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Alberto Nessi: Ticino orfano del fascino della periferia

Laureato in letteratura italiana all'Università di Friborgo e insegnante nelle scuole medie ticinesi, Alberto Nessi, 61 anni, è uno degli scrittori e poeti più rappresentativi della Svizzera italiana. Nelle sue opere narra le vicende e i sentimenti della gente comune, soffermandosi con grande sensibilità sulle sfumature della vita di tutti i giorni.

Questo contenuto è stato pubblicato il 02 marzo 2001 - 15:36

Da ragazzo disegnavo le periferie: fabbriche ai margini della città, fumo di ciminiera che si perde nel cielo. Mi piaceva andare in cerca di ciò che vive come in uno stato di precarietà, di sospensione, di metamorfosi.

In quegli anni la periferia era luogo di scoperte. Là, una scavatrice poteva avere voce e lacrime, come nella famosa poesia di Pasolini. E ognuno aveva storie da raccontare: l'operaio al ritorno dal lavoro, quelli che giocavano a bocce all'ombra dei platani, la donna che sfiorava i lampioni.

In quei terrains vagues andava a rifugiarsi lo « sconosciuto e intenso », insieme alla ragazza del tiro a segno che era arrivata col carrozzone degli zingari. E le nostre piccole fughe di studenti andavano a finire nel delta della Maggia, oltre le ultime case di Locarno.

Credo che il mio gusto per la poesia sia nato in periferia. Il centro è il luogo dell'ufficialità, del potere, dei professori. Io cercavo le cose discoste, le cose che possono essere tante altre cose, le cose che nascondono il mistero.

Ma oggi il mistero non abita più là. Nel canton Ticino gli zingari delle periferie vengono presi a sassate e i paesi si assomigliano tutti. I giovani della valle in cui abito scrivono sull'asfalto Viva il rally e amano lo slogan Non sognare! Va' in moto!. O meglio, gliel'hanno fatto amare, quello slogan, e loro, disarmati, si sono lasciati violentare.

Qualche anno fa mi aggiravo per la periferia di Chiasso in cerca del mistero e una guardia di confine mi fermò: che farà un uomo a piedi in zona di confine?

Oggi dalle mie parti la periferia è abitata dall'ostilità: l'ostilità che il clandestino incontra quando passa la rete di confine. Lo "sconosciuto" che cercavo nell'adolescenza si è trasferito altrove: negli occhi degli immigrati che hanno visto deserti e mari lontani, nel ragazzino della Sierra Leone che abita vicino a me, nelle vicende della donna iraniana che ha dovuto lasciare la patria, nella storia di Karuna -profugo dello Sri Lanka- che lavora in una fabbrica del Mendrisiotto, nei lineamenti di Alma, ragazza bosniaca fuggita dalla guerra e ora compagna di scuola di mia figlia. Sono loro la nuova periferia. Sono loro che hanno storie da raccontare. Ma, in loro, la poesia del mistero ha lasciato il posto al dramma dello sradicamento.

Alberto Nessi

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