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Alain Berset: “Ho vissuto dei momenti di una brutalità senza precedenti”

Dopo dieci anni nel Governo federale, Alain Berset assume per la seconda volta il ruolo di presidente della Confederazione. Nell'intervista a SWI swissinfo.ch, il consigliere federale socialista parla delle minacce di cui è stato vittima durante la pandemia, del suo ruolo alla guida del Paese e di come intende affrontare il periodo di instabilità che stiamo attraversando.


Alain Berset
Il consigliere federale Alain Berset è nato il 9 aprile 1972 a Friburgo. Thomas Kern/swissinfo.ch

SWI swissinfo.ch: Lei è il consigliere federale che è in carica da più tempo. Negli ultimi due anni ha dovuto affrontare la pandemia di Covid-19, le critiche e le vicende private di cui hanno parlato abbondantemente i media. Ha ancora l’energia per governare?

Alain Berset: Sono quello che ha più esperienza in questa attività, ma sono anche il più giovane di età e quindi ho tutta l’energia per andare avanti. È estremamente importante avere una certa stabilità, in un periodo segnato da una fase di instabilità e da un contesto internazionale difficile. L’esperienza è una grande forza per affrontare questa situazione.

La possibilità di governare per più di un decennio è una specificità svizzera. Nei Paesi vicini, i cambiamenti sono più frequenti. Questa longevità è un bene?

La stabilità è una delle grandi forze delle nostre istituzioni. È anche un vantaggio nei contatti con gli altri Paesi, perché siamo sempre profondamente al corrente delle tematiche, della loro storia e del modo in cui portare avanti il lavoro.

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Quale sarà il motto del suo anno presidenziale?

Ho sempre diffidato degli slogan e non ho un motto pronto all’uso. L’esperienza insegna come ogni anno porti con sé molte sorprese. Dopo la pandemia e la situazione di instabilità che stiamo attraversando, il ruolo del presidente della Confederazione è quello di rafforzare la coesione sociale nel Paese. A questo proposito, la lotta contro le disuguaglianze, per la parità di accesso alle cure, alla formazione e alla cultura, è al centro delle mie riflessioni da quando faccio politica.

Lei continuerà a dirigere il Dipartimento federale dell’Interno (DFI). Tuttavia, alcuni/e esponenti del suo partito avrebbero voluto che lei assumesse la direzione del Dipartimento federale degli Affari esteri. È stata una sua scelta oppure le è stata imposta dalla maggioranza di destra nel Consiglio federale?

Non parlerò del contenuto delle sedute del Consiglio federale, che è riservato. Il dovere dei membri del Governo è di riflettere su una ripartizione che permetta al Paese di essere il più forte possibile. È l’unica cosa che conta. Inoltre, ritengo che essere alla guida del Dipartimento federale dell’Interno sia un privilegio, poiché si tratta di un dipartimento che riguarda maggiormente la vita quotidiana delle persone.

Restando alla testa del DFI, dovrà gestire la complessa questione delle pensioni. Dopo aver dovuto difendere la riforma dell’AVS [assicurazione vecchiaia] contro l’opinione del suo partito, riuscirà a convincere la destra con il suo progetto di riforma del 2° pilastro?

Per la prima volta da circa 30 anni, siamo riusciti ad adottare una riforma dell’AVS che permette di stabilizzare il suo finanziamento. Ciò è molto positivo, perché si tratta della nostra assicurazione più sociale. Per quanto riguarda il 2° pilastro, siamo riusciti, con il Consiglio federale, a riunire i partner sociali attorno a un progetto comune, favorevole alle donne e ai redditi più bassi.

Nessuno contesta la necessità di una riforma, ma dobbiamo realizzarla in modo da garantire le rendite. Per arrivare a fine mese, ai cittadini e alle cittadine servono franchi e centesimi, non concetti o principi. Anche se in Parlamento non è semplice, bisognerà giungere a una riforma che sia in grado di riunire una maggioranza popolare.

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Durante la pandemia è stato oggetto di numerose critiche e minacce. È persino stato posto sotto protezione della polizia. Ci sono stati dei momenti di sconforto, in cui ha pensato di mollare tutto?

Per essere onesti, sì. Ho vissuto dei momenti di una brutalità senza precedenti nella storia delle nostre istituzioni. A seguito degli attacchi frontali di alcuni politici, una parte della popolazione si è sentita legittimata a spingersi oltre. Ho avuto dei momenti di sconforto, in cui mi sono chiesto: ‘Perché lo fai?’.

Ho tenuto duro, perché ho un’eccellente équipe intorno a me e perché si tratta di fare il meglio possibile per il Paese. Non si può essere consigliere federale solo per inaugurare un nuovo edificio o prendere parte a festeggiamenti. Siamo qui soprattutto per i momenti difficili. Bisogna dire che mi sono sentito davvero sostenuto da tutto il Governo. Durante quel periodo, il Consiglio federale è stato molto più affiatato di quanto si possa immaginare.

Qual è stato il momento più difficile durante la crisi del Covid-19?

C’è stato un carico di lavoro che non avrei mai immaginato di poter sostenere, raddoppiato da una pressione politica che ha superato tutto ciò che avevo conosciuto fino ad allora. Ma si tratta di elementi che si possono gestire. Il momento più difficile è stato quello in cui, in quel clima di nervosismo, un piccolo gruppo isolato di individui ha iniziato a proferire minacce brutali. Questo non corrisponde affatto allo spirito elvetico e a dire il vero non corrisponde a nulla. Non dimentichiamo che siamo l’unico Paese al mondo in cui la gestione della pandemia è stata sottoposta, a due riprese, a una votazione popolare. E questo nel pieno della crisi.

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Thomas Kern/swissinfo.ch

La crisi del coronavirus è ora sotto controllo, ma la Svizzera deve far fronte ad altre crisi: climatica, energetica, guerra in Ucraina, inflazione. È diventato normale governare in tempo di crisi?

Penso di sì, anche se non si può dire che prima della pandemia tutto andasse bene e che ora siamo in crisi permanente. Abbiamo già vissuto momenti molto difficili in passato, ma le conseguenze sulla società sono state diverse rispetto alla crisi del Covid-19. Inoltre, la situazione in Ucraina è gravemente peggiorata già nel 2014, anche se il conflitto iniziato nel febbraio 2022 ha assunto dimensioni che ci inquietano molto. Siamo consapevoli di questa insicurezza e ci prepariamo.

Il sistema federalista svizzero è in grado di far fronte a questa nuova situazione?

È un sistema molto resiliente, che assorbe gli shock e permette di rispondere. Forse non reagiamo così rapidamente come gli altri, ma abbiamo constatato anche durante la crisi del coronavirus che il sistema federalista non è un problema. Come abbiamo visto nel corso della pandemia, dobbiamo imparare a vivere il nostro federalismo in modo un po’ diverso, con maggiore flessibilità.

Quest’inverno, e probabilmente anche nei successivi, la popolazione svizzera dovrà vivere con la minaccia di una penuria di energia. Il Paese è pronto a reagire a una crisi energetica?

La questione energetica ci preoccupa da tempo, già da prima della guerra in Ucraina. I prezzi dell’energia si stabilizzeranno a un livello elevato. In materia di approvvigionamento, il Consiglio federale, i Cantoni e le imprese interessate hanno fatto il necessario. Dobbiamo certamente rimanere prudenti e rispettare le raccomandazioni, ma credo che possiamo affrontare l’inverno con una certa serenità.

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Thomas Kern/swissinfo.ch

Anche se la Svizzera riuscirà a superare l’inverno senza penurie, il problema rimarrà pure in futuro. Quali sono le soluzioni a lungo termine?

La Svizzera possiede una forza che molti Paesi ci invidiano: una parte molto importante di energia idroelettrica nel mix energetico nazionale. In questi ultimi mesi, è stato svolto un lavoro impressionante per far sì che i laghi artificiali siano al massimo livello, il che non è mai stato il caso in questo periodo dell’anno. È quindi possibile gestire le nostre riserve, anche se ciò non basta.

La diversificazione delle fonti di energia è centrale e il nostro Paese deve ancora compiere degli sforzi nel campo delle energie rinnovabili. La strategia energetica del Consiglio federale deve ora essere realizzata. In quest’ambito, è altrettanto importante rimanere in contatto con i Paesi che ci circondano. Facciamo parte di una rete globale, l’isolamento non è un’opzione.

In qualità di presidente della Confederazione per il 2023, avrà anche un ruolo centrale nel dossier europeo. È immaginabile una ripresa dei negoziati, dopo l’abbandono dell’accordo istituzionale nel maggio 2021?

La Svizzera ha un interesse essenziale in una relazione stabile e ben strutturata con l’Unione europea. Da alcuni mesi abbiamo degli scambi esplorativi con Bruxelles, che mostrano alcuni progressi. Il Consiglio federale dovrà fare un bilancio di queste discussioni e valutare come conviene portarle avanti.

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Thomas Kern/swissinfo.ch

Nel contesto della guerra in Ucraina, la neutralità elvetica è stata oggetto di numerose critiche all’estero. Il Consiglio federale ha deciso di non modificare per ora la sua politica di neutralità. Lo status quo è sostenibile sul piano della neutralità?

È l’unica opzione! La Svizzera è un Paese con una lunghissima tradizione umanitaria. Il suo ruolo nei conflitti internazionali è stabile, chiaro e ben identificato da molto tempo, il che costituisce una grande forza. La Svizzera è neutrale, ma non indifferente! Il conflitto in Ucraina ce lo ha ricordato con forza.

Nel 2018, quando è stato per la prima volta presidente della Confederazione, si è recato in visita in Libano. Prevede di visitare un altro Paese di questa regione del mondo in cui la situazione non fa che aggravarsi?

Il Libano è un Paese che mi è caro per diverse ragioni. Durante la mia visita nel 2018 come presidente della Confederazione, ho visitato dei campi di persone rifugiate nel nord del Paese. Il Libano, che conta circa quattro milioni di abitanti, accoglieva più di due milioni di profughe e profughi, su un territorio sostanzialmente poco più grande della Svizzera francese. È stato molto impressionante.

L’esplosione che ha devastato il porto di Beirut nel 2020 ha messo in luce difficoltà ancora più importanti all’interno del Paese. Da allora, ho seguito da vicino la situazione. Non ho ancora un viaggio in programma, ma avrò ovviamente dei contatti con il Libano nel quadro degli scambi multilaterali.

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

Alain Berset è stato eletto nel Consiglio federale nel 2011. Il politico socialista, che all’epoca aveva 39 anni, è diventato uno dei più giovani consiglieri federali della storia. Da allora dirige il Dipartimento federale dell’Interno, dove è responsabile della sanità, delle assicurazioni sociali e della cultura.

Nato a Friburgo nel 1972, sposato e padre di tre figli, ha studiato scienze politiche ed economiche all’Università di Neuchâtel. Dopo essere stato ricercatore scientifico e consigliere politico, nel 2003 è stato eletto nella camera alta del Parlamento federale (Camera dei Cantoni), di cui è stato presidente nel 2009.

Alain Berset ha assunto per la prima volta la presidenza della Confederazione nel 2018. Il 7 dicembre 2022 è stato eletto per un secondo incarico dall’Assemblea federale (le due Camere del Parlamento riunite). Ha ottenuto 140 voti su 181 bollettini validi, un punteggio nettamente inferiore rispetto a quello per il suo primo mandato (190 voti su 210 bollettini validi).

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