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“L’Occidente è corresponsabile della miseria dei profughi”

Patricia Ponte Pérez in un centro di accoglienza, quando i profughi potevano ancora circolare liberamente sull'isola. zVg

Dall’entrata in vigore dell’accordo tra l’UE e la Turchia, il 20 marzo 2016, la situazione dei rifugiati sulle isole greche del Mar Egeo è ulteriormente peggiorata. I profughi non sanno se e quando saranno rimandati in Turchia. E anche i volontari e le organizzazioni umanitarie si sentono disarmati e confusi. Due volontarie svizzere si dicono indignate di fronte alle violazioni dei diritti umani.

Patricia Ponte Pérez, 19enne di Zofingen, ha deciso praticamente dall’oggi al domani di lasciare il impiego nel ristorante del padre per andare ad aiutare i profughi sull’isola di Samos. A febbraio ha così raggiunto un gruppo di volontari: giovani e anziani, donne e uomini, provenienti da tutto il mondo. Tra loro ci sono anche diversi rappresentanti degli ambienti autonomi bernesi. “Cucinavamo assieme alle donne del posto per un migliaio di persone. Riso, lenticchie o pasta. Distribuivamo giocattoli e vestiti; giocavamo coi bambini, danzavamo assieme. Era positivo offrire ai bambini un po’ di distrazione e agli adulti un momento di tranquillità”. 

“Disoccupati” dall’oggi al domani

Dall’entrata in vigore dell’accordo sui profughi tra l’UE e la Turchia, il 20 marzo 2016, la situazione è cambiata radicalmente: i nuovi arrivati vengono registrati e sistemati in un centro chiuso, protetto da un doppio filo spinato. I profughi non possono più lasciare il campo. “Siamo rinchiusi come se fossimo in prigione”, racconta un pakistano, che come tutti gli altri profughi prima poteva muoversi liberamente.

Assieme a Lesbo, l’isola greca di Samos (33mila abitanti) è uno dei principali punti di sbarco dei profughi provenienti dalla Turchia, ad appena 1,7 km in linea d’area. I migranti, provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan, Iraq e Pakistan, devono pagare fino a 2mila dollari per la pericolosa traversata. Una somma impressionante considerando che una settimana a Samos, incluso volo e albergo, è proposta a 651 franchi dal tour operator svizzero Kuoni. 

Centinaia di migranti, arrivati a Samos prima del 20 marzo, sono stati portarti in traghetto sulla parte continentale della Grecia. Per la giovane svizzera questi addii sono stati difficili. “Abbiamo costruito una relazione con queste persone, ci siamo affezionati…. Ora non sappiamo cosa accadrà loro”.

La gestione del centro di accoglienza di Vathi, la capitale di Samos, è affidata ai militari e alla polizia. Da un giorno all’altro i volontari si sono ritrovati praticamente “disoccupati” e molti di loro hanno già lasciato l’isola. “Io resto qui per ora”, afferma Patricia Ponte Pérez. “Voglio sapere cosa accadrà ai rifugiati e, se possibile, continuare ad aiutarli”.

Le organizzazioni umanitarie come l’UNHCR o Medici senza frontiere hanno definito inumana e immorale la decisione di rinchiudere i profughi e hanno ridotto la loro presenza in Grecia. Anche molti volontari hanno abbandonato le isole. Giorgos Kyritsis, portavoce del coordinatore greco per le politiche migratorie ha dichiarato che i profughi non saranno trattenuti a lungo, ma dovranno rimanere nel campo fintanto che la loro domanda d’asilo sarà trattata come previsto dalle procedure accelerate dell’UE. 

Grande solidarietà della popolazione greca

Da 22 anni sull’isola, anche la svizzera Eliane Apostolou si è adoperata per aiutare i profughi, come d’altronde molti altri residenti: ha raccolto soldi, distribuito materassi, consegnato abiti. E lo scorso autunno, quando molti profughi erano costretti a dormire per strada a Karlovasi, la 53enne bernese ha convinto l’amministrazione comunale a mettere a disposizione una vecchia casa per proteggere queste persone dal freddo.

L’arrivo dei profughi a Samos non è un fatto recente. È già dal 2002 che la popolazione locale convive con questo fenomeno, spiega Eliane Apostolou. “All’epoca i rifugiati provenivano dall’Iraq o dalla Palestina, ma naturalmente i numeri erano altri”. Ad essere particolarmente toccati dall’arrivo dei profughi sono soprattutto gli anziani, afferma Eliane Apostolou, che hanno ancora vivo il ricordo della deportazione durante la Seconda guerra mondiale

Come proseguire?

“Dal 20 marzo gli sbarchi sono notevolmente diminuiti”, dichiara un poliziotto tedesco che da un mese pattuglia la zona per conto dell’agenzia europea Frontex. “Ma i profughi arrivano ancora, con gommoni a buon mercato. È sufficiente avere un oggetto appuntito in tasca per bucare il canotto”.

La domenica di Pasqua – ad esempio – sono arrivate sull’isola 73 persone, tra cui molti bambini fradici, sporchi, esausti, infreddoliti. Hanno atteso ore prima di ricevere qualcosa da mangiare, vestiti e scarpe asciutte. L’atmosfera è tesa, la gente è impaurita, a volte scoppia il trambusto. Per protestare contro l’obbligo di restare nel centro e una possibile deportazione in Turchia, alcuni profughi hanno bloccato l’accesso al campo al camion degli alimentari.

Non si sa quanta gente ci sia attualmente nel campo: 500? Di più? La polizia locale non ha voluto fornire cifre, ma ci ha chiesto: “Cosa fate a Samos? Siete soli? Avete parlato coi poliziotti ieri al campo?” Sì, ci abbiamo provato, ma senza successo. Alla fine ci è stato spiegato di rivolgerci al ministero competente ad Atene, per iscritto.

Patricia Ponte Pérez è costernata di fronte alla precarietà del centro, Eliane Apostolou indignata: “Siamo chiaramente di fronte a una violazione dei diritti umani. E l’Occidente è in parte responsabile per la condizione nella quale si trovano i rifugiati. Fintanto che i paesi dell’UE e della NATO continueranno ad esportare armi e a lanciare bombe, avranno la loro parte di colpa”.

(Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter)

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