liberale radicale. «Personalmente sarei molto contento se il GSsE decidesse di sciogliersi», osserva Dimitry Queloz. «Tuttavia non credo che ciò accadrà. I membri sono troppo convinti della fondatezza delle loro posizione. Si tratta di una minoranza estremista».

Nonostante le sconfitte a ripetizione – nessuna delle iniziative promosse dal GSsE è riuscita a superare lo scoglio delle urne – il gruppo antimilitarista non ne vuole saperne di alzare bandiera bianca.

«Noi continueremo. Come ha detto un mio collega: la vacca è ancora sacra, ma non è più quella grassa di vent’anni fa. È piuttosto pelle e ossa, però continua a mangiare miliardi», sottolinea Schnebli.

Per il consigliere nazionale socialista Andreas Gross, il GSsE ha ancora ragion d’essere. Sin dagli inizi, il GSsE si è impegnato non solo per sopprimere l’esercito, ma anche per rafforzare la politica di pace del paese. «E per la pace c’è ancora molto da fare, anche in Svizzera», osserva colui che nel 1982 fu tra i fondatori del GSsE e da cui se ne andò nel 1997, in disaccordo sulla scelta di lanciare una seconda iniziativa per abolire l’esercito.

Il secco rifiuto dell’iniziativa del GSsE per sopprimere l’obbligo di leva non dovrebbe rappresentare un freno alle future riforme dell’esercito.

«L’esercito svizzero è un’istituzione che non cessa di riformarsi e di adattarsi, contrariamente a quanto pretendono alcuni», afferma Dimitry Queloz, menzionando le due grandi riforme recenti dell’esercito (Esercito 95 e Esercito XXI), che hanno portato a una diminuzione importante degli effettivi e dei mezzi, nonché a grandi cambiamenti nelle strutture.

«Il rischio è minimo, rileva dal canto suo Andreas Gross. Per il consigliere nazionale socialista, il risultato della votazione non è così pessimo e l’esercito è ormai da tempo instradato chiaramente sulla via delle riforme.

Anche secondo Tobia Schnebli questo processo è ineluttabile. «C’è un dato di fondo che rimane – aggiunge il membro del comitato del GSsE. Il sostegno maggiore all’iniziativa è venuto da quelle fasce d’età direttamente implicate dall’esercito. Ritengo quindi che questa pressione riformista permarrà».

Cambiamento di nome

Secondo Andreas Gross, il GSsE dovrebbe però riflettere su un cambiamento di nome, per evitare di essere sistematicamente presentato dai suoi avversari solo come un gruppuscolo fissato sull’esercito. «In questo modo nessuno metterebbe più in dubbio la sua legittimità e il suo diritto di esistere».

Una riflessione che «come avvenuto in passato dopo altre sconfitte, condurremo», osserva Tobia Schnebli. «Personalmente penso che l’obiettivo del disarmo resti necessario, per il mondo e per la Svizzera – aggiunge. Perciò mi dispiacerebbe se il gruppo cambiasse nome».

«Per me è chiaro: il GSsE rimane il GSsE. Questa è la nostra identità», dichiara dal canto suo sulle colonne del Tages-Anzeiger Adi Feller, un altro membro del comitato del movimento.

Gripen all’orizzonte

Il problema del nome del gruppo è più che mai d’attualità. Nelle prossime settimane, sarà lanciato il referendum contro l’acquisto dei nuovi 22 caccia svedesi Gripen, approvato definitivamente dal parlamento proprio in questi giorni.

La sinistra ha già indicato che sarebbe meglio se il GSsE assumesse un profilo basso. Molti temono infatti che, come per l’abrogazione dell’obbligo di servire, la votazione si trasformi in un referendum pro o contro l’esercito.

«Il Partito socialista vorrebbe evitare che si commettano gli stessi errori del passato. Nella società svizzera vi è una maggioranza di persone contrarie all’acquisto di inutili aerei da combattimento. Non perché la maggioranza della società sia antimilitarista o pacifista, ma perché a volte la maggioranza sa essere ragionevole. Se però durante la campagna gli antimilitaristi sono in primo piano, gli avversari possono ancora una volta utilizzare il pretesto che ne va dell’esercito e della sicurezza, disorientando così di nuovo le persone ragionevoli», ritiene Andreas Gross.

Per Dimitry Queloz la tattica di lasciare il GSsE nelle retrovie è piuttosto abile. «Senza il GSsE si può sempre dire che non si è contro l’esercito, ma solo che ci si oppone all’acquisto di un aereo da combattimento», afferma lo storico militare, ricordando però che l’obiettivo di sopprimere l’esercito fa ancora parte del programma del Partito socialista.

Il GSsE non intende comunque restare passivo. «Stiamo già preparando i formulari per i referendum. Appena arriveranno i termini esatti partiremo con la raccolta delle firme, indica Tobia Schnebli. Questa volta non saremo da soli, però non vedo come si possa voler vincere questa votazione senza la componente antimilitarista e pacifista». Una componente che, se si analizzano tutte le votazioni sull’esercito, rappresenta pur sempre oltre il 20% dell’elettorato. Il GSsE – c’è da scommetterlo –non ha sparato la sua ultima cartuccia.

Il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) è fondato nel 1982 a Soletta da un centinaio di persone. Oltre a militare per l’abolizione dell’esercito, uno degli obiettivi del movimento è di agire per promuovere una politica di pace.

La prima iniziativa politica di peso del GSsE è il lancio nel 1986 dell’iniziativa «Per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace». Nel novembre 1989, il testo è respinto dal 64% dei votanti. L’elevata proporzione di voti favorevoli giunge però inattesa. Il risultato contribuisce a dare il via alla riforma dell’esercito, che alla fine degli anni ’80 contava oltre 700’000 effettivi (oggi 155’000).

Nel 1992 il GSsE riesce a raccogliere in un solo mese oltre 500’000 firme a favore dell’iniziativa «Per una Svizzera senza nuovi aviogetti da combattimento», volta a impedire l’acquisto di 34 caccia F/A 18. Nel giugno 1993, l’iniziativa è però bocciata con il 57,1% di voti contrari.

Nel 1999 il movimento deposita altre due iniziative. Sottoposte al popolo nel dicembre 2001, sono entrambe respinte da oltre il 75% dei votanti. La prima proponeva ancora una volta l’abolizione dell’esercito, mentre la seconda l’instaurazione di un servizio civile volontario per la pace.

Oltre a lanciare direttamente queste iniziative, il GSsE ha partecipato attivamente a diverse altre campagne, tra cui ad esempio la proposta di rendere più severe le norme in materia di acquisizione e possessione di armi da fuoco, respinta dal 56,3% dei votanti nel febbraio 2011.

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