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Africa orientale: crisi alimentare senza precedenti

Gli sfollati vivono in condizioni estremamente precarie Keystone

La carestia, combinata con problemi economici e politici, minaccia più di dieci milioni di persone nel Corno d'Africa. La situazione è critica intorno ai campi profughi di Dadaab, in Kenya, conferma il coordinatore di Medici senza Frontiere.

“Questa è una situazione davvero disperata, la comunità internazionale deve esserne a conoscenza”. L’appello lanciato pochi giorni fa da Antonio Guterres, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, esprime la gravità della tragedia che si sta consumando nel Corno d’Africa. Doppiamente colpita dalla guerra e dalla carestia – la peggiore degli ultimi 60 anni – la Somalia, in particolare, è teatro di una crisi alimentare senza precedenti per la sua ampiezza.

L’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) stima che durante il solo mese di giugno, 54’000 somali siano fuggiti dal loro paese a causa della siccità e della violenza. Nei campi profughi di Dadaab, nel Kenya orientale, dove sono già stipati quasi 400’000 rifugiati, ogni giorno arrivano quasi 1’400 persone, in condizioni di grave malnutrizione. Molti altri, troppo deboli per affrontare il lungo viaggio, muoiono durante il percorso o si ritrovano bloccati nelle città di confine della Somalia.

Antoine Froidevaux, coordinatore della sezione svizzera di Medici senza Frontiere a Dagahaley, uno dei tre campi di Dadaab che compongono il più grande campo di profughi al mondo, è estremamente preoccupato per gli sviluppi di questa grave crisi umanitaria.

swissinfo.ch: Con quali situazioni viene confrontato dentro e intorno ai campi profughi di Dadaab?

Antoine Froidevaux: Dal novembre 2010, oltre 80’000 rifugiati somali sono arrivati nei campi già sovraccarichi di Dadaab. I tre campi erano previsti per ospitare 90’000 persone, ora ce ne sono oltre 400’000. Avevamo già cominciato a lanciare l’allarme all’inizio di quest’anno, ma i media hanno tardato a interessarsi al disastro.

I nuovi arrivati sono costretti a ripiegare in rifugi di fortuna, lontano dalle strutture esistenti, con un accesso limitato all’acqua e al cibo e in condizioni di scarsa igiene. La risposta degli attori presenti sul posto ha faticato a farsi strada. Nel mese di giugno siamo stati colti tutti di sorpresa dall’arrivo di 40’000 nuovi rifugiati, poiché finora il ritmo era di 10’000 arrivi al mese. La situazione si sta deteriorando di giorno in giorno. Speriamo che le buone intenzioni e le dichiarazioni dei giorni scorsi si trasformino rapidamente in fatti concreti.

 

swissinfo.ch: Si sa quanti rifugiati somali muoiono prima di raggiungere i campi di Dadaab?

A.F.: È impossibile fornire una stima quantitativa. Dalle testimonianze raccolte, i somali che negli ultimi giorni hanno attraversato il confine, versano in condizioni preoccupanti. Alcune città di confine della Somalia sono letteralmente intasate dall’afflusso di rifugiati che non hanno più i mezzi di organizzare il trasporto. Così la maggior parte delle persone è costretta a raggiungere Dadaab a piedi. Problemi di sicurezza impediscono, inoltre, l’attraversamento della frontiera. È un problema che concerne diverse migliaia di persone, la cui situazione è molto preoccupante.

swissinfo.ch: In che condizioni di salute sono i nuovi arrivati?

A.F.: A metà giugno abbiamo proceduto ad una rapida valutazione nutrizionale in campi improvvisati. I risultati sono allarmanti. Su 500 bambini tra i sei mesi e i cinque anni che sono stati pesati, il 37,7% soffriva di malnutrizione acuta. Di questi, il 17,5% presentava un alto rischio di decesso a causa delle condizioni di salute precarie.

swissinfo.ch: Quali sono le vostre priorità e quelle delle altre organizzazoni umanitarie presenti a Dadaab?

A.F.: La priorità è sicuramente l’apertura di due nuovi campi per assorbire le decine di migliaia di nuovi arrivati. In seno agli organismi governativi del Kenya, c’è chi cerca di frenare l’apertura di questi campi, ritenendo che la barca sia piena e sostenendo che ciò porterebbe ad un afflusso ancora più massiccio di rifugiati. Il primo ministro del Kenya è venuto recentemente a visitare i campi; speriamo che questo sia un segnale positivo e che l’apertura dei campi avvenga nel più breve tempo possibile.

L’altra priorità è la realizzazione di nuovi pozzi, per permettere a coloro che vivono intorno ai campi profughi di allacciarsi al sistema di distribuzione dell’acqua. Come se non bastasse, anche la burocrazia crea  problemi. Fino a giugno, i rifugiati dovevano attendere 40 giorni prima di essere ufficialmente registrati dall’UNHCR e ricevere una tessera che dà diritto al cibo. L’attesa ora è più corta, ma la distribuzione resta caotica.

swissinfo.ch: La comunità internazionale si è resa conto dell’ampiezza della tragedia?

A.F.: I principali attori internazionali si sono mobilitati e hanno promesso di sbloccare i fondi. Ora non resta che attuare tali impegni. Per facilitare il processo di registrazione dei rifugiati ci vogliono molte risorse. E ci vuole anche tempo.

swissinfo.ch: Lei teme che nei prossimi mesi l’afflusso dei rifugiati sia ancora più massiccio?

A.F.: A Dadaab giungono ogni giorno 1’400 persone. Partiamo dal presupposto che questo numero non diminuirà fino alla fine dell’anno. Tutte le organizzazioni coinvolte devono rendersi conto che la situazione non si calmerà.

Molta attenzione viene concentrata sui campi profughi, ma è tutto il Corno d’Africa ad essere messo in ginocchio dalla siccità. Siamo estremamente preoccupati per la sopravvivenza di tutte le popolazioni colpite in Somalia, Etiopia e Kenya. A differenza dei rifugiati, hanno la possibilità di essere libere, ma non hanno accesso agli aiuti alimentari, all’acqua e alle cure. Come altre organizzazioni internazionali, avvieremo missioni esplorative nella regione per meglio comprendere le esigenze di queste popolazioni.

La peggiore siccità degli ultimi 60 anni che colpisce Gibuti, Etiopia, Kenya e Somalia , minaccia quasi 10 milioni di persone nella regione. La Somalia è il paese più colpito, con quasi 3 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria.

Più di 135’000 somali sono fuggiti dal loro paese dall’inizio dell’anno, dando vita ad una «tragedia umanitaria inimmaginabile», secondo le Nazioni Unite. In totale, 1,5 milioni di somali sono stati sfollati negli ultimi anni. Privati dei loro mezzi di sostentamento e costretti a vivere in condizioni estreme, sono particolarmente vulnerabili.

Alla siccità e ad altri disastri climatici, si aggiunge la guerra civile, in corso dopo la partenza del presidente Mohamed Siad Barre nel 1991; un quadro che fa della Somalia uno dei paesi al mondo più colpiti dalle crisi umanitarie.

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) stima che nella regione più di due milioni di bambini sono malnutriti, di cui circa 500’000 sono «in pericolo di morte». Un situazione, secondo l’ONU, «senza precedenti».

A Dadaab, in Kenya, il più grande campo profughi del mondo previsto per 90’000 persone, attualmente ne accoglie 400’000. Decine di migliaia di profughi sono stati costretti a piantare delle tende al di fuori dall’area, vivendo in condizioni estremamente precarie.

(Traduzione dal francese: Françoise Gehring)

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