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Alla ricerca delle vittime dell’amianto

RDB

Gli istituti nazionali di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di Svizzera e Italia hanno sottoscritto un accordo per rintracciare i lavoratori italiani esposti in passato all'amianto nella Confederazione.

L’amianto è un materiale che appartiene ormai al passato, perlomeno in Europa occidentale. In Svizzera, l’uso di isolamenti in amianto floccato è stato bandito dalla metà degli anni ’70, mentre dal 1990 è in vigore, come in molti altri paesi, un divieto generale.

Anche se non è più utilizzato, l’amianto però è una bomba a scoppio ritardato. Gli effetti sulla salute della cosiddetta “polvere che uccide” si manifestano dopo diversi anni, a volte addirittura decenni. Asbestosi, mesotelioma, carcinoma polmonare… Le patologie causate dall’inalazione di fibre di amianto, che penetrano negli alveoli polmonari, sono spesso incurabili e mortali.

Malattie professionali

Fino a un recente passato, decine di migliaia di lavoratori sono entrati in contatto con questa sostanza, in particolare coloro che lavoravano nell’edilizia, nell’industria elettrica e metallurgica o negli stabilimenti della Eternit di Niederurnen, nel canton Glarona, e di Payerne, nel canton Vaud. Tra di loro anche migliaia di emigrati italiani, molti dei quali nel frattempo rientrati in patria.

Considerate come malattie professionali, in Svizzera le patologie causate dall’amianto danno diritto a prestazioni assicurative da parte dell’Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni (SUVA).

Per legge, queste prestazioni spettano anche alle persone che nel frattempo non vivono più nella Confederazione e quindi anche a tutti quei lavoratori italiani rientrati nel loro paese.

“Alcune centinaia di persone”

Poiché la SUVA non può intervenire direttamente all’estero, a metà giugno ha siglato un accordo con l’Istituto nazionale italiano di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per rafforzare la ricerca di quei lavoratori che sono stati esposti all’amianto durante la loro permanenza in Svizzera, nonché dei loro familiari. In effetti, sono stati constatati casi di malattie provocate da asbesto anche tra le mogli dei lavoratori della ditta Eternit, che lavavano le tute sporche di fibre dei loro mariti.

“Non sappiamo quante persone siano interessate da questo provvedimento”, dichiara Helene Fleischlin, responsabile della comunicazione d’impresa della SUVA. “Riteniamo però che siano al massimo alcune centinaia”.

L’INAIL si è in particolare impegnato ad informare i medici italiani e a sensibilizzarli su queste patologie. La collaborazione dei dottori è indispensabile per la riuscita dell’iniziativa, sottolinea la SUVA, poiché “spetta a loro segnalare i casi di cui vengono a conoscenza nel corso dei loro accertamenti”.

Condizioni uguali per tutti

I lavoratori o gli ex lavoratori devono dal canto loro indicare al loro medico “presso quale azienda hanno lavorato in Svizzera e in che modo e per quanto tempo sono rimasti esposti all’amianto”, spiega Helene Fleischlin.

Una volta ricevuta la segnalazione dal medico, l’INAIL trasmetterà il dossier alla SUVA, che svolgerà ulteriori accertamenti per stabilire se sussiste un diritto a una prestazione. La misura vale anche per chi non ha sviluppato nessuna malattia: la SUVA valuterà infatti la necessità o meno di procedere, a sue spese, a visite mediche di profilassi.

“Le condizioni per ricevere una rendita sono le stesse di quelle valide per gli svizzeri – afferma Helen Fleischlin. Deve trattarsi di una malattia causata dall’asbesto, che provoca una diminuzione della capacità lavorative o che ha un impatto sull’integrità fisica”.

Oltre 2’000 casi dal 1939

Dal 1939, anno in cui l’asbetosi entrò a far parte della lista delle malattie professionali, al 2006, la SUVA ha registrato 2’104 casi di malattie provocate dall’amianto, 177 dei quali riguardavano cittadini italiani. L’assicurazione ha corrisposto alle vittime o ai loro superstiti prestazioni per un totale di 473 milioni di franchi.

Dall’inizio degli anni ’80, quando si registravano una decina di casi l’anno, si è assistito a un costante aumento. Nel 2006, ad esempio, la SUVA ha riconosciuto 2’596 casi di malattie professionali, di cui ben 285 dovute all’esposizione all’amianto.

E le previsioni non promettono nulla di buono, almeno per i prossimi due-tre anni: “Tenuto conto del fatto che a metà degli anni 70 l’uso dell’amianto ha raggiunto il suo picco massimo – scrive la SUVA – e considerato il lungo periodo di latenza (circa 30-40 anni), presumibilmente non si potrà assistere ad un calo significativo dei casi prima del 2010-2015”.

Daniele Mariani, swissinfo.ch

In Italia, la tragedia dell’amianto è approdata in tribunale a Torino ad inizio aprile, con l’apertura delle udienze preliminari del processo nei confronti dei due ex azionisti di maggioranza degli stabilimenti italiani della Eternit, l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier.

I due sono accusati di disastro doloso e omissione volontaria di cautele contro le malattie professionali. Questi reati avrebbero complessivamente causato la malattia, e in molti casi la morte, di 2’889 persone.Secondo l’atto d’accusa del pubblico ministero Raffaele Guariniello, Schmidheiny e De Cartier erano a conoscenza della pericolosità dell’amianto, ma non avrebbero preso nessuna misura di prevenzione.

Tra persone fisiche, enti pubblici e associazioni, complessivamente le parti civili sono 765. A metà giugno, la difesa ha chiesto di trasferire il processo a Genova, poiché il ramo italiano della Eternit aveva la propria sede nella città ligure. Inoltre, i legali di Schmidheiny e di De Cartier hanno domandato al giudice dell’udienza preliminare di dichiarare nullo il decreto di chiusura indagini a causa della mancata traduzione in italiano. Se la richiesta dovesse essere accettata, il processo slitterebbe di diversi mesi.

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