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Ueli Steck, una “stella tormentata” si è spenta sotto il tetto del mondo

Lo avevano soprannominato "Swiss Machine", ma più che una macchina Ueli Steck era un «grande alpinista», per il quale nessuno sforzo era «troppo audace». La stampa svizzera rende omaggio al bernese, deceduto domenica ai piedi dell’Everest. 

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Aveva detto che sull’Everest non sarebbe mai più tornato ed è proprio ai suoi piedi che domenica mattina Ueli Steck ha perso la vita. Si stava allenando da settimane per un’altra impresa al limite del possibile: scalare due delle più alte vette al mondo nel giro di 48 ore. Prima l’Everest coi suoi 8’848 metri, poi il Lhotse (8651 metri), attraverso il difficile passaggio chiamato Hornbein Couloir. Una caduta di mille metri, tra il primo e il secondo campo base, gli è però stata fatale.

Tra i più grandi alpinisti al mondo, Ueli Steck era noto soprattutto per le sue scalate in solitaria. A partire dalla parete nord dell’Eiger (3970 metri), la montagna “di casa”, che aveva vinto ad appena 18 anni.

Per Ueli Steck «nessun progetto sembrava troppo audace, nessuno sforzo troppo grande», scrive Der Bund. Soprannominato “Swiss Machine”, l’alpinista non si vedeva però come una macchina e affrontava ogni sfida consapevole che la montagna nasconde sempre una parte di rischio. «Non voglio entrare nel circolo vizioso dei record, altrimenti nei prossimi anni rischierei di pagare questa ambizione con la morte», aveva dichiarato in un’intervista al quotidiano bernese qualche settimana fa. «Ora la morte lo ha preceduto», scrive Der Bund.

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Veloce come il vento, o forse di più

Cresciuto in una famiglia di appassionati di montagna, Ueli Steck si è formato come carpentiere per poi dedicarsi a tempo pieno all’alpinismo. La sua caratteristica? La sete di velocità. «Affrontava le montagne come se dovesse lanciarsi in uno sprint e prendeva in giro le regole classiche dell’alpinismo», scrive Le Temps.

Il suo palmares però parlava da sé: il Cervino in 1 ora e 56 minuti; l’Eiger in 2 ore e 22 minuti e le Grandes Jorasses, sul confine italo-francese, in 2 ore e 21 minuti, quando una cordata classica ci impiega due giorni. E poi l’exploit del 2013 quando aveva scalato l’Annapurna (8091 metri) in appena 24 ore.

«I testimoni delle sue ascensioni dicevano che la roccia sembrava adattarsi ai suoi piedi, tanto Ueli Steck era a suo agio sulle montagne, prosegue Le Temps. Alla fine, gelosia e dubbi s’inclinavano sotto il peso dell’ammirazione».

Tra ammirazione e critiche

Ueli Steck non era infatti al riparo dalle critiche, ricorda 24Heures. «Alcuni vedevano nelle sue ascensioni delle “opere d’arte”; altri mettevano in dubbio alcune delle sue imprese più spettacolari, perché Ueli Steck si rifiutava ostinatamente di documentarle, ciò che appare indifendibile nell’era del GPS e della camera digitale ultraleggera».

Polemiche erano scoppiate ad esempio dopo l’ascesa dell’Annapurna, un’impresa che gli fece vincere l’Oscar dell’alpinismo, il Piolet d’Or 2014. Ueli Steck aveva infatti dichiarato di aver perso la macchina fotografica durante la scalata e non aveva nessuna prova della sua impresa.

«L’alpinista bernese Ueli Steck non lasciava nessuno indifferente. Suscitava molta ammirazione, ma infastidiva anche tra la cerchia ristretta dei migliori alpinisti del mondo. Ueli Steck (…) era un personaggio difficile da capire, un alpinista complesso, una stella tormentata».

Ueli Steck sepolto in Nepal

Il noto alpinista era più volte andato vicino alla morte, come in Tibet nel 2014, quando durante una spedizione verso la cima del Shishapangma (8027 metri) due dei cinque partecipanti – un tedesco e un italiano – hanno perso la vita per una valanga.

Secondo il volere della sua famiglia, Ueli Steck sarà sepolto in Nepal, dove aveva i suoi amici, ha indicato il suo portavoce Andreas Bantel. La famiglia si recherà in Asia al fine di assistere alle esequie nei prossimi giorni, che si svolgeranno secondo la tradizione buddista. Una cerimonia commemorativa sarà organizzata successivamente in Svizzera. 

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