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Alla ricerca delle frontiere dell’energia del sole

Un pannello ultrasottile della Flexcell di Yverdon, un prodotto sviluppato dal Laboratorio fotovoltaico di Neuchâtel Keystone

Specializzato nelle celle a film sottile, il Laboratorio fotovoltaico del Politecnico federale di Losanna, basato a Neuchâtel, è uno dei più importanti gruppi accademici di ricerca nel settore dell'energia solare. Il futuro energetico del pianeta passa anche da qui.

«Se un gigante del petrolio come Total si lancia nel solare qualcosa vorrà pur dire». Christophe Ballif, direttore del laboratorio di Neuchâtel (PV-lab), ha appena letto sul suo computer la notizia secondo cui il gruppo francese ha lanciato un’offerta pubblica d’acquisto di un valore di oltre 1,3 miliardi di dollari per la società statunitense SunPower, uno dei leader mondiali del settore. Un annuncio che non può di certo lasciare indifferente qualcuno che da anni si batte per convincere politici, industriali e opinione pubblica delle potenzialità dell’energia solare.

Fondato nel 1984 dal professore Arvind Shah, vero e proprio pioniere nel settore fotovoltaico, ricompensato nel 2007 con il prestigioso Prix Becquerel, il laboratorio ha conosciuto negli ultimi anni un formidabile sviluppo. «Quando ho ripreso la direzione nel 2004 vi erano circa venti collaboratori, oggi siamo una sessantina», osserva Christophe Ballif.

Celle micromorfe

In un angolo dell’edificio che ospita il PV-lab sono esposti alcuni dei pannelli che fanno la fierezza di Ballif e della sua équipe. Alcuni sono spessi poco più di un foglio di carta ed estremamente flessibili. «Si tratta di pannelli di plastica sui quali è depositato uno strato di silicio amorfo di qualche centinaio di nanometri», spiega Michael Stückelberger, assistente di ricerca al PV-lab. Una tecnica utilizzata su scala industriale ormai da qualche anno, in particolare dalla Flexcell di Yverdon, una start-up fondata nel 2000 da ingegneri del laboratorio.

A rendere il laboratorio famoso a livello mondiale è stato soprattutto lo sviluppo delle celle micromorfe. «In pratica si tratta di combinare una cella di silicio amorfo, che assorbe la luce visibile, con una cella di silicio microcristallino, che assorbe anche gli infrarossi, permettendo di sfruttare al meglio la luce del sole», spiega il ricercatore del PV-lab.

Questi tipi di pannelli sono un po’ meno efficaci rispetto ai moduli tradizionali in silicio cristallino (quelli composti di silicio amorfo hanno un rendimento del 6% circa, quelli in celle micromorfe del 10%, mentre con il silicio cristallino si raggiunge il 14%). «Offrono però diversi vantaggi, in particolare per quanto concerne i costi di produzione, poiché c’è bisogno di una quantità di materia prima semiconduttrice ben inferiore e di un numero ridotto di fasi di fabbricazione», sottolinea Michael Stückelberger. Meno pesanti e esteticamente più belli, questi moduli sono inoltre facilmente integrabili architettonicamente.

«Il potenziale di abbassamento dei costi è effettivamente molto interessante; ad esempio, Oerlikon Solar, la cui tecnologia è stata sviluppata in gran parte nel nostro laboratorio, ha annunciato recentemente di poter mettere in commercio linee di produzione che permetteranno di fabbricare pannelli per un costo di 50 euro il metro quadrato», osserva Christophe Ballif. Durante i 25 anni di vita (una durata di vita minima solitamente garantita dal produttore), un metro quadrato di questi pannelli può produrre tra 2’500 e 5’500 kWh a seconda del soleggiamento, ciò che porterebbe il prezzo del kWh a pochi centesimi.

Corsa al rendimento

Oltre a concentrarsi sulle celle sottili, negli ultimi anni il laboratorio di Neuchâtel ha sviluppato anche una nuova generazione di celle a «eterogiunzione». «Si tratta di celle in cui, combinando silicio amorfo e cristallino, è possibile ottenere un altissimo rendimento», spiega Ballif.

Questi moduli permettono rendimenti dell’ordine del 20%. Il procedimento di fabbricazione è delicato, ma comporta poche tappe e ha quindi suscitato l’interesse di diverse aziende. In uno dei locali del laboratorio, Christophe Ballif ci mostra l’apparecchiatura messa a disposizione dalla ditta tedesca Roth & Rau, che ha creato una sua filiale a Neuchâtel e con la quale il PV-lab sviluppa una linea di produzione di massa.

Questa corsa al rendimento e a un migliore uso dei materiali è una delle altre «strade tecnologiche possibili per riuscire a sviluppare sistemi fotovoltaici che permetteranno di produrre corrente per 10-15 centesimi/kWh in Svizzera e qualche centesimo nelle regioni più soleggiate del mondo», osserva il direttore del PV-lab.

Un paese laboratorio

Nonostante i risultati raggiunti a Neuchâtel, l’energia fotovoltaica gode ancora di poca considerazione in Svizzera. «Nel 2012 è stato stanziato solo un milione di fondi pubblici per la ricerca nel settore dell’energia solare in Svizzera», osserva Ballif. Contro diverse decine di milioni di franchi per il nucleare.

«In generale molta gente pensa ancora che l’energia solare non abbia un potenziale di costo ragionevole ed è un pregiudizio difficile da far uscire dalla testa », dice il professore dell’EPFL.

Un altro fattore che ha contribuito a frenare lo sviluppo del fotovoltaico è l’idea secondo cui simili fonti intermittenti di energia sono difficili se non impossibili da gestire. «La domanda da porsi è se siamo capaci di realizzare una rete intelligente, interconnessa a livello europeo, che combini le diverse fonti di energia rinnovabili, magari con una base composta di energie non rinnovabili come le centrali a gas».

«Il futuro sarà senz’altro un po’ più complesso. Questa complessità può essere considerata come un pericolo oppure come un’opportunità. Un’opportunità di concentrarci sulle energie rinnovabili e di sviluppare reti elettriche intelligenti, nuove tecnologie di immagazzinamento, nuovi trasformatori per trasportare la corrente con meno perdite… In tutte queste tecnologie, c’è molto ‘savoir faire’ elvetico. Grazie anche alla sua posizione geografica e alle numerose centrali idroelettriche, la Svizzera potrebbe diventare una sorta di modello di tutto ciò che è possibile fare in ambito energetico», conclude Ballif. Per riuscirci, il contributo dei ricercatori del laboratorio di Neuchâtel sarà più che mai prezioso.

Alla fine del 2010 in Svizzera erano installati circa 8’000 impianti fotovoltaici, stando alle statistiche di Swissolar, l’associazione ombrello del settore.

Solo lo 0,1% dell’elettricità prodotta attualmente in Svizzera è di origine solare, una percentuale simile a quella che si ritrova in media a livello mondiale.

In media il prezzo dell’elettricità per i clienti privati in Svizzera è di 25 centesimi per kWh; l’elettricità solare costa invece circa 48 centesimi. Nel 2012 a Ginevra sarà operativa la più grande centrale solare in Svizzera, per una superficie di 48’000 metri quadrati, che dovrebbe produrre energia per un costo di 35 centesimi per kWh. Dalle proiezioni di Swissolar, la parità dovrebbe essere raggiunta attorno al 2020.

Secondo Christophe Ballif, se in Svizzera i tetti orientati nella giusta direzione fossero ricoperti di pannelli solari (per una superficie di circa 130 km2), con la tecnologia attuale si potrebbe generare un terzo dell’elettricità consumata nel paese.

Il mercato dei pannelli solari dovrebbe crescere a un ritmo annuale del 30% nei prossimi anni, stando alle proiezioni di Oerlikon Solar.

Dopo un periodo contraddistinto da un calo, gli indici che riuniscono i principali titoli delle aziende attive nel settore delle energie rinnovabili hanno ripreso vigore in seguito alla catastrofe della centrale nucleare di Fukushima. L’indice NEX (WilderHill New Energy Global Innovation), che comprende un centinaio di società, ha registrato un aumento del 10% nelle due settimane dopo l’incidente in Giappone, mentre l’indice Bisolar (che raggruppa le 15 più grandi imprese attive nel ramo dell’energia solare) ha fatto segnare un balzo del 25% da gennaio.

Stando alle statistiche dell’organizzazione americana Pew Charitable Trust, nel 2010 gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili sono aumentati del 30% a 243 miliardi di dollari. La Cina ha investito 54,4 miliardi, la Germania 41,2, gli Stati Uniti 34 e l’Italia 13,9.

A fine aprile 2011, il gruppo francese Total ha lanciato un’offerta pubblica d’acquisto di 1,38 miliardi di dollari sul fabbricante statunitense di pannelli solari SunPower, un’azienda che impiega 5’000 persone e che registra una cifra d’affari di oltre due miliardi di franchi.

In Svizzera, la società Meyer Burger, con sede a Baar, nel canton Zugo, ha annunciato l’intenzione di rilevare la tedesca Roth & Rau.

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