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Alexei Venediktov: “La Svizzera ha perso l’opportunità di mediare la pace in Ucraina”

Alexei Venediktov a Berna
Alexei Venediktov, ex caporedattore dell'Eco di Mosca. Thomas Kern/swissinfo,ch

Malgrado le minacce, l'ex caporedattore dell'Eco di Mosca continua a lavorare dalla capitale russa per informare la popolazione sulla guerra. Le sanzioni europee e la loro adozione da parte della Svizzera sono controproducenti, secondo lui.

Dare la parola a tutte e tutti, ma anche parlare con tutte e tutti. È il motto del giornalista russo ed ex caporedattore dell’Eco di Mosca Alexei Venediktov. Considerata uno degli ultimi media indipendenti in Russia, la sua radio ha resistito a lungo all’ondata di repressione mediatica. Il 3 marzo 2022, qualche giorno dopo l’invasione russa in Ucraina, il giornalista ha denunciato la guerra e all’Eco di Mosca è stato vietato di trasmettere ulteriormente il suo segnale. Di passaggio in Svizzera, Venediktov ha discusso con SWI swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch: Da quando la sua radio ha dovuto chiudere, lei continua a lavorare da Mosca, tramite un canale Youtube. Riesce ancora a svolgere la professione di giornalista indipendente?

Alexei Venediktov: Sì, la guerra non ha cambiato il lavoro di giornalista, come non ha cambiato la professione di chirurgo o professore. Prima, durante o dopo la guerra bisogna spiegare le varie opinioni, analizzare, dibattere.

Un mese dopo lo scoppio della guerra nel marzo del 2022, lei ha trovato una testa di maiale davanti alla porta del suo appartamento, accompagnata da un’iscrizione antisemita. Recentemente, il capo dell’esercito privato Wagner che combatte in Ucraina l’ha definita “un nemico”. La sua vita è in pericolo?

Sì, sono minacciato. Non è piacevole, ma sono i rischi del mestiere. Nel mio Paese, il mio lavoro è rischioso. Quindi, mi assumo questo rischio. Altrimenti dovrei cambiare professione, emigrare o andare in pensione, ma non voglio.

Si trova attualmente in Europa occidentale. Non vuole restare?

Non ancora. Non escludo nulla, perché le minacce si moltiplicano. Tuttavia, fino a quando potrò lavorare a Mosca, vi resterò.

La giustizia russa l’ha messa sulla lista degli agenti stranieri. Ciò cosa implica, concretamente?

Non ho il diritto di tenere conferenze, ad esempio, o di andare a parlare con gli studenti nelle università e nelle scuole. Alcune persone, inoltre, hanno paura di contattarmi perché la mia comunicazione è tossica, perché sanno che sono sorvegliato. Un processo è in corso tra me e il ministero della Giustizia poiché definirmi agente straniero è ingiusto. Non so neanche di quale Paese sarei un agente. La vita è difficile!

Inversamente, lo staff dell’oppositore del presidente Vladimir Putin Alexei Navalny ha inserito il suo nome in una lista di persone definite “funzionari corrotti e guerrafondai”, accusandola di aver aiutato il regime a falsificare i risultati del voto elettronico durante la campagna per l’elezione della Duma a Mosca  nel 2021. Come risponde a questa accusa?

È una menzogna. Mi hanno messo su questa lista perché ho svolto un lavoro di indagine. Credo che ci sia gente che lavori per lo Stato nella cerchia di Navalny. Ho cercato dei documenti che lo dimostrassero. Dopo il suo avvelenamento e la convalescenza in Germania nel 2021, ci sono state persone che hanno detto a Navalny di tornare in Russia, quando a Mosca si sapeva che sarebbe stato messo in prigione. È tornato e ora è in carcere, malato e forse moribondo.

Sulla sua pagina di Wikipedia si legge che lei fa parte delle personalità che hanno sostenuto Putin durante le elezioni presidenziali del 2012. È vero?

È assolutamente falso. C’è un documento che mostra come Putin mi ha chiesto di far parte delle personalità che lo sostengono. Su 300, sono l’unico che ha rifiutato.

Lei, tuttavia, conosce personalmente Putin, che ha incontrato diverse volte. Si è anche rivolto a lui dandogli del tu prima dell’elezione. Ha ancora contatti con lui o con persone a lui vicine al Cremlino?

L’ultima volta che ho incontrato Putin è stato nel gennaio del 2021. Gli ho posto una domanda sull’arresto di Navalny che evidentemente non gli è piaciuta. Tuttavia, parlo regolarmente con il suo portavoce per chiarire questa o quella posizione. È il mio lavoro.

Venediktov con Putin, 2012
Alexei Venediktov si intrattiene con Vladimir Putin, allora Primo ministro, durante una cerimonia di premiazione a Mosca, il 13 gennaio 2012. Yana Lapikova/AFP

Il Governo le rimprovera di essere un agente straniero, mentre l’opposizione di essere troppo vicino al potere. Dov’è la verità?

Queste accuse provenienti dai due campi opposti dimostrano che faccio bene il mio lavoro. Il giornalista non deve essere amico di questa o di quella forza politica, ma può avere amici in seno a tutte le parti. Per esempio, il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, è un mio buon amico, ma ho anche amici in prigione.

L’Eco di Mosca ha resistito per molto tempo alle varie ondate di repressione mediatica. È stato necessario scendere a compromessi coltivando una vicinanza con il potere?

Abbiamo sicuramente dovuto fare dei compromessi, ma non sulla linea editoriale. Sono 23 anni che non cambia.

“Il grande vizio di questo regime è l’imperialismo, il revanscismo. Non l’abbiamo visto perché era nascosto sotto la corruzione.”

Alexei Venediktov

Il gruppo Gazprom, vicino allo Stato, deteneva però la maggioranza delle azioni dell’Eco di Mosca. In questo contesto, era veramente possibile mantenere l’indipendenza ?

Certamente. L’indipendenza dei giornalisti non è la dipendenza dagli azionisti. Quando Gazprom ha ottenuto il controllo della maggioranza delle azioni della radio nel 2001, membri dell’opposizione hanno continuato venire a esprimersi sulle nostre onde, perché eravamo una radio professionale. Abbiamo sempre dato la parola a tutti.

Tuttavia, ho fatto uscire un giornalista di prigione che era accusato a torto di spacciare droga. Per farlo rilasciare ho dovuto parlare con il ministro degli Interni e altri funzionari. Normalmente non è il lavoro del caporedattore, ma è stato liberato. Sono questi i compromessi di cui parlo: fare in modo che la gente si parli anziché uccidersi a vicenda. In questo senso, sono un uomo di compromesso e continuerò ad esserlo.

In un recente articolo del Financial TimesCollegamento esterno, lei ha affermato che rimpiange di non aver previsto la guerra. Con il senno di poi, cosa le ha impedito di interpretare i segnali?

Durante una conferenza stampa nel 2013, ho detto a Putin che vedevo i segnali di una deriva staliniana e mi ha risposto che ero pazzo. In quanto professore di storia, notavo comunque degli indizi: la guerra in Cecenia, la guerra in Georgia nel 2008, la brutalità, l’amor proprio di Putin.

Alexei Venediktov a Berna
Secondo Alexei Venediktov, la Russia ha perso la guerra già al primo giorno dell’invasione contro l’Ucraina. Thomas Kern/swissinfo.ch

Malgrado ciò, pensavo che il grande vizio di questo regime fosse la corruzione. Volevano palazzi, yatch, dei Rolex. La guerra? Impossibile, mi dicevo, perché volevano innanzitutto vivere nella ricchezza. Mi sbagliavo: il grande vizio di questo regime è l’imperialismo, il revanscismo. Non l’abbiamo visto perché era nascosto sotto la corruzione.

In che modo la popolazione russa si informa su ciò che succede in Ucraina?

Oggi, ci si può informare ovunque su internet. L’informazione non è un problema, ma ciò a cui si crede o non si crede lo è. La popolazione russa ha l’impressione di aver perso la sua grandezza e che Putin la ripristinerà. Questo impedisce alla gente in Russia di vedere le atrocità della guerra. Non ci crede e si dice: “I nostri prodi soldati non possono uccidere dei bambini, non possono bombardare delle case”. Anche coloro che hanno parenti prossimi in Ucraina non vogliono crederci. Pensano si tratti di propaganda, che gli ucraini bombardino le loro stesse città.

Il primo giorno dell’invasione russa in Ucraina, lei ha dichiarato sulle onde dell’Eco di Mosca: “Abbiamo già perso la guerra”. Lo pensa ancora?

Sì, certamente! La Russia ha già perso. Ha perso decine di migliaia di soldati e la reputazione internazionale, che non si può restaurare. Con le sanzioni, anche l’economia ha perso. Anche se ci fosse una vittoria militare, a cosa servirebbe? Io vedo solo perdite.

Ha l’impressione che le sanzioni economiche contro la Russia abbiano un impatto?

Le sanzioni che colpiscono chiunque abbia un passaporto russo sono incomprensibili e controproduttive. Per esempio, escludendo gli atleti russi dai Giochi olimpici, anche coloro che non sostengono la guerra, si sanziona gente innocente. Si è entrati in una logica di responsabilità collettiva che corrisponde alla logica del terrorismo islamista. Bisogna essere coscienti delle conseguenze: Putin utilizza tutto ciò per dire che l’Occidente è nemico dell’insieme della popolazione russa. Non capisco come questo possa permettere di mettere fine alla guerra.

Questo conflitto avrà una fine?

Non terminerà mai. Forse la fase militare può essere fermata, ma non vedo la fine della guerra in un senso più ampio.

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In Svizzera sono depositati più di 46 miliardi di franchi di fondi russi. Secondo lei, la Confederazione fa abbastanza per sanzionare chi è vicino al potere russo?

La Svizzera agisce per solidarietà con l’Ucraina, con la comunità occidentale. Tuttavia, prima di congelare un conto o dei beni, ci vorrebbe una decisione della giustizia, non della politica. In questo caso si confisca prima di andare in tribunale. Secondo me, dovrebbe essere il contrario. Il rischio è di creare un pericoloso precedente. Oggi avviene con la Russia, domani con la Cina e dopodomani con altri ancora.

A suo avviso, riprendendo le sanzioni dell’Unione europea, la Svizzera rispetta il suo statuto di Stato neutrale?

La Svizzera ha perso l’opportunità di mediare la pace. Un tempo, la presidenza svizzera poteva svolgere questo ruolo. Tuttavia, dov’è ora il mediatore tra la Russia e l’Occidente? La Svizzera si è schierata in un campo.

Ultima domanda: se incontrasse di nuovo Putin oggi, cosa gli direbbe?

Gli direi: “Ritiri le nostre truppe dall’Ucraina! Ha commesso un errore”. In seguito, si potrà discutere dello statuto della Crimea, delle riparazioni e via dicendo. Ma ora bisogna smettere di uccidere delle persone, non solo ucraine, ma anche russe. Quando si spara, non si può parlare.

Traduzione: Zeno Zoccatelli

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