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Nestlé sopprime impieghi in Africa

Per Nestlé, la classe media africana non sta crescendo abbastanza velocemente. Keystone

Nestlé, il più grande gruppo alimentare mondiale, sta tagliando il 15% del suo personale in 21 paesi africani poiché ha sopravvalutato la crescita della classe media.

«Pensavamo che sarebbe stata la prossima Asia, ma ci siamo resi conto che qui nella regione la classe media è estremamente piccola e non è veramente in crescita», afferma al Financial Times Cornel Krummenacher, amministratore delegato di Nestlé per la regione dell’Africa equatoriale, nella sede regionale di Nairobi. La regione comprende 21 paesi inclusi il Kenya, la Repubblica democratica del Congo e l’Angola.

Il taglio è in contrasto con la crescita spinta dai consumi dell’Africa, che ha attirato investitori in cerca di nuovi mercati in rapida espansione. La ristrutturazione evidenzia le difficoltà incontrate dalle aziende straniere nei mercati sub-sahariani, dominati da imprese famigliari che basano gran parte del loro successo sul know-how locale e sulla vendita di prodotti a buon mercato e concepiti per i singoli paesi.

Krummenacher rileva che il volume di affari nella regione non è in linea con le previsioni di crescita iniziale del 2008, anno in cui Nestlé – che in Africa ha investito quasi un miliardo di dollari negli ultimi dieci anni – ha accelerato la sua espansione nella regione. Da allora ha costruito una serie di nuovi stabilimenti con l’obiettivo di raddoppiare le sue vendite ogni tre anni.

Prestiti dalla sede centrale

Invece, finora, Nestlé ha chiuso completamente i suoi uffici in Ruanda e Uganda, sta dimezzando la sua linea produttiva e potrebbe chiudere alcuni dei suoi 15 magazzini entro settembre. Krummenacher afferma che l’azienda sarebbe contenta di raggiungere una crescita annua del 10% nei prossimi anni.

«Non abbiamo abbastanza denaro per pagare le fatture mensili. Con questi tagli, speriamo che l’anno prossimo saremo in grado di chiudere i conti in pareggio», dice Krummenacher, aggiungendo che Nestlé sta chiedendo prestiti al suo quartier generale in Svizzera e alle banche locali per pagare i salari e acquistare le materie prime.

Secondo un’indagine della Banca africana di sviluppo, la classe media del continente nel 2011 era stimata a 330 milioni di persone. Un’analisi della Standard Bank dello scorso anno – come sottolinea Krummenacher durante l’intervista – evidenzia però una cifra ben più ridotta (15 milioni di persone in undici paesi). In Kenya, una nazione che conta 44 milioni di persone, le economie domestiche del ceto medio sono soltanto 800’000.

L’esperienza di Nestlé è in contrapposizione rispetto a quella di numerosi concorrenti locali nella regione, che sono ancora in espansione. Quest’anno, in molte zone del continente stanno aprendo diversi nuovi centri commerciali, ciò che attira affittuari di peso quali Walmart e Carrefour.

Ad esempio in Nigeria, un paese che non rientra nella sfera di competenze di Krummenacher, si stima che la classe media sia formata da 8 milioni di persone.

«Credo che Nestlé abbia scommesso grosso e non ce l’abbia fatta», afferma Aly-Khan Satchu, consulente d’investimenti a Nairobi. «Non aveva i prodotti adatti al mercato e la crescita della classe media non è così rapida come sarebbe potuta essere. Alcune multinazionali si attendevano un incremento più veloce».

Nestlé non è l’unico

Tra gli investitori stranieri attirati dal miraggio di una classe di consumatori in crescita, Nestlé non è l’unico ad essersi scontrato con le difficili condizioni operative. Negli ultimi mesi, Coca-Cola, Cadbury e Eveready hanno soppresso impieghi o chiuso fabbriche in Kenya.

Alcuni si sono arenati a causa di previsioni di crescita eccessivamente ambiziose da parte delle banche. «L’urbanizzazione è solitamente positiva per i fabbricanti, ma in questo caso molta gente vive letteralmente in catapecchie e quindi non ha nulla da spendere», afferma Krummenacher. Stando alle stime, due terzi degli abitanti di Nairobi vivono in insediamenti non ufficiali.

Krummenacher menziona anche le scarse infrastrutture – dice che i trasporti sono responsabili del 75% dei costi – la corruzione, le inondazioni, le rivolte e il deprezzamento delle valute.

«Non c’è stata una vera crescita del reddito disponibile e della classe media», osserva un analista di commercio al dettaglio residente in Kenya, che non vuole essere nominato. «Nestlé e gli altri stanno però anche perdendo la lotta contro le aziende locali. Quest’ultime esercitano una certa attrattiva a livello locale e hanno investito tempo e denaro nella modernizzazione degli imballaggi, degli standard e del branding, ciò che ha reso i loro prodotti più competitivi rispetto a quelli stranieri».

Almeno quattro grandi catene di supermercati regionali hanno lanciato le loro linee di prodotti affidabili e a buon mercato – come il marchio Blue di Nakumatt, il dettagliante più grande della regione con 53 negozi – che competono con i prodotti di multinazionali quali Nestlé.

Krummenacher afferma che vorrebbe concentrarsi sui prodotti di punta di Nestlé, come i dadi da cucina e il latte in polvere, e insistere meno sui prodotti più esclusivi quali cibo per animali domestici, dolci, capsule di caffè Nespresso e persino cereali per la colazione, un mercato in crescita.

«Di anno in anno abbiamo una crescita a due cifre», rileva Catherine Mudachi nell’ufficio keniota del marchio inglese Weetabix, di proprietà cinese, che dice di possedere l’80% del mercato di cereali in Kenya, in cui sono vendute 2’700 tonnellate all’anno. «Il mercato dei cereali è ancora piccolo, ma sempre più persone stanno cambiando le loro abitudini e c’è sicuramente una crescita».

Piombo negli spaghettini

Nestlé ha subito un altro contraccolpo quando è stata costretta a ritirare gli spaghettini istantanei Maggi prodotti in India, e venduti da due fornitori dell’Africa orientale, dopo che le notizie concernenti uno scandalo alimentare sono giunte alle autorità sanitarie del Kenya.

Krummenacher afferma che l’azienda sta discutendo della questione (presenza di piombo oltre i limiti consentiti) con i ministeri della sanità in Kenya, Mauritius e Zimbabwe. Il dirigente di Nestlé prevede che se riceveranno il nullaosta, gli spaghettini istantanei torneranno sugli scaffali dei negozi a giorni. «Sono soltanto 70 scatole, ovvero 3’000 confezioni, e pensiamo che siano sicuri. Ma è un altro grattacapo».

Copyright The Financial Times Limited 2015

Lettera al Financial Times di Wan Ling Martello, vice presidente di Nestlé per la zona Asia, Oceania e Africa

Signore, il vostro articolo “Nestlé sopprime impieghi in Africa” può dare la falsa impressione che ci stiamo in un qualche modo ritirando dall’Africa. Il fatto è che questo aggiustamento del personale concerne cinque paesi dell’Africa equatoriale e rappresenta meno dell’1% delle 11’000 persone che impieghiamo nell’Africa sub-sahariana.

Tengo a sottolineare il nostro impegno a lungo termine e la nostra fiducia nel futuro dell’Africa sub-sahariana. Nel corso degli ultimi dieci anni, abbiamo conosciuto una solida crescita a due cifre. Dalle elezioni in Nigeria lo scorso aprile, la nostra regione dell’Africa centrale e occidentale, che rappresenta più della metà delle attività di Nestlé nell’Africa sub-sahariana, è in forte crescita. La regione dell’Africa del Sud è stato uno dei mercati dalla crescita più marcata di Nestlé durante il primo trimestre di quest’anno, con una crescita a due cifre. Rimaniamo inoltre ottimisti sulle prospettive a medio termine per la nostra regione dell’Africa equatoriale.

Questa prestazione è il risultato dei nostri importanti investimenti attraverso l’Africa sub-sahariana nel corso dell’ultimo decennio, i quali sono stati costantemente superiori alla media del gruppo. Non si tratta di “grandi scommesse che non hanno dato esito”, come afferma uno dei vostri interlocutori, bensì di piattaforme per il futuro. Quest’anno abbiamo esteso i nostri stabilimenti produttivi alla Repubblica democratica del Congo. E nella regione sono previsti nuovi investimenti nei prossimi anni. Sì, siamo molto positivi in merito al futuro dell’Africa.

(Tradotto dall’inglese da swissinfo.ch).

Traduzione di Luigi Jorio

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