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Anche in Svizzera c’è l’ombra della povertà

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Spesso non basta lavorare e ricevere un salario per vivere dignitosamente: nella Confederazione vi sono già decine di migliaia di working poor, e molte altre persone rischiano di diventarlo. Uno studio del cantone di Berna ha analizzato il fenomeno e delineato possibili soluzioni.

Parlare di povertà in uno dei paesi più ricchi del pianeta non è semplice: lo hanno affermato molti dei partecipanti al primo «vertice sociale del cantone di Berna», un incontro voluto per analizzare e discutere i dati scaturiti da un voluminoso rapporto realizzato dal dipartimento bernese della salute pubblica e della previdenza sociale.

Anche se in Svizzera l’indigenza non ha l’apparenza della miseria visibile in altre realtà del mondo, essa è comunque presente, ha ricordato Philippe Perrenoud, responsabile della salute pubblica e della previdenza sociale del canton Berna. A suo parere, «la povertà in Svizzera è un fenomeno poco conosciuto, spesso sminuito o taciuto». Proprio in quest’ottica è stato realizzato lo studio discusso al convegno, basato su rilevamenti statistici e numerosi colloqui personali.

Il quadro che ne risulta è preoccupante: il 7% delle economie domestiche del cantone vive in situazione di povertà; un ulteriore 5% rischia inoltre di ritrovarsi nella medesima condizione. Concretamente, su una popolazione cantonale totale di quasi un milione di cittadini, circa 50’000 economie domestiche – per un totale di 90’000 persone di cui 20’000 bambini – possono essere considerate povere o a rischio di povertà. Inoltre, 18’800 giovani d’età inferiore ai 25 anni ricevono l’assistenza.

Dialogare e agire

Innanzitutto, ha sottolineato Perrenoud «la povertà deve essere posta al centro del dibattito pubblico»: occorre quindi parlarne apertamente. Ciononostante, questa misura non è sufficiente per arginare il problema. «Se si vuole davvero diminuire la povertà, essa deve anche figurare tra le priorità dell’agenda politica».

La lotta alla povertà necessita dunque di provvedimenti concreti inseriti in una strategia globale. Quest’ultima – ha spiegato il consigliere di Stato bernese – deve contemplare più settori: politica economica, fiscale, migratoria e formativa.

Tra le possibili misure figurano il miglioramento dell’educazione scolastica e della formazione continua, la promozione del lavoro a tempo parziale – per favorire le persone sole con figli – e un’offerta di consulenza in materia di gestione del budget personale destinata ai giovani, una delle categorie a maggior rischio di povertà.

Integrazione e controlli

Dal rapporto emerge poi chiaramente una tendenza riscontrata anche a livello nazionale: la povertà tocca in particolar modo i lavoratori stranieri, segnatamente quelli provenienti da un paese esterno all’Unione europea. Il 20% di loro vive infatti in situazione di povertà, contro il 5% degli svizzeri.

Molti di questi stranieri sono giunti nella Confederazione attraverso una procedura d’asilo, ciò che ha reso difficoltoso il loro inserimento professionale nel corso dei primi anni di soggiorno in Svizzera. Sovente, lavorano in ambito alberghiero o nella ristorazione, settori caratterizzati da salari molto bassi.

Per migliorare la loro condizione, ha ribadito durante il congresso Andreas Rickenbacher, responsabile dell’economia pubblica del canton Berna, si deve favorire l’integrazione garantendo nel stesso tempo un controllo adeguato sul mercato del lavoro, per evitare l’impiego di personale in nero e il dumping salariale.

Sforzo comune

Su scala nazionale la strategia per prevenire e combattere la povertà si basa su un approccio a tre livelli, che prevede investimenti sociali – formazione, accoglienza complementare alla famiglia per favorire l’attività professionale (asili nido, famiglie diurne) –, sul mercato del lavoro (creazione d’impieghi e livello salariale adeguato) e per quanto concerne la sicurezza sociale.

Lottare contro la povertà – ha rilevato Ludwig Gärtner, vice direttore dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali – è un’impresa che non può riuscire senza un approccio comune e coordinato tra tutti gli attori: Confederazione, Cantoni, comuni, servizi sociali e organizzazioni d’aiuto.

Proprio a questo proposito, Hans Peter Furrer – presidente del Movimento Quarto Mondo Svizzera – si è fatto portavoce dei cittadini poveri del cantone di Berna: «Non parlate di noi, parlate con noi!». Furrer ha indicato il dialogo, la sensibilità e il coraggio quali elementi fondamentale per guarire la piaga sociale della povertà: ad esempio, dialogo tra insegnanti e genitori dei ragazzi in condizioni difficili, riconoscimento degli sforzi di chi lotta per uscire dalla povertà e lotta ai pregiudizi.

Visione d’assieme

Yves Flückiger, professore di economia politica all’Università di Ginevra e direttore dell’Osservatorio dell’impiego, stila un bilancio di quanto fatto finora in Svizzera per contrastare la povertà: «L’aspetto più positivo è la presenza di dispositivi d’aiuto che tengono conto delle specificità delle diverse regioni del paese. Per esempio: il costo della vita varia a seconda della località, e il sistema elvetico di aiuti e sussidi tiene conto di questa realtà», spiega a swissinfo.ch.

Tra gli aspetti da migliorare, Flückiger menziona invece la coordinazione lacunosa tra le diverse forme di sostegno: «Si agisce a livello federale, cantonale e comunale – per esempio con sussidi per cassa malati e alloggi – ma spesso non si sa in che misura questi aiuti risultano effettivamente efficaci. Manca infatti una visione globale nella politica di ridistribuzione del denaro».

Incentivi reali

Flückiger fa presente a sua volta la necessità di sciogliere il tabù della povertà: «Siccome le forme di aiuto non sono automaticamente legate al reddito, molte persone – per motivi sociali o culturali – non hanno il coraggio di domandare un sostegno».

Inoltre, «molti cittadini non riescono a uscire dalla condizione di povertà poiché, quando riescono – con grande sforzo – ad aumentare leggermente il proprio reddito, tale miglioramento viene immediatamente vanificato dalla pressione fiscale e dalla perdita di sussidi».

Queste persone «non decidono di continuare a ricevere l’assistenza per pigrizia o scarsa volontà, ma semplicemente perché l’alternativa sarebbe peggiore! È quindi necessaria una politica che costituisca un vero incentivo a migliorare la propria condizione».

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Secondo i criteri dell’Ufficio federale di statistica, i lavoratori considerati poveri («working poor») sono persone appartenenti alla fascia d’età compresa tra i 20-59 anni che, pur svolgendo un’attività lucrativa a tempo pieno, vivono al di sotto della soglia della povertà.

In Svizzera, la soglia statistica della povertà è calcolata a un reddito di 2’200 franchi al mese per le persone che vivono da sole e 3’800 franchi per le famiglie monoparentali con due figli con meno di 16 anni. Per le coppie con due figli, essa si situa a 4’000 franchi.

Secondo i dati resi noti nel 2009 dall’Ufficio federale di statistica (riferiti al 2007), nella Confederazione quasi 150’000 persone rientravano nella categoria di lavoratori considerati poveri, ossia il 4,4% della popolazione attiva.

Le famiglie monoparentali e le famiglie numerose sono le più toccate. Infatti, malgrado la loro attività lucrativa, quasi il 10% delle famiglie monoparentali era considerato come working poor nel 2007, mentre meno del 2% delle persone sole faceva parte di questa categoria. Per quanto concerne le coppie, la proporzione dei working poor sale al 18% a partire dal terzo figlio.

Le persone che non dispongono di una formazione elementare, gli indipendenti e coloro che beneficiano di un contratto di durata determinata sono anche più numerosi tra i lavoratori poveri. Lo stesso vale per gli stranieri, che sono più di due volte più toccati degli svizzeri da questa realtà.

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