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Le preoccupazioni dell’Unrwa sull’aiuto per ricostruire il Libano

Olivier de fer
Abdul Rahman Katanani è cresciuto nel campo palestinese di Sabra, nella periferia di Beirut. La gallerista ginevrina Barbara Polla gli ha dedicato quest'estate un'esposizione. L'artista franco-palestinese utilizza materiali caratteristici di questi campi - il filo spinato e le lamiere, per esprimere il suo desiderio di sconfiggere lo sconforto che attanaglia molti palestinesi in Libano. SWI-Frédéric Burnand

Dalla catastrofe che ha colpito Beirut a inizio agosto, l'aiuto d'urgenza è stato messo in atto, malgrado la crisi multidimensionale in Libano. "Il futuro rimane però altamente incerto", sottolinea Tamara Alrifai, portavoce dell'Unrwa, un'agenzia dell'ONU che si aspetta molto dalla Svizzera.

L’esplosione che ha devastato Beirut il 4 agosto scorso ha generato un grande slancio di solidarietà nei confronti del Libano. Il paese dei cedri suscita empatia. “Beirut ha qualcosa di magico”, afferma Tamara Alrifai, portavoce dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu incaricata di venire in aiuto ai rifugiati palestinesi in Medio Oriente.

Tamara Alfirai
Grazie alle sue approfondite conoscenze in materia di aiuto allo sviluppo e di politica, Tamara Alrifai ha lavorato per le Nazioni Unite, il Cicr e l’Ong Human Rights Watch prima di raggiungere l’Unrwa.

In Libano ne vivono circa mezzo milione, spesso ai margini della società. Con l’afflusso di aiuti, Tamara Alrifai evidenzia qual è la posta in gioco per la ricostruzione di un paese sull’orlo dell’abisso.

swissinfo.ch: Le attività della vostra agenzia in Libano hanno subito dei contraccolpi in seguito all’esplosione del 4 agosto scorso?

Tamara Alrifai: Non vi sono state ripercussioni dirette sull’Unrwa in seguito alla deflagrazione che ha colpito il centro di Beirut. I poveri e i rifugiati non vivono in questi quartieri, che erano economicamente piuttosto privilegiati. Alcuni di loro sono rimasti feriti o uccisi dall’esplosione, poiché lavoravano in quest’area o vi stavano transitando.

Tuttavia, l’esplosione non ha solo conseguenze dirette e devastanti. L’impatto è più profondo e più sul lungo termine, in un paese che si trova già in crisi economica. In questa crisi, ad essere più colpiti sono i più vulnerabili. In particolare, i rifugiati palestinesi, che non hanno né conto in banca, né risparmi, né prospettive. In Libano non sono rappresentati politicamente e dipendono da un’agenzia – l’Unrwa – che è sotto-finanziata in maniera cronica, soprattutto dopo che gli Stati Uniti hanno congelato il loro contributo. L’agenzia continua a cercare il mezzo per colmare questo vuoto, tanto più palpabile in Libano con la crisi che sta attraversando.

swissinfo.ch: Qual è la situazione nei campi palestinesi in Libano?

Tamara Alrifai: Ci sono 12 campi che sono delimitati come tali, anche se intorno ad essi si sono spesso formati quartieri palestinesi. È in questi quartieri svantaggiati, più soggetti all’instabilità e persino alla violenza, che temiamo le ripercussioni dell’esplosione, che colpisce tutti in termini di disuguaglianza sociale e rafforza il senso di frustrazione e disperazione di tutti. È un motivo in più per i palestinesi per ritirarsi nei loro quartieri. È indispensabile continuare a sostenere i palestinesi rifugiati in Libano se non si vuole assistere a una ripresa delle violenze, dato che i palestinesi sono fortemente politicizzati.

Lo statuto giuridico dei rifugiati palestinesi in Libano è ancora il più restrittivo in Medio Oriente?

Sì, è così. Ci sono due livelli di restrizioni. Dal punto di vista giuridico, non hanno né nazionalità né cittadinanza. Questo limita la loro capacità di viaggiare fuori dal Libano, anche per partecipare a conferenze. Inoltre, 39 professioni sono vietate, il che lascia loro pochissime opzioni e limita la loro scelta di studi. Chi vuole diventare medico, ingegnere o architetto, per esempio, non può realizzare il proprio progetto. Ciò alimenta un senso di frustrazione diffuso e l’Unrwa è percepito come l’unico datore di lavoro, la sola struttura in grado fornire servizi pubblici, poiché non c’è uno Stato a cui rivolgersi.

Il secondo livello riguarda la discriminazione che subiscono. Quella palestinese è una comunità molto denigrata. È mal percepita per il suo ruolo durante la guerra civile (1975-1990), in particolare per il coinvolgimento dell’OLP (basata in Libano dal 1970) e le sue conseguenze, ovvero l’invasione del Libano da parte dell’esercito israeliano nel 1982. Questo contesto storico ha determinato un atteggiamento piuttosto negativo nei loro confronti.

Quando sei un palestinese in un campo in Libano, percepisci che tutti sono contro di te. Detto questo, molte associazioni locali palestinesi si sono mobilitate per sostenere le iniziative lanciate dai cittadini libanesi per affrontare le emergenze causate dall’esplosione del 4 agosto.

Negli ultimi tempi, il porto di Beirut è stata la principale porta di ingresso delle merci nel paese. In che misura la sua distruzione limita la consegna degli aiuti umanitari dell’Unrwa?

Dopo l’esplosione, tutti pensavano che il porto fosse inutilizzabile. Da allora, però, secondo il Programma alimentare mondiale, ci si è resi conto che almeno una parte di esso può essere rapidamente riabilitato.

In questa fase, l’Unrwa non è direttamente toccata, in quanto non distribuisce cibo. Entro poche settimane, però, dovremo ricevere tutte le forniture mediche per i nostri centri sanitari. Dobbiamo quindi determinare quale soluzione logistica adottare. Non va poi dimenticato che in Libano l’ondata di Covid-19 sta riprendendo.

Siamo estremamente preoccupati per i libanesi e per gli abitanti dei campi profughi palestinesi, dove la diffusione del virus ha potuto finora essere arginata. Con una situazione economica deteriorata, è praticamente impossibile impedire alle persone senza risorse di uscire da casa per trovare il necessario per sopravvivere.

L’Unwra in Libano

In Libano vi sono 12 campi palestinesi di cui si occupa l’Unrwa. I due più grandi sono a Shatila (circa 11’000 palestinesi registrati), nella zona sud di Beirut, e a Ein El Hilweh (circa 60’000 palestinesi), nella periferia della città di Saïda, nel sud del paese.

Complessivamente nei campi vivono circa 200’000 dei 500’000 palestinesi registrati dall’Unrwa in Libano. L’agenzia dell’Onu gestisce 65 scuole, 27 centri sanitari, nonché numerosi servizi sociali.

Attualmente come sta funzionando il coordinamento dell’aiuto internazionale a Beirut, con uno Stato libanese carente?

Come di consueto, l’Onu coordina gli aiuti attraverso l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha). Siamo ancora nella fase d’emergenza e l’Onu sta lavorando con le Ong internazionali e locali per soddisfare i bisogni immediati dei libanesi. Per il momento, l’azione umanitaria sembra essere ben coordinata.

Tuttavia, essendo attiva da 20 anni in campo umanitario, sono un po’ preoccupata per l’enfasi posta sull’aiuto d’urgenza. Questo in un paese che suscita molta empatia e verso cui sono indirizzate molte donazioni individuali e private. Dobbiamo rapidamente guardare oltre le scatole di cibo distribuite alle famiglie. Come si possono aiutare le vittime a ricostruire le loro case e permettere ai piccoli commercianti, alle farmacie o alle librerie di riprendere le loro attività? E a medio termine, con chi vuole lavorare il settore umanitario?

Lo Stato libanese è in piena crisi, per non dire assente. Quali sono le conseguenze per le agenzie dell’ONU?

Con un governo di transizione e una maggioranza della popolazione ostile alle forze politiche al potere, la situazione è complicata. Tanto più che, secondo i suoi statuti, l’Onu negozia solo coi governi in carica, pur avendo nelle sue linee guida principi imperativi sul rispetto dei diritti umani e sulla buona ‘governance’.

Spesso, in questo tipo di crisi, gli organismi dell’Onu sono accusati di essere allineati coi governi. Quindi siamo un po’ bloccati.

Enfants en taule ondulée
Abdul Rhaman Katanani, che vive tra Beirut e Parigi, ha partecipato a un’esposizione collettiva organizzata dall’ambasciata svizzera in Libano nel 2018. SWI-Frédéric Burnand

Inoltre, c’è il rischio di una concorrenza tra le agenzie umanitarie per i finanziamenti che possono ottenere. All’Unrwa, chi chiediamo come non essere dimenticati nella distribuzione della manna finanziaria. Anche se l’Unrwa non si occupa direttamente degli aiuti d’emergenza, abbiamo a che fare con una popolazione che da 72 anni dipende dall’aiuto umanitario per la sua vita quotidiana e il suo futuro in termini di istruzione, servizi sociali e salute.

Questo finché non si troverà una soluzione in merito al loro statuto. L’esito è però più che mai incerto, viste le attuali dinamiche nella regione, tra cui il riavvicinamento tra Israele e i paesi del Golfo.

Come agenzia dell’Onu, l’Unrwa partecipa alle discussioni sugli aiuti per la ricostruzione, che Emmanuel Macron intende coordinare?

Il ruolo che la Francia vuole svolgere non si sostituisce al coordinamento umanitario operato dall’Ocha. Parigi intende coordinare il finanziamento degli Stati a cui l’Onu si rivolge per finanziare il suo piano d’azione umanitario.

L’Unrwa si posiziona sul medio termine. Tutti coloro che vivono in Libano, siano essi libanesi d’origine, migranti, rifugiati siriani e palestinesi, sono scivolati nella povertà, vista la crisi attraversata dal paese. I non libanesi non devono quindi essere dimenticati nella pianificazione e nel finanziamento a medio termine.

Se non saranno presi in considerazione nei programmi di ricostruzione, saranno un fardello ancora più pesante per il Libano. È questo che stiamo negoziano con le altre agenzie dell’Onu e i donatori.

Cosa vi aspettate da Berna?

La Svizzera è generalmente un donatore molto importante per l’Unrwa. Il suo ruolo di stabilizzatore per la pace è un punto focale della sua politica estera. Ora che gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unrwa, per gli Stati fortemente impegnati nella difesa del multilateralismo è un’opportunità per sostenere ancor di più delle agenzie dell’Onu che hanno un impatto forte sul territorio. La Svizzera corrisponde perfettamente a questo profilo, tanto più che è candidata per entrare nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.

L’Unrwa spera che la Svizzera continui a sostenere finanziariamente e politicamente un’agenzia stabilizzatrice come la nostra. È questa l’aspettativa che il nuovo commissario generale Philippe Lazzarini vorrebbe esprimere prossimamente, forse in ottobre, incontrando a Berna il ministro degli esteri svizzero Ignazio Cassis.

La Svizzera sostiene l’organizzazione con circa 20 milioni di franchi all’anno. “L’Unrwa è un partner strategico della Svizzera nel Vicino Oriente, dalla creazione dell’agenzia nel 1949”, indica il Ministero svizzero degli affari esteri.

Un ruolo che è sembrato vacillare nella primavera del 2018, quando il capo della diplomazia svizzera Ignazio Cassis ha pubblicamente rimesso in discussione l’utilità dell’agenzia dell’Onu.

Nel 2019, il ginevrino Pierre Krähenbühl decide di dimettersi dalla carica di commissario generale dell’Unrwa, dopo una serie di accuse di cattiva gestione, che alla fine non sono state ufficialmente confermate né dall’Onu, né dal Dipartimento federale degli affari esteri.

Traduzione di Daniele Mariani

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